La figlia scaccia la madre dalla casa di campagna

*La figlia scaccia la mamma dalla casa di campagna*

Giovanna Rossi si stirò con delicatezza per cogliere le mele mature dal ramo. La schiena rispose con il solito dolore, ma ignorò il fastidio — le mele quell’anno erano così abbondanti che sarebbe stato un peccato non raccoglierle. Le golden renette erano perfette: grandi, profumate, con quel retrogusto acidulo che le rendeva ideali per la marmellata che suo genero Filippo adorava. E poi, la nipotina Beatrice sarebbe venuta nel weekend, e chissà quanto si sarebbe entusiasmata per una torta di mele da accompagnare al tè.

“Mamma, ma cosa fai ancora in giro con quella scaletta?” La voce della figlia alle sue spalle la fece sobbalzare. “Quante volte ti ho detto di chiamare me o Filippo? Ci pensiamo noi!”

Laura, sua figlia, era in piedi sul vialetto, le mani sui fianchi. Con la camicetta bianca e i capelli perfettamente ordinati, sembrava fuori posto tra i meli e le aiuole di basilico.

“Ma no, Laura, stavo solo…” rispose Giovanna con un sorriso colpevole, scendendo dalla scaletta. “Non volevo disturbarti. So che siete già pieni di impegni.”

“Appunto,” annuì Laura, prendendo il cestino dalle mani della madre. “Filippo è tre giorni che è sommerso di pratiche per l’ufficio, io corro da una riunione all’altra, e tu invece ti metti a fare l’acrobata sui rami. E se cadi? Dove trovo il tempo per portarti in ospedale?”

Giovanna tacque. Cosa poteva dire? I figli erano cresciuti, avevano la loro vita, il loro lavoro. Laura e il marito gestivano un piccolo negozio di articoli per la casa, sempre con il telefono attaccato all’orecchio, tra clienti e fornitori. Non avevano tempo per la madre.

“Mamma, dobbiamo parlare,” disse Laura, posando il cestino sulla veranda e tornando in giardino. “Vieni, sediamoci.”

Il cuore di Giovanna fece un balzo. Conosceva quel tono: era quello che usava la figlia quando aveva preso una decisione importante… e spiacevole.

Si sedettero sulla vecchia panchina sotto il ciliegio, quella che Giovanna aveva dipinto di verde anni prima. La vernice si era scrostata in più punti, e avrebbe voluto ritoccarla, ma non ne aveva mai avuto il tempo. Adesso, a quanto pare, non ne avrebbe più avuto bisogno.

“Mamma, ricordi quando io e Filippo ti parlavamo di voler ampliare l’attività?” cominciò Laura, guardando oltre i meli.

“Certo,” annuì Giovanna. “Volevate aprire un altro negozio, dall’altra parte della città.”

“Esatto. E ora finalmente siamo riusciti a ottenere il prestito, abbiamo trovato il locale. Ma ci servono altri soldi per la ristrutturazione e la prima fornitura.”

Giovanna si irrigidì. Aveva dei risparmi modesti, messi da parte per le emergenze, ma li avrebbe dati alla figlia senza esitare se glieli avesse chiesti.

“Laura, se hai bisogno di soldi…”

“No, mamma, non è quello il punto,” la interruppe Laura. “Abbiamo deciso di vendere la casa di campagna.”

“Cosa?” Giovanna non credette alle sue orecchie. “Quale casa di campagna?”

“Questa qui,” disse Laura, indicando il giardino con un gesto. “Il signor Lombardi, il nostro vicino, vuole ampliare il suo terreno e ci ha offerto un buon prezzo. E noi quei soldi ci servono subito.”

A Giovanna girò la testa. Vendere la casa? Ma come potevano? Era il loro nido di famiglia. Suo marito, Antonio, l’aveva costruita con le sue mani, piantato gli alberi. Laura era cresciuta qui, tra queste aiuole dove aveva imparato a curare l’orto. Trent’anni di estati passate insieme, e dopo la morte di lui, Giovanna ci aveva trascorso tutte le giornate, da aprile a ottobre.

