La Figlia Ritorna

— Me ne vado, papà, — la voce di Giulia tremava, ma i suoi occhi bruciavano di determinazione. Era in piedi sulla soglia della loro piccola cucina, stringendo il telefono come un salvagente. Sulla sua giacca di jeans scintillava una spilla con la scritta «Sogno». — Dalla zia Elena. A Milano. Lì almeno c’è vita.

Andrea si bloccò, la tazza di tè freddo tra le mani. Sua figlia, la sua Giulia, lo guardava come se fosse un estraneo. Fuori, la città brulicava di suoni — clacson, risate di bambini — ma dentro di lui regnava un silenzio pesante, come prima di una tempesta.

— Te ne vai? — ripeté, cercando di mantenere la voce ferma. Le sue nocche erano bianche per la stretta sulla tazza. — E pensi che laggiù sarà meglio? Senza di me?

— E qui cosa c’è? — Giulia sbuffò, scrollandosi i capelli scuri dal viso. — Tu sei bloccato nel passato. Con mamma. Con quel tuo autobus marcio. Io non ce la faccio più, papà. Ho quindici anni, mi sento in gabbia!

Si voltò e sparì in camera sua, sbattendo la porta. L’eco rimase sospeso nell’aria. Andrea posò la tazza sul tavolo, il cuore stretto in una morsa. Sapeva che Giulia aveva ragione — lui si aggrappava al passato come a un relitto. Ma lasciarla andare? Era più di quanto potesse sopportare.

***

L’alba nel loro appartamento alla periferia di Roma odorava di caffè, toast bruciacchiati e olio di motore che Andrea si portava addosso. Si svegliava alle sei, come sempre, per il primo turno. Il suo vecchio autobus, sbiadito dal sole, lo aspettava nel deposito. Guidare era una routine, ma lo teneva a galla — dopo la morte di Elena, sua moglie, cinque anni prima.

— Giulia, alzati, farai tardi a scuola! — gridò, girando le uova nella padella. La radio canticchiava una canzone pop. Nessuna risposta. Ultimamente Giulia parlava poco, nascosta tra cuffie e schermi.

— Papà, ci penso io, — borbottò, apparendo in cucina. L’uniforme scolastica era stropicciata, le sneakers slacciate. — Sei stato di nuovo in garage tutta la notte?

— Dovevo sistemare il motore, — scrollò le spalle, porgendole un panino. — Mangia, sennò arrivi a pranzo affamata.

— Non ho fame, — fece gli occhi al cielo, ma addentò il panino. Assomigliava a Elena — gli stessi occhi scuri, lo stesso mento ostinato. A volte Andrea la guardava e rivedeva sua moglie ridere nella loro prima casa, quando tutto era ancora possibile. Ma Elena se n’era andata, il cancro l’aveva portata via in fretta, lasciandolo con Giulia e un vuoto che non sapeva colmare.

— Papà, stasera torno tardi, — disse Giulia, già diretta alla porta. — Progetto scolastico, poi esco con Sofia.

— Va bene, ma chiamami, — asciugò le mani sul canovaccio. — E non fare tardi, eh?

— Lo so, lo so, — sbuffò, lasciandosi dietro una scia di shampoo alla fragola.

Andrea sospirò, finì il caffè e uscì. Il suo autobus, ribattezzato dai colleghi “Il Vecchio”, era più di un mezzo: era il suo mondo. Ma Giulia lo odiava. «È come te, vecchio e noioso», gli aveva detto una volta, e quelle parole lo avevano ferito più del previsto.

***

Andrea non ricordava bene come era iniziato tutto. Aveva vent’anni quando vide Elena per la prima volta — era alla fermata, vestita di azzurro, e litigava col bigliettaio perché non accettava le sue monetine. Lui, allora apprendista, le aprì le porte.

— Salta su senza biglietto, — le strizzò l’occhio. — Ma non urlare, che svegli il quartiere.

