Alla fine dell’autunno
Mentre si avvicinava alla fine del liceo, finalmente Ginevra aveva deciso il suo futuro: avrebbe studiato medicina, anche se fino all’ultimo aveva esitato sulla scelta. Studiava bene, e viveva con i genitori, al sicuro come in un nido. Non le mancava nulla: genitori affettuosi, vestiti eleganti, vacanze al mare, regali.
Suo padre, Marcello Rinaldi, lavorava nell’amministrazione comunale e ricopriva una posizione importante. Non negava mai nulla a sua moglie o a sua figlia, vestendola come una principessa. Era certo di un futuro luminoso per Ginevra. Sua madre, invece, non lavorava, dedicandosi alla casa.
Ma la vita può essere crudele, e il destino può voltarsi all’improvviso…
«Mamma, vado!» annunciò Ginevra, finendo in fretta la colazione mentre usciva di casa di corsa. Era in ritardo per scuola e dovette affrettarsi. «Perché ho passato la notte sul telefono fino alle tre? Stamattina faccio fatica ad aprire gli occhi…» pensò, ma riuscì comunque a entrare in classe ansimante appena prima del suono della campanella.
«Ti inseguiva qualcuno?» chiese l’amica Sofia quando Ginevra si lasciò cadere al suo fianco.
«Nessuno, ho dormito troppo» rispose, mentre il suono della lezione le faceva scambiare un’occhiata di disappunto.
Dopo la terza ora, la professoressa si avvicinò a Ginevra, evitando il suo sguardo.
«Devi tornare a casa. C’è… qualcosa con tuo padre.»
«Cosa? Che è successo?» chiese terrorizzata, afferrando le sue cose e correndo verso casa.
Davanti al palazzo c’erano i vicini, un’ambulanza e la polizia appena arrivata. Ginevra salì in appartamento con due agenti… Sua madre non piangeva più, ma sedeva dondolandosi, il viso scavato dal dolore. Sul divano giaceva suo padre.
«Il cuore, Ginevra… il cuore di tuo padre non ha retto» sussurrò la vicina all’orecchio.
La figlia corse dalla madre, e si abbracciarano, scoppiando in lacrime. I funerali e il pranzo che seguì passarono in un velo di confusione. I vicini si avvicendarono per sostenerle, ma la madre si era pietrificata, incapace di parlare con la figlia.
«Mamma, per favore, dimmi qualcosa…» la supplicava Ginevra, ma quella la fissava soltanto, lo sguardo vuoto, perso nel nulla. Poi, una mattina, mentre Ginevra beveva il caffè da sola, sua madre entrò in cucina e mormorò:
«Mi chiama, piccola… tuo padre mi chiama» poi si guardò intorno e crollò a terra.
Ginevra le si precipitò addosso, scuotendola: «Mamma! Mamma!» poi corse dalla vicina, la signora Rossana.
La donna chiamò subito l’ambulanza. La madre giaceva immobile, Ginevra piangeva disperata, mentre la vicina la stringeva:
«Tranquilla, Ginevra, arriverà il dottore presto… hanno detto che sono già in strada.»
L’ambulanza arrivò rapidamente. Il medico si chinò su sua madre, poi scosse la testa.
«Mi dispiace… non possiamo far nulla. È già passata.»
Ginevra non ricordò nemmeno come si riprese. Rossana prese tutto in mano: non c’erano parenti. Sua madre era cresciuta in un orfanotrofio, e suo padre era figlio unico. Aiutarono le professoresse e i compagni di scuola. Piano piano, Ginevra si riprese, e Rossana si prese cura di lei: la svegliava, la aspettava dopo scuola, le preparava la cena.
Finalmente, gli esami finirono, e arrivò il diploma. Ginevra dovette cambiare tutti i suoi piani. L’università era ormai un sogno lontano. Doveva pensare a sopravvivere: i soldi dei genitori non sarebbero durati per sempre.
«Zia Rossana, grazie… hai fatto in modo che mi assumessero al supermercato. Ora almeno guadagnerò qualcosa.»
«Hai fatto bene, Ginevra. La vita adulta va affrontata, e studiare potrai farlo più tardi. L’importante è tenere la testa sulle spalle e usare il cervello.»
Ginevra lavorava senza lamentarsi, facendo anche straordinari: puliva i pavimenti, aiutava a scaricare le consegne. Era difficile credere che quella ragazza fragile ed elegante avesse avuto una vita così diversa.
Un giorno, davanti a casa, la fermarono un uomo e una donna.
«Ginevra?» chiese la donna.
«Sì… ma voi chi siete? Non vi conosco» rispose la ragazza, stanca dopo il turno.
«Vorremmo parlare del tuo futuro. Puoi invitarci dentro?»
«Ma