La Nuora la Licenziò dal Lavoro
Nina Petrovna sedeva sull’autobus e guardava dalla finestra le strade conosciute. Ogni mattina, lo stesso percorso per andare al lavoro, le stesse fermate, gli stessi volti dei compagni di viaggio. Solo che oggi era diverso. Oggi sarebbe stata l’ultima volta.
Nella borsetta c’era la lettera di dimissioni. Una formula standard, niente di particolare. Ma dietro quelle parole si nascondeva una storia che ancora ora Nina Petrovna faticava a credere.
L’autobus si fermò davanti al centro commerciale dove si trovava l’ufficio dell’azienda di suo figlio. La stessa azienda dove aveva lavorato come contabile per quattro anni. La stessa azienda che Massimo aveva fondato subito dopo l’università, con il suo aiuto e sostegno.
«Mamma, sei sicura?» le aveva chiesto Massimo la sera prima, quando gli aveva portato la lettera. «Forse potresti pensarci ancora un po’?»
«Sicura, figlio mio» aveva risposto lei. «Sarà meglio per tutti.»
Ma ora, salendo le scale verso l’ufficio, Nina Petrovna sentiva il cuore stringersi. Quattro anni della sua vita, quattro anni di lavoro, quattro anni di orgoglio per i successi di suo figlio, tutto finito.
Tutto era iniziato il giorno in cui Massimo aveva portato a casa Lucia. Una ragazza bella, intelligente, con una laurea in economia. Nina Petrovna se n’era innamorata subito, felice che il figlio avesse trovato una compagna di vita degna.
«Mamma, ti presento Lucia» aveva detto Massimo, raggiante di felicità. «La mia fidanzata.»
«Piacere, Nina Petrovna» aveva detto Lucia, tendendo la mano con un sorriso. «Massimo ha parlato tanto di te.»
Si erano sposati un anno dopo. Un matrimonio semplice, ma sentito. Nina Petrovna aveva preparato lei stessa il banchetto, decorato la sala, lavorato come un’ape instancabile. Voleva che fosse un giorno indimenticabile per i giovani.
Dopo il matrimonio, Lucia si era trasferita da loro. L’appartamento era piccolo, due camere, ma c’era spazio per tutti. Nina Petrovna aveva sempre sognato una famiglia numerosa, con voci di bambini che riempissero la casa.
«Mamma, e se Lucia venisse a lavorare con noi?» aveva proposto un giorno Massimo a cena. «Ha studiato economia, potrebbe aiutarci a far crescere l’azienda.»
«Certo» aveva risposto Nina Petrovna. «Più teste pensanti, meglio è.»
Lucia aveva iniziato come responsabile delle vendite. Dinamica, determinata, si era subito ambientata e portava ottimi risultati. L’azienda cresceva, nuovi clienti arrivavano, i profitti aumentavano.
«Nina Petrovna, possiamo parlare?» le aveva chiesto Lucia un giorno, entrando in contabilità.
«Certo, piccola. Che c’è?»
«Ho pensato che forse dovremmo ottimizzare il lavoro contabile. Modernizzare i programmi, automatizzare i processi.»
Nina Petrovna aveva annuito. Lo sapeva anche lei che i vecchi metodi ormai erano superati.
«Hai ragione, Lucia. Ma alla mia età imparare nuovi software non è semplice. Le mani non sono più quelle di una volta, la memoria vacilla.»
«Non importa» aveva sorriso Lucia. «Ti aiuterò io. Capiremo insieme.»
E infatti Lucia l’aveva aiutata. Le aveva mostrato, spiegato, ripetuto con pazienza. Nina Petrovna si dava da fare, ma la tecnologia le risultava difficile.
Anche Massimo la incoraggiava, lodava i suoi sforzi. Intanto l’azienda continuava a crescere. Nuovi impiegati, un ufficio più grande, documenti in quantità.
«Mamma, riesci a gestire tutto?» le chiedeva Massimo. «Non è troppo lavoro per te?»
«Ce la faccio, figliolo. Anche se ammetto che non è facile.»
Nina Petrovna era davvero stanca. Prima gestiva da sola la contabilità di una piccola azienda, ora i documenti erano triplicati. Doveva restare fino a tardi, portare il lavoro a casa.
«Forse dovremmo assumere un altro contabile?» proponeva Massimo.
«Perché spendere di più?» ribatteva Lucia. «Nina Petrovna è esperta, ce la farà. Ha solo bisogno di tempo per adattarsi.»
Intanto Lucia iniziava a farle sempre più osservazioni sul lavoro. I rapporti non erano pronti in tempo, c’erano errori nei calcoli, i documenti non rispettavano le nuove norme.
«Nina Petrovna, devi essere più attenta» le diceva. «La qualità del nostro lavoro influenza la reputazione dell’azienda.»
«Scusami, Lucia. Farò più attenzione.»
E Nina Petrovna ci provava. Ricontrollava ogni cifra, restava fino a notte sui documenti. Ma gli errori capitavano comunque. L’età si faceva sentire.
«Massimo, dobbiamo parlare» aveva detto Lucia un giorno al marito, credendo che Nina Petrovna non sentisse.
«Di cosa?»
«Di tua madre. Non riesce a gestire tutto. Errori, ritardi. Sta influenzando negativamente l’azienda.»
«Lucia, non esagerare. Mamma lavora con impegno.»
«Con impegno, ma senza efficienza. Massimo, capisci che il business è business. Non possiamo permetterci dipendenti inefficienti, anche se sono familiari.»
Nina Petrovna aveva sentito e il cuore le si era ghiacciato. «Dipendente inefficiente.» Ecco come la considerava ora la nuora che amava come una figlia.
Il giorno dopo Massimo l’aveva cercata. «Mamma, come va al lavoro?»
«Bene, figliolo. Perché?»
«Così, per sapere. Se hai problemi, dNina Petrovna guardò fuori dal finestrino dell’autobus, mentre il paesaggio cittadino sfumava in campagna, e capì che forse la libertà non era nell’essere indispensabile, ma nel saper lasciare con dignità.