“E io?” chiese a voce bassa. “Dove andrò?”

“Mamma, lo sai che alla tua età è difficile vivere qui da sola,” disse Laura, posandole una mano sulla spalla. “Non riesci più a tenere tutto in ordine, il tetto perde, il giardino è trascurato. Io e Filippo non possiamo venire ogni weekend a sistemare tutto. E poi tu hai un appartamento in città, pulito e comodo. Non pensare che ti stiamo sbattendo fuori.”

“Ma io non voglio tornare in città,” sussurrò Giovanna, sentendo le lacrime salirle in gola. “Laura, questa è la mia casa. I miei fiori, le mie piante, i vicini con cui chiacchiero ogni mattina. Come posso rinunciarci?”

“Mamma, non se ne parla,” la voce di Laura si fece più dura. “Abbiamo deciso. Lombardi ci dà un prezzo onesto, e abbiamo già stretto la mano. Gli avvocati stanno preparando i documenti. Hai due settimane per sistemare le tue cose.”

“Due settimane?” Giovanna non riusciva a crederci. “Così poco?”

“Meglio farlo in fretta,” tagliò corto Laura. “E poi, mamma… la casa è intestata a me e Filippo, lo ricordi? Tu e papà l’avete regalata a noi dieci anni fa, per evitare rogne con l’eredità.”

Giovanna lo ricordava bene. Antonio aveva insistito: “Meglio sistemare tutto adesso, finché siamo in salute”. E lei aveva acconsentito. Come poteva immaginare che la figlia l’avrebbe cacciata dalla casa che avevano costruito insieme?

Quella notte non riuscì a dormire. Continuava a guardare il soffitto, quello che Antonio aveva rifinito con le sue mani, e pensava a tutto quello che avrebbe dovuto lasciare. I meli piantati quando Laura aveva cinque anni. Le fragole che i ragazzini del vicinato rubacchiavano, e lei fingeva di non vedere. La veranda dove, d’estate, chiacchierava con le amiche sorseggiando tè con la marmellata di lamponi.

Il mattino dopo arrivò Filippo, con scatoloni e sacchi per la spazzatura. “Giovanna, posso aiutarti a fare le valigie?” le chiese, evitando il suo sguardo.

“Dove andranno i miei mobili, Filippo? Da Lombardi? A lui non serviranno. Probabilmente demolirà la casa per allargare il giardino.”

Filippo esitò. “Beh, alcune cose le butteremo. Laura ha detto che per l’appartamento compreremo tutto nuovo.”

“Con quali soldi?” avrebbe voluto chiedere Giovanna, ma rimase in silenzio. La sua pensione bastava a malapena per le medicine e la spesa. Era per questo che preferiva la campagna: almeno lì poteva coltivare qualcosa, scambiare favori con i vicini.

“Filippo,” lo guardò dritto negli occhi, “non c’è un’altra soluzione? Dovete per forza vendere?”

Filippo distolse lo sguardo. “Giovanna, credimi, abbiamo valutato tutto. È la scelta migliore. Alla tua età è meglio stare vicino agli ospedali, ai negozi. Qui sei isolata, l’autobus è lontano. D’inverno, con la neve, diventa impossibile uscire.”

Passarono giorni in un limbo. Giovanna continuava a uscire in giardino, accarezzando i tronchi dei meli come per dirgli addio. La vicina, Maria, scuoteva la testa: “Ma davvero te ne vai?”

“Non ho scelta,” sospirava Giovanna.

“E se ti rifiutassi di firmare?”

“La casa non è mia,” rispondeva lei.

Quella sera arrivò Laura con Beatrice. La bambina corse subito in giardino, verso l’altalena che ilIl giorno dopo, mentre preparava la valigia con le mani tremanti, il signor Lombardi bussò alla porta con un sorriso e una proposta che avrebbe cambiato tutto: “Giovanna, se non vuoi andartene, perché non resti qui come custode della casa e del giardino? Io ho bisogno solo del terreno, non della memoria”.

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