L’abbandono e la vendetta: il giorno in cui tutto cambiò per Lena

**Diario Personale di Fiorella**

Antonio ci ha mollate, me e la mia piccola Beatrice. Stavo ancora piangendo quando mia suocera è venuta per farmi dispetto. Non riuscivo a star ferma. Avevo Bea addormentata tra le braccia, ma continuavo a fissare il cortile dalla finestra. Era passata un’ora da quando l’avevo visto partire. Due ore fa, mio marito Antonio era tornato dal lavoro. Io cucinavo in cucina, ma lui non entrava. Quando sono andata in salotto, lo trovai a impacchettare le valigie.
“Dove vai?” chiesi disorientata.
“Me ne vado. Lascio te per la donna che amo.”
“Antonio, scherzi?”
“Ma perché non capisci? Mi hai stancato. Hai solo Bea in testa, non ti curi più di me.”
“Non gridare, svegli Beatrice.”
“Ecco! Pensi solo a lei. Sto lasciando mia moglie e tu…”
“Un vero uomo non abbandonerebbe moglie e figlia.” Mormorai per poi rifugiarmi in camera della bimba. Conoscevo il suo carattere: proseguire avrebbe scatenato un putiferio. Trattenevo le lacrime a denti stretti. Presi Beatrice e corsi in cucina. Lì lui non sarebbe entrato: nulla lì era suo.
Dalla finestra, lo vidi salire in macchina e sparire. Non si voltò mai. Io invece ero inchiodata al vetro. Speravo che la sua auto riapparisse e che dicesse: “Solo uno stupido scherzo”. Ma nulla.
Passai la notte insonne. Non avevo nessuno a cui confidarmi. Mamma mi aveva ripudiata dopo il matrimonio. Per lei contava solo mio fratello minore. Avevo amiche mamme come me, ma dormivano. E cosa avrebbero potuto fare?
Mi addormentai all’alba. Provai a chiamare Antonio. Rifiutò la chiamata e mi scrisse: “Non disturbarmi più”. Bea pianse. Mi avvicinai a lei. Non potevo crollare. Se n’è andato? Pazienza. Ho mia figlia. Devo pensare a come sopravvivere.
Controllai il portafoglio e il conto: quasi vuoti. Anche chiedendo alla padrona di casa cinque giorni di grazia per l’affitto, non bastava. Cibo? Avrei lavorato da casa, ma Antonio si era preso il portatile.
Mi restavano due settimane prima dello sfratto per trovare una soluzione. Dovevo sbrigarmi. Telefonai a tutti: nessun lavoro per una mamma con bimba piccola. Perfino per lavare i pavimenti serviva chi la tenesse, ma non avevo nessuno. Traslocare? Già pagavamo poco per quel bilocale a Milano. L’unica opzione era andare dai miei. Mio fratello però viveva già con mamma, sua moglie e i gemelli. Cinque persone in un bilocale: come ci saremmo infilate io e Bea?
Avvisai la padrona che saremmo uscite alla scadenza. Non riuscivo a respirare. Cercai stanze in affitto nelle pensioni: pessimi vicini. Scrivevo ad Antonio per aiuti economici per Bea: ignorava i messaggi. Mi aveva bloccata.
Mancavano cinque giorni allo sfratto. Iniziai a imballare le poche cose quando suonarono alla porta.
Restai paralizzata. Sulla soglia: mia suocera Valentina.
«Non bastava?» pensai, facendola entrare.
Con Valentina i rapporti erano sempre stati tesi. Sorrisi di circostanza, astio nel cuore. La prima volta mi aveva chiarito che non le piacevo. Secondo lei, Antonio meritava di meglio. Avevamo evitato di vivere insieme per questo. Quando veniva in visita, trovava sempre polvere o criticava il cibo: “Questo lo mangiano i maiali!” Durante la gravidanza si calmò, ma alla nascita di Beatrice disse: “Non somiglia ai Rossi. Fateli il test di paternità”. Solo dopo sei mesi riconobbe alcuni tratti familiari e prese in braccio la nipotina. Antonio mi implorava: “Mamma fu sola a crescermi. È gelosa”. Mai chiesi il suo aiuto.
Adesso era qui, dopo la fuga di Antonio. Sicuramente per godersi lo spettacolo. Non mi importava.
«Fa’ le valigie subito», sbottò Valentina. «Tu e Beatrice non restate qua.»
«Valentina, non capisco.»
«Cosa c’è da capire? Vi porto da me.»
«Da voi?»
«Dove pensavi di andare? Da tua madre dove siete già in troppi?»
«Sapete tutto?»
«Sì. Il mio è un trilocale. Ci sta comodo chiunque.»
Non avevo scelta.
Arrivata a casa sua, mi sentivo intimorita. Mi indicò una stanza per me e Bea. Sistemate le valigie e messa Beatrice nella culla, entrai in cucina.
«Fiorella», sospirò. «So che non siamo mai andate d’accordo. Perdonami.»
«Desideravate solo il meglio per vostro figlio.»
«Il meglio?» replicò agramente. «Sono stata egoista. Stamattina Antonio mi ha chiamato confessando tutto. Perdonami anche per aver cresciuto quel ragazzo. Non so dove ho sbagliato. Suo padre ci abbandonò quando lui aveva tre mesi. Deve sapere com’è soffrire. Ma quel verme ha seguito il padre. Restate qui quanto volete.»
Non avrei mai creduto che mi avrebbe sostenuta. Non riuscii a parlare; lacrime sgocciolavano sul tavolo.
«Niente pianti!» disse severa.
«Sono lacrime di gratitudine.»
«Vuoti sentimenti. Riparo i miei errori. Abbiamo un tetto. Quando cercherai lavoro, terrò io Beatrice.»
Da quel giorno diventammo inseparabili. Certo, talvolta il caratteraccio di Valentina riemergerebbe, ma lei si frenava. Offriva consigli con dolcezza, non imposizioni.
Oggi è il primo compleanno di Beatrice. Io e Valentina abbiamo decorato la stanza con palloncini. In tavola troneggia una crostata alle mele fragrante. Bea si dirige b
Ed oggi, osservando i miei figli ridere con la nonna mentre il profumo di cannella riempie la cucina, sento che ogni lacrima versata è stata un seme per questa gioia immensa.

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