Vuoi mangiare bene o male? La mia risposta ti lascerà senza parole.

A quei tempi, nel bel mezzo di una vacanza in un hotel con trattamento all-inclusive, mio marito fece una scenata che avrei ricordato per sempre. “Finalmente mangio qualcosa di decente, non la tua brodaglia insipida!” sibilò davanti al buffet. Ma la mia risposta, servita direttamente nel suo piatto, lo fece impallidire come un cencio lavato.

Chi è sposato da anni lo sa: gli uomini si dividono in due tipi. Quelli che mangiano qualsiasi cosa tu prepari, ringraziando con un sorriso, e quelli come il mio Raffaele. Per lui, ogni mio piatto era un’occasione per criticare.

Trent’anni di matrimonio, e non ho mai sentito altro: “Hai messo troppo sale nel minestrone”, “Le patate sono crude”, “Le polpette di mia madre erano soffici, non come le tue suole di scarpa”. Un vero tesoro, quello lì!

A dire il vero, avevo cominciato a credere di essere negata in cucina. Ma io mi impegnavo, ragazze, come una forsennata! Compravo libri di ricette, guardavo programmi di cucina.

Preparavo di tutto: sformati nelle cocotte, anatra alle mele per Capodanno, minestrone fatto bollire per ore. E in cambio? Solo smorfie e paragoni con sua madre, che Dio l’abbia in gloria.

Negli ultimi anni, poi, si era aggiunto un altro problema. Raffaele, a causa del peso eccessivo, aveva iniziato ad avere seri problemi di salute: pressione alle stelle, colesterolo fuori controllo.

Il medico, un vecchietto severo, gli aveva detto chiaro e tondo: “Raffaele, ancora un attacco e potresti non rialzarti. Niente fritti, niente grassi, niente sale. Dieta, altrimenti niente da fare.” E chi pensate che dovesse fargli rispettare questa dieta? Esatto: io.

Cucinavo tutto al vapore, stufavo senza olio, aggiungevo il sale direttamente nel piatto. E lui? Borbottava che lo stavo affamando e lo nutrivo “d’erba”. Che pazienza ci voleva!

Quando partimmo per quella vacanza, con tutto incluso, sospirai di sollievo. Finalmente avrei riposato, lontano dai fornelli e dalle critiche. Avrebbe mangiato quello che voleva, scoprendo che il cibo del ristorante non è sempre meglio di quello casalingo. Ma quanto mi sbagliavo…

Fin dal primo giorno, la vacanza si trasformò in un inferno gastronomico. Davanti al buffet, Raffaele perse la testa. Girava tra le pietanze come un avvoltoio affamato.

Il suo piatto sembrava un’opera d’arte: risotto al burro, arrosto di maiale, insalate condite con maionese, e sopra, una fetta di pizza.

Io tentai di ricordargli, con delicatezza: “Raffaele, il dottore ha detto… la pressione… ricordi quanto stavi male il mese scorso?” Ma lui mi zittì con un gesto: “Non rompere, donna! Sono in vacanza! Ho pagato, mangio quello che voglio! Finalmente mi godo un pasto decente, senza le tue brodacce!”

E così, lì seduto, masticava rumorosamente, ingozzandosi di tutto, mentre io stuzzicavo un’insalatina, sentendomi più una badante che una moglie. Era tragico e ridicolo insieme.

I giorni passavano. Lui mangiava, io tacevo. Lui lodava i cuochi, io digrignavo i denti. Al telefono con nostro figlio, vantava quanto si stesse “rifacendo dopo anni di digiuno”, mentre io stringevo i pugni. Ma una sera, la pazienza mi abbandonò.

Mentre io prendevo un po’ di verdure e un pezzo di petto di pollo, lui tornò con una montagna di cibo così grassa che mi venne la nausea solo a guardarla.

Assaporando un pezzo di agnello unto, chiuse gli occhi estasiato e, a bocca piena, sbottò: “Ecco, questa sì che è vera cucina! Saporita, gustosa, autentica! Finalmente mangio bene, non la tua solita pappetta insipida!”

Ragazze mie, in quel momento stavo per lasciar cadere la forchetta. Trent’anni ai fornelli, preoccupazioni, diete… e tutto per sentirsi dire “pappetta insipida”!

Tutta la rabbia repressa esplose come un’onda. Respiravo a fatica. “Ah sì?” pensai. “Vuoi del cibo ‘vero’? Eccotene, allora! Te lo ricorderai per tutta la vita!”

La sera dopo, andai a cena con un sorriso da predatrice. Raffaele, ignaro, stava già scegliendo le pietanze. Gli mi avvicinai e dissi dolcemente: “Tesoro, siediti, riposati. Stanotte penso io a te. Sei il mio amato marito, devo coccolarti.”

Mi guardò perplesso, ma obbedì. Io presi il piatto più grande e iniziai l’opera.

Vi ammucchiai tre costolette fritte fino a farle scricchiolare, una montagna di patatine, insalata russa, carote piccanti, ali di pollo e salsicce in crosta. E sopra, una generosa colata di ketchup, salsa al formaggio e senape.

Il cuoco mi fissò come fossi pazza. Forse pensò che volessi sfamare un’intera famiglia.

Io, come Madre Teresa, portai quel “miracolo di grasso” al nostro tavolo e lo posai davanti a Raffaele. “Mangia, amore mio, non fare il timido! Tutto il meglio per te. Volevi del cibo vero? Eccolo qua! Buon appetito, tesoro!”

Lo dissi a voce alta, perché tutti sentissero. La gente si voltò. Qualcuno rise, una signora mi lanciò un’occhiata di complicità. Raffaele cambiò colore: prima impallidì, poi arrossì. Nei miei occhi vide non affetto, ma ghiaccio. E capì: quella non era gentilezza, era una condanna.

“Tu… cosa stai facendo?” sussurrò.

“Che c’è, amore? Non ti piace?” risposi con dolcezza. “È il cibo ‘vero’, no? L’hai detto tu. Mangia, ho fatto del mio meglio.”

Rimase come fulminato. Non poteva fare una scenata—dopotutto, lo stavo “coccolando” davanti a tutti. Mangiare sarebbe stato un suicidio. Era caduto in trappola.

Per cinque lunghi minuti stette in silenzio, poi spinse via il piatto. Per il resto della vacanza, mangiò solo petto di pollo e verdure. E ogni volta che mi guardava, c’era terrore nei suoi occhi.

E voi, care amiche, avete mai vissuto qualcosa di simile?

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