**Giorno 15 giugno – Un diario della mia vita**
Com’è veloce il tempo. Non me ne sono quasi accorta, eppure tra poco compio cinquant’anni. Eppure mi sembrava di essere giovane per sempre. Lucia si guardò allo specchio. Girò la testa da un lato, poi dall’altro. Niente da fare, solo delusione. Ma si dice che bisogna amarsi in ogni modo. Bene. E cosa dovrei amare? Le occhiaie, le labbra cadenti, le rughe, gli occhi tristi. Meglio non guardare tanta “bellezza”.
Eppure non ho portato mattoni, non ho faticato in fabbrica, ho sempre lavorato in un ufficio caldo e luminoso, tra scartoffie. Eppure ogni anno ha lasciato il segno sul mio viso.
Lucia sospirò. «Ma perché mi agito così? Chi mi guarda? Ci sono tante ragazze giovani. Basta così. Respira piano», si ordinò. E infatti fece un respiro profondo, poi un altro. «Pensa un po’, Michele è tornato. Si sarà già dimenticato di me. Quanta acqua è passata sotto i ponti…»
***
«Lucy, andiamo al cinema?» propose Michele, arrossendo così tanto che le orecchie gli si tinero di rosso.
«E che film c’è?» chiese Lucia, fingendo indifferenza, mentre il cuore le batteva forte dalla gioia.
«Non ricordo il titolo, ma i ragazzi l’hanno visto e gli è piaciuto.»
«A me piacciono i film romantici, o quelli d’avventura», disse lei sognante, notando come il volto di Michele si allungasse. «Va bene, andiamo. E quando?»
«Possiamo andare subito», rispose lui, felice.
Lucia ci pensò. La mamma non le aveva dato commissioni per oggi. I compiti poteva farli dopo. Tanto lei era al lavoro, non serviva chiedere il permesso.
«Andiamo», acconsentì.
In sala c’era poca gente, era un giorno feriale. Si spensero le luci, iniziò un film pieno di sparatorie e inseguimenti in macchina. Lucia sbirciò il profilo di Michele. Lui guardava lo schermo rapito. Alla fine, il protagonista salvò la ragazza dai criminali e si baciarono. Lucia si irrigidì e arrossì, perché Michele era lì accanto e aveva visto anche lui quel bacio.
All’improvviso, si avvicinò il più possibile, tra i braccioli della poltrona, e le prese la mano. Il cuore le balzò nel petto, Lucia rimase immobile, senza osare muoversi. Forse ora avrebbe sfiorato la sua guancia con le labbra… Ma no. I protagonisti riprendevano a scappare, e Michele fissò di nuovo lo schermo. Lei rimase così fino alla fine, trattenendo il fiato.
Il film finì, le luci si riaccesero, e Michele le lasciò la mano. A Lucia venne subito freddo. All’uscita, si infilò il cappotto e il cappello, dispiaciuta che il film fosse già finito.
Fuori era già sera, quel crepuscolo invernale che arriva presto. Camminavano verso casa, e Michele raccontava entusiasta le scene più emozionanti del film, come se lei non ci fosse stata. Quando taceva, calava un silenzio imbarazzante. Lucia cercava di parlare, e lui riprendeva a commentare. Sperava che prima o poi l’avrebbe presa per mano. Ma Michele portava la sua cartella con una mano e gesticolava con l’altra.
Davanti a casa, Lucia si fermò e abbassò lo sguardo. Anche Michele tacque.
«Vado?» prese la cartella e aprì il cancelletto.
«Lucy, ci andiamo ancora al cinema?» la chiamò Michele.
Si voltò. Nel buio non riusciva a vedere il suo volto, ma sapeva che aveva paura di un rifiuto.
«Sì!» rispose allegramente, e corse via.
Andarono ancora qualche volta al cinema. E non appena si spegnevano le luci, Michele le prendeva la mano e non la lasciava più. A volte semplicemente passeggiavano. Lui aveva finito le scuole l’anno prima, e in primavera sarebbe partito per il servizio militare. Non si era iscritto all’università, lavorava con il padre in un’officina.
Una volta l’aveva addirittura baciata all’angolo della bocca. Lei aveva sempre temuto che non ne avrebbe mai avuto il coraggio. Che felicità aveva provato!
In primavera partì. La sera prima, Michele l’aveva chiamata fuori, lanciando un sassolino alla finestra. Lucia si infilò il cappotto e uscì. Lui era brillo.
«Domani parto. Mi aspetterai?»
«Sì», rispose rauca. «Certo che ti aspetterò.»
Come poteva dubitarne? Per lei non esisteva nessun altro al mondo, solo lui.
Poi la mamma si accorse della sua assenza, si affacciò alla finestra e la richiamò dentro. Lucia si alzò in punta di piedi, baciò la guancia calda di Michele e scappò via.
Suo padre beveva, e l’inverno precedente era stato trovato morto in un fosso. La madre si era messa con un altro uomo. Lucia si sentiva a disagio, evitava di andare in cucina. Dopo il diploma, partì per il capoluogo. Non era lontano, solo un’ora e mezza di autobus. La mamma non la trattenne. Anzi, a Lucia sembrò quasi sollevata. Le diede qualche soldo per le prime spese e le fece ciao con la mano mentre saliva sul pullman con una sola valigetta.
All’inizio abitò dai parenti di un’amica, anche loro trasferitisi in città da un paesino. Fece un corso da contabile e con il primo stipendio affittò una stanza.
Michele non le aveva promesso di scrivere. Non ci aveva pensato, o non aveva avuto tempo, ma che importava? Lei lo avrebbe aspettato comunque. Tornava raramente a casa. Una volta notò che la madre aveva la pancia arrotondata. Fu un po’ gelosa: avrebbe amato un altro figlio, mentre lei, Lucia, ormai era un pezzo di pane tagliato via.
Non vedeva sua madre come una donna giovane, anche se aveva solo quarant’anni. Non conosceva nessuna madre dei suoi compagni che avesse figli a quell’età. Si vergognava, e smise di tornare.
Ma per il ritorno di Michele ci andò. Un’amica le aveva scritto che i suoi genitori lo aspettavano per il weekend. Il fratellino già sgambettava per casa. La madre lo aveva chiamato Michele, Micio. Quando lo chiamava, Lucia ripensava al suo Michele.
Continuava a correre fuori per vedere se arrivava. Ma Michele non si fece vivo. Al negozio sentì sua madre lamentarsi che era in ritardo, che portava con sé una fidanzata, non di qui, ma della zona dove aveva prestato servizio.
Lucia pianse tutta la notte nel cuscino. All’alba tornò in città.
Sei mesi dopo conobbe un ragazzo e lo sposò. Non sapeva neanche perché. Nessuno la costringeva. E subito capì di aver fatto una stupidaggine. Niente era come avrebbe dovuto essere. Il marito la guardava dall’alto in basso, le rinfacciava di non essere di città, di essere stata fortunata che lui l’avesse sposata. Passava il tempo con gli amici a guardare il calcio e bere birra. Lucia non poteva accettarlo. Sapeva come sarebbe finita. Provò a parlarne, ma lui rispose:
«Non ti piace? Nessuno ti trattiene. Tanto meglio di me non troverai.»
Fortunatamente non ebbero figli. Si lasciarono senza drammi. Se ne andò con ciò con cui era venuta.
Dal lavoro le diedero una stanza in un dormitorE mentre si abbracciavano sotto il tramonto arancione di Roma, finalmente capirono che il tempo non aveva davvero separato i loro cuori, solo messo alla prova la loro pazienza, e ora potevano ricominciare da dove avevano lasciato, insieme.





