Il conflitto delle opinioni

**Diario personale – Il guinzaglio delle discordie**

“Marco, alzati e porta a passeggio Artù, non sono un robot!” Antonio Rossi sbatté la mano sul tavolo della cucina, facendo tintinnare le tazze di caffè mezzo vuoto. L’aria odorava di toast bruciati, espresso appena fatto e un leggero tanfo di cane. Fuori, il sole di aprile illuminava il cortile condominiale, dove i bambini già correvano verso le altalene. Artù, un biondo golden retriever con un giocattolo sfilacciato tra i denti, giaceva accanto alla porta, fissando con occhi tristi il guinzaglio appeso al gancio. I suoi occhi marrone imploravano, ma la famiglia era troppo occupata a litigare.

Marco, il figlio quindicenne, era immerso nel telefonino, dove risuonavano colpi di pistola e striden di gomme. Le sue cuffiette senza fili penzolavano sul collo, e la felpa nera con la scritta “Game Over” era cosparsa di briciole dei nachos di ieri.

“Papà, ieri l’ho portato io!” borbottò, senza alzare gli occhi dallo schermo. “Che ci vada Viola, lei se la cava sempre!”

Viola, diciannovenne universitaria, era piegata sul laptop, i capelli scuri raccolti in una crocchia frettolosa. Occhiaie viola segnavano il volto dopo una notte passata a studiare per l’esame di sociologia. Indossava una maglietta larga con il logo dell’ateneo.

“Io?” sbuffò distaccandosi dallo schermo. “Marco, l’hai voluto tu Artù, quindi tocca a te! Ho un compito domani, mica posso portare il cane ogni cinque minuti!”

Lucia, la madre, entrò in cucina asciugandosi le mani sul grembiule a fiori. I suoi capelli biondi erano arruffati dopo le pulizie, la voce tremava per la stanchezza.

“Basta urlare!” disse, poggiando la padella sull’induzione con un sibilo d’olio. “Antonio, avevi promesso di portarlo stamattina! E voi due, avete preso un cane e me l’avete scaricato addosso!”

Antonio, quarantacinquenne ingegnere, depose il giornale locale dove leggeva degli scioperi in fabbrica. Le sopracciglia aggrottate, la barba incolta luccicava alla luce del mattino.

“Io? Lucia, esco di casa alle sei! È stato Marco a supplicare per Artù, quindi è suo compito!”

Artù, percependo la tempesta, gemette, lasciando cadere il suo giocattolo strappato—un papero di gomma. La coda si mosse debolmente, ma la cucina era ormai un campo di battaglia, e il cane non era più solo un animale, ma il simbolo del caos familiare.

La sera, la lite riesplose. Lucia cucinava: polpette sfrigolavano, le patate bollivano e l’aria era carica di cipolla e prezzemolo. Artù era accucciato vicino alla porta, gli occhi seguivano il guinzaglio immobile. Marco giocava alla playstation in salotto, le urla della gara coprivano il telegiornale di Antonio, che seguiva il calcio. Viola scriveva un saggio in camera, le cuffie isolavano il rumore, lattine di energy drink vuote sul tavolo.

“Marco, hai portato Artù?” gridò Lucia, mescolando le patate.

Marco, senza staccarsi dallo schermo dove la sua auto si schiantava, borbottò:

“No. Viola ci vada lei, io sono impegnato.”

Viola, sentendosi chiamare, irruppe in cucina strappandosi le cuffie.

“Impegnato? Passi la giornata a giocare! Io ho una scadenza!” sbottò. “Papà, diglielo tu!”

Antonio, sul divano con il telecomando, sospirò massaggiandosi le tempie.

“Marco, portalo fuori. È il tuo cane.”

Marco lanciò il joystick sul divano, le guance rosse.

“Il mio cane? Avevate promesso di aiutarmi! Allora diamolo via, se non vi importa!”

Lucia si girò di scatto, il cucchiaio cadde nel lavandino.

“Darlo via?! Un anno fa piangevi per tenerlo! E ora lo abbandoni? Come sempre, tocca tutto a me!”

Viola incrociò le braccia.

“Mamma, non ricominciare. Io ho da studiare! Papà, ma almeno una volta l’hai portato?”

Antonio si alzò, la voce tuonò sopra la tv.

“Basta, Viola! Io torno alle nove, distrutto! Voi sapete solo lamentarvi!”

In quel momento, Artù, stanco delle urla, si avventò contro la porta—lasciata socchiusa dopo che Viola aveva ritirato la pizza—e scappò in corridoio. Un latrato, poi rumore di zampe sulle scale. La famiglia si bloccò.

“Artù!” gridò Lucia, gettando il cucchiaio. “Marco, non avevi chiuso?”

Marco impallidì, saltando in piedi.

“Io? È uscita Viola stamattina!”

Viola sbatté una mano sul tavolo.

“Sempre colpa mia! Sei insopportabile!”

Antonio afferrò il guinzaglio.

“Basta! Tutti fuori a cercarlo!”

Il cortile era un brusio serale: bambini urlanti, clacson, lontani latrati. Lucia, in ciabatte e grembiule, chiamava Artù con voce rotta.

“Artù! Dove sei, piccolino?”

Marco correva verso i garage, la torcia del telefono nella penombra.

“Artù, vieni!” gridò, un nodo in gola. Ricordò il giorno in cui l’aveva trovato in una scatola di cartone, bagnato e tremante, supplicando di tenerlo.

Viola chiamava i vicini, le dita gelate.

“Zia Anna, ha visto Artù? No? Grazie…”

Antonio frugava tra i cespugli, gli stivali affondavano nelle pozzanghere.

“Lucia, l’avevo detto: un cane è una responsabilità! E ora dov’è?”

Lucia lo fulminò.

“Responsabilità? Tu scappi da tutto! Casa, figli, cane… tutto su di me!”

Antonio si fermò, la voce bassa e dura.

“Tutto tu? E io cosa faccio, mi diverto? Lavoro come un mulo!”

Viola li raggiunse.

“Smettetela! Pensate ad Artù!”

Marco riapparse ansimante.

“Non c’è! È colpa vostra! Se mi aiutaste, non sarebbe scappato!”

Lucia lo afferrò per le spalle.

“Ah sì? Non lo portavi da una settimana!”

La ricerca durò fino a mezzanotte. Tornarono a casa a mani vuote. Lucia, seduta in cucina, si torceva il grembiule. Antonio fissava la tazza scheggiata. Viola scorreva il cellulare. Marco, raggomitolato sul divano, stringeva un pacchetto di patate vuoto.

“Dobbiamo fare i volantini,” sussurrò Lucia.

Viola annuì.

“Faccio io il disegno. Ma la colpa è di Marco.”

Marco esplose.

“Io? Tu pensi solo all’università!”

Antonio sbatté la tazza.

“Marco, passi il tempo a giocare! Artù piangeva e tu ignoravi!”

Lucia scosse la testa.

“Siete tutti così. Io sono stanca, Antonio. Stanca di fare tutto io.”

Viola si alzò.

“Mamma, anche tu ci opprimi! Ho esami, non posso mollare tutto!”

Antonio sospirò.

“Basta. Siamo tutti colpevoli. Domani riproviamo.”

Il mattino dopo, ViolaIl giorno seguente, mentre la famiglia si preparava a uscire di nuovo, Artù riapparve sulla soglia di casa, bagnato e affamato ma con la coda che scodinzolava, e in quel momento capirono che, nonostante i litigi, erano ancora una famiglia, e che a volte basta un cane a ricordarcelo.

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