Non c’è nulla di più spaventoso al mondo…

Non c’è niente di più spaventoso al mondo…

“Allora, tutto bene per Gabriele. Lo rimando all’asilo.” La dottoressa porse a Isabella il certificato. “Non ammalarti più, piccolo.”

Il bambino annuì e guardò sua madre.

“Andiamo.” Isabella gli prese la mano e, sulla porta, si voltò. “Arrivederci.”

“Arrivederci,” la seguì Gabriele con voce sommessa.

Nel corridoio, Isabella lo fece sedere su una sedia e andò a prendere i cappotti. Gabriele dondolava le gambe felice, osservando gli altri bambini con curiosità. Dopo essersi vestiti, Isabella gli sistemò la sciarpa al collo.

“Domani torni all’asilo. Ti è mancato?” chiese.

“Certo!” rispose lui con un sorriso.

Uscirono dall’ambulatorio pediatrico e si incamminarono per le strade innevate verso la fermata dell’autobus.

“Mamma! Mamma…” Gabriele tirò la manica di Isabella, che era persa nei suoi pensieri.

“Cosa?” Lo guardò, distratta. Stava pensando a domani, al fatto che finalmente sarebbe tornata al lavoro, che la vita avrebbe ripreso il suo corso normale.

Seguì lo sguardo di Gabriele e vide una donna con un passeggino aperto. Dentro c’era un bambino della sua età, con la bocca semiaperta da cui colava saliva e gli occhi vuoti.

Isabella distolse subito lo sguardo.

“Mamma, perché quel bambino è nel passeggino? È grande…” domandò Gabriele a bassa voce.

“È malato,” rispose lei.

“Ma quando stavo male io, tu non mi portavi nel passeggino…” insistette il bambino.

“Andiamo, presto. Lui è malato in un altro modo.” Isabella guardò la donna che si allontanava con il passeggino e lo trascinò verso la fermata.

Dopo la nascita di Gabriele, non riusciva più a vedere bambini malati senza proiettare quella realtà su di sé. La pietà le serrava il cuore. Osservava quelle madri con compassione, sapendo che spesso erano sole: mariti che non reggevano il peso e se ne andavano. Per fortuna se si avevano parenti vicini…

Ma lei ce l’avrebbe fatta? Avrebbe sopportato un fardello così pesante? O avrebbe abbandonato il bambino in ospedale? Il suo Gabriele? No, mai. Nemmeno pensarci la terrorizzava.

Mentre tornavano a casa in autobus, Isabella ripensò a tutto…

***

Era stata una ragazza carina e spensierata. Aveva avuto storie, ma non si era mai affrettata a sposarsi, figuriamoci a pensare ai figli. Eppure, col tempo, le amiche si erano tutte sistemate, qualcuna aveva già divorziato e risposato, altre avevano figli alle elementari. I parenti la interrogavano ogni volta: “E tu? Non trovi un marito?” E facevano facce stupite quando lei rispondeva di no.

Poi, un giorno, anche lei aveva sentito il desiderio di una famiglia. Di un bambino. Era pronta a lavare, cucinare, a prendersi cura di un marito e di un neonato, a spingere il passeggino insieme alle altre mamme. Ma gli uomini che le piacevano erano sposati o, dopo un fallimento, non avevano fretta. E quelli che la volevano, a lei non interessavano. La solita storia.

Poi aveva incontrato lui. Non era il suo tipo, non corrispondeva all’uomo dei suoi sogni. Ma le amiche e sua madre le ripetevano: “Se non ti sposi ora, non ti sposerai mai. L’orologio biologico scorre, e tu ancora scegli?” Ma lei non sceglieva: erano le circostanze che non permettevano altro.

Lui le aveva parlato d’amore, di figli, di progetti. Le aveva fatto una proposta romantica. E lei aveva accettato. Dopo un matrimonio sontuoso, era rimasta incinta quasi subito. A trentatré anni, non c’era tempo da perdere.

Camminava per strada sorridendo, guardava gli altri bambini, nei negozi si fermava a osservare vestitini e scarpine minuscole. Istintivamente portava una mano al ventre, come per proteggere quella nuova vita. Già la amava, la sua bambina. Perché era sicura che sarebbe stata femmina.

Appena finito il periodo delle nausee, iniziarono gli incubi. Sognava di aver perso il piccolo per strada, o di ritrovare il passeggino vuoto. Era lì un attimo prima, e poi sparito. Gridava, piangeva, cercandolo invano. A volte si svegliava e il pancione era sparito, ma non c’era traccia del bambino. Eppure c’era stato…

Si risvegliava col cuore in gola, si toccava il ventre gonfio, ma ci voleva tempo per calmarsi. Aveva paura di addormentarsi.

“È normale. L’ansia è comune in gravidanza,” la rassicurava il ginecologo.

Un giorno si accorse che il bambino non si muoveva. Rimase in ascolto tutta la notte, e al mattino corse in ospedale. La mandarono dall’ecografista.

“Perché non parla?” chiese, quasi piangendo, vedendo lo sguardo preoccupato del medico sullo schermo. “Cosa c’è che non va?”

“Tranquilla, mamma, il battito c’è. Senti.” Il medico schiacciò un pulsante, e Isabella sentì il cuoricino affrettato della sua creatura. “Dorme profondamente, non riesco a svegliarlo.”

“Lui? Un maschio?” chiese sorpresa.

“Sì. Non lo sapeva?”

Quando finalmente sentì un lieve calcetto, tirò un sospiro di sollievo.

“È vivo! Si è svegliato!” rise sommessamente.

Più si avvicinava il momento, più aveva paura. Camminava lentamente, col ventre enorme, la schiena spezzata.

“È un feto grande. Nascerà un gigante,” dicevano i medici.

“Ce la farò a partorirlo?” si agitava.

“Non hai scelta,” sorrideva l’ostetrica durante le visite.

“Ma sono una primipara attempata, come dite voi?”

“Si partorisce anche a quarant’anni. Stai tranquilla.”

“Posso fare un cesareo?” chiese timidamente.

“Perché? Non ci sono motivi. Ce la farai benissimo.”

“Ho sogni terribili. Non è solo paura… ho un brutto presentimento…”

“Non fissarti. Tutte hanno paura. Andrà tutto bene.”

“Ma se…” insistette.

“Ha scelto dove partorire?”

“Posso scegliere l’ospedale ma non il tipo di parto?” Si sentiva una pazza, ma non poteva farci nulla.

“Vada al secondo ospedale. Parli con la primaria. E smetta di agitarsi: fa male al bambino.”

Per un po’ si calmò. Il giorno dopo andò in ospedale. Nell’attesa della primaria, circondata da donne con madri o mariti, si sentì sola. Chiamò il marito, pregandolo di raggiungerla.

Alla fine, una ragazza la fece entrare. Isabella spiegò i suoi timori, i sogni, le premonizioni.

La primaria, severa e imbronciata, la ascoltò, sfogliò la cartella.

“Nessuna indicazione per il cesareo. Ieri una donna di 42 anni ha partorito naturalmente. Sei giovane e sana. Ce la farai.”

“Posso pagare per l’operazione. Quanto vuole.”

“Non inventiamo cose,” tagliò corto la donna. “L’anestesia danneggia il feto. Potrebbero esserci complicazioni…”

“E nel parto naturale no?”

“Vedo che è inutile discutere. Venga tre giorni prima, valuteremo…”

“E se partorisco prima? E se lei non c’è?”

“Mi chiamE mentre stringeva la mano di Gabriele, Isabella capì che l’amore più grande non era quello che cercava, ma quello che aveva creato, perfetto proprio così com’era.

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