— Io non urlo, — sbuffò lei, ma arrossì. — Sei sempre così gentile?

— Solo con le ragazze belle, — scherzò, e lei rise, gettando indietro la testa.

Era così che era cominciato. Elena insegnava musica, suonava la chitarra e cantava vecchie canzoni — da Battisti a De André. Sognava viaggi, il mare, una casa con un giardino. Andrea le aveva promesso tutto, ma la vita aveva deciso altrimenti. Giulia arrivò tardi, ed Elena era radiosa. Poi vennero i medici, le diagnosi, gli ospedali. Andrea le tenne la mano fino all’ultimo, ma non bastò.

— Prenditi cura di Giulia, — sussurrò Elena in quell’ospedale che puzzava di disinfettante. — E di te, Andrea. Non dimenticarti di vivere.

— Promesso, — disse lui, ma le lacrime lo soffocavano.

Dopo il funerale, si gettò nel lavoro. L’autobus era il suo rifugio, un luogo dove non doveva pensare. Giulia cresceva, ma tra loro si alzava un muro. Lo accusava di vivere nel passato. Lui non sapeva come spiegarle che aveva paura di perdere anche lei.

***

Quella sera tornò a casa prima, con la spesa — patate, latte, i yogurt alla fragola che piacevano a Giulia. La trovò in camera, la porta socchiusa. Stava al telefono, e ogni parola lo trafiggeva.

— Sì, zia Elena, sono seria. Voglio venire da te a Milano. Papà… non vive, sopravvive. Sempre con quel maledetto autobus, con la mamma in testa. Io qui soffoco! Lui manco si accorge che esisto!

Andrea indietreggiò, sentendo il terreno mancargli sotto i piedi. Giulia voleva andarsene? Lo lasciare lì solo? Si sedette in cucina, fisso davanti alla tazza vuota. I ricordi lo assalirono — le gite al lago, Elena che cantava, Giulia che rideva. Quando era diventato tutto così distante?

Il giorno dopo, prese una decisione. Chiamò l’amico Sergio, il meccanico.

— Dai una sistemata al Vecchio? — chiese, sbucciando le patate. — Voglio portare Giulia… in un posto speciale. Come una volta.

— Eh, il romantico! — rise Sergio. — Ci penso io. Ma sei sicuro? Sai che Giulia lo odia.

— Sicuro, — serrò il telefono. — Sarà l’ultimo viaggio.

***

Ci volle una settimana per preparare tutto. Andrea prese ferie per la prima volta in anni, e con Sergio ripararono il motore, pulirono i sedili, cambiarono il vetro rotto. Appese le tendine che Elena aveva cucito — azzurre, con i fiorellini — e sistemò il vecchio stereo con le cassette. Giulia non sospettava niente.

Il venerdì sera andò da lei.

— Domani usciamo. Io e te. Con l’autobus, — disse.

— Quel rottame? — fece una smorfia. — Papà, ma sei serio? Ho da fare con Sofia.

— Solo un paio d’ore. Ti piacerà. Ti ricordi il lago?

Per un attimo, negli occhi di Giulia passò qualcosa. Sospirò.

— Va bene. Ma se è una roba noiosa, te lo faccio pagare.

***

La mattina era tersa, il cielo blu come vetro. Andrea caricò il cestino — panini, the, i biscotti al cioccolato che adorava Giulia. Lei uscì dall’ascensore in jeans e giacca, la spilla al collo. Vedendo l’autobus, alzò gli occhi al cielo.

— Questo è il tuo piano geniale? Sembri uscitoSi sedettero sulla riva del lago in silenzio, ascoltando il vento tra i canneti, e per la prima volta in anni Andrea sentì che il passato poteva finalmente riposare, mentre il futuro, insieme a Giulia, iniziava proprio lì, sotto quel sole tiepido che tingeva l’acqua d’oro.

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