Una nuora così è indispensabile!

“Una nuora così serve a noi stessi!”

Lucia stese con cura la pasta frolla nella teglia. Suo figlio Marco e la nuora Ginevra sarebbero arrivati tra poche ore. Il silenzio fu spezzato da uno squillo insistente del telefono. Lucia si asciugò le mani sul grembiule e rispose.

— Pronto?
— Buongiorno — rispose una voce femminile sconosciuta. — Parlo con Lucia De Santis?
— Sì, sono io — rispose, istintivamente in allerta.
— Mi chiamo Valeria Rossetti. Sono stata la suocera di Ginevra. La sua nuora.

Lucia si sedette lentamente sulla sedia della cucina. “L’ex suocera?” I suoi pensieri corsero a Ginevra, ai suoi rari ma amari accenni al suo primo matrimonio.
— Capisco — disse con calma. — Come posso aiutarla, signora Rossetti?

La voce al telefono perse ogni traccia di cortesia, diventando acida e piena di malizia.
— Volevo solo sapere come sta la nostra Ginevra da voi. Come si comporta? Sono sicura che vi abbia già dato dei problemi! O forse non ancora? Ma credetemi, ve ne pentirete! Quella sfaticata vi rovinerà la vita!
— Signora Rossetti, non capisco. Ginevra è una ragazza meravigliosa. Perché mai dovremmo pentircene?
— Meravigliosa?! — strillò Valeria. — È una pigrona! Io lavo i pavimenti ogni giorno, come si deve! E lei? Una volta ogni tre giorni, e solo se costretta! E le tende? Quando le ha lavate l’ultima volta? Io le lavo ogni mese, è sacro!

E lei? Forse una volta all’anno! La polvere si accumulava per mesi! E poi la cucina… Nutriva mio povero figlio come un cane! Minestra senza sapore, polpette di gomma, impossibile da mangiare! Gli è venuta la gastrite, poveretto!
— Signora Rossetti, a casa loro regna l’ordine. Impeccabile. E Ginevra cucina benissimo. Io stessa le ho insegnato qualche segreto ed è una cuoca talentuosa. Non abbiamo nulla da rimproverarle. E la gastrite di suo figlio, forse, era per il troppo vino!
— Ah, non avete rimproveri?! — urlò Valeria senza ascoltare. — E come trattava mio figlio? Lui tornava stanco… beveva un bicchiere per rilassarsi, come fanno tutti gli uomini veri! E lei? Invece di versargliene un altro e metterlo a letto, gli urlava! Faceva scenate! Una ragazza senza cuore!

Lucia chiuse gli occhi. Da Ginevra sapeva che il suo ex marito “rilassato dal vino” tornava all’alba, distruggeva la casa, la insultava. E conosceva Marco, sobrio, responsabile, che portava fiori alla moglie e la sosteneva nel lavoro.
— Mio figlio Marco — disse con fermezza — non torna mai ubriaco. Rispetta sua moglie e la loro casa. Ginevra non ha motivo di gridare. Sono felici.

Un silenzio pesante calò nella cornetta. Poi Valeria riprese, la voce piena di veleno:
— Felici? Ah! E sa che lei è cresciuta in un orfanotrofio? Noi l’abbiamo accolta, anche se so cosa combinano lì. Non è un caso che sia sterile! Un fiore senza frutto! Vedrà, passeranno gli anni e voi non avrete nipoti! Allora capirete chi avete portato in casa!
— Signora Rossetti — disse Lucia, forte e chiara — si sbaglia su tutto. Nella nostra famiglia c’è pace, amore e rispetto.

Io voglio bene a Ginevra. Mi chiama mamma e mi rispetta. Certo che sappiamo del suo passato, e non è colpa sua. Anzi, ho cercato di darle un po’ d’affetto.

È una ragazza buona. E riguardo ai nipoti… Arriva tardi con le sue “profezie”. Ginevra e Marco avranno un figlio. Presto. Le sue paure sono infondate.

Silenzio. Poi un respiro affannoso. E improvvisamente… singhiozzi. La rabbia si sciolse in pianto.
— Un figlio? — rantolò Valeria, la voce spezzata. — Davvero? E se non fosse di vostro figlio? Ah, Dio… Il mio invece… mio figlio…

Il pianto si fece più forte.
— È un fallito! Beve, cambia lavoro continuamente… Vive alla giornata! E io che vorrei dei nipoti… almeno uno!

Lucia ascoltò senza parlare. Una fitta di pietà le strinse il cuore. Non per quella donna, ma per la Ginevra di un tempo.
— Signora Rossetti… — iniziò, ma l’altra la interruppe, la voce supplichevole:
— Se… se con vostro figlio non dovesse funzionare? Se divorziassero? Succede, no? Allora… mi chiami! Subito! Lo dirò a mio figlio… forse si ravvederà!

Ora che, dice, è brava? Sa cucinare, tiene in ordine… Forse tornerebbe da noi! Me lo dica, se succede! Vi prego!

Ecco la verità. Non rimorso, non pentimento. Solo la disperazione di chi vede ciò che scartava brillare in mani altrui. E la speranza egoista di riprenderlo.

Usare Ginevra di nuovo. Come serva. Come madre per i nipoti che bramava.
— Una nuora come Ginevra serve a noi. Non chiami più. Mai.

Riattaccò senza aspettare una risposta. Poi bloccò il numero. Un nodo le serrava la gola, per la rabbia, per la pietà verso il passato di Ginevra, per l’assurdità di quelle accuse. Ma più forte di tutto era un senso… di protezione.

Protezione del suo nido, di Marco, e di quella ragazza fragile ma forte, che ora chiamava figlia.

Si avvicinò alla teglia, coprendola con un canovaccio. Presto la casa si sarebbe riempita di profumo di dolce, di risate, di voci felici. E presto, di un altro vocino, vivace e impaziente.

Ricordò la prima volta che aveva visto Ginevra, timida come un passero. Guadagnarsi la sua fiducia non era stato facile, ma ora era come una figlia.

Peccato che suo marito non avesse potuto vedere Marco così innamorato.

Lucia aveva cresciuto suo figlio da sola, aiutandolo a comprare la casa dove ora viveva con Ginevra.

Passò un’ora. Poi il campanello. Lucia asciugò una lacrima e aprì. Sulla soglia c’erano Marco con un mazzo di glicini e Ginevra. Il suo grembo era già arrotondato, il viso illuminato di una serenità che cancellava ogni ombra del passato.

— Mamma! — esclamò Ginevra, abbracciandola. — Che buon profumo! Cosa prepari?
— Una crostata, tesoro — rispose Lucia, baciandola sulla guancia. — Marco, metti i fiori nel vaso.

Li accompagnò in salotto, dando un’occhiata veloce al telefono. Quella chiamata, quella voce piena d’invidia, sembravano l’eco di un altro mondo. Qui, in questa casa piena di luce, di fiori e d’amore, c’era la vera vita.

La vita che avevano costruito insieme. Una vita che lei, custode di quella felicità, non avrebbe permesso a nessuno di rovinare.

Andava tutto bene. E così sarebbe sempre stato.

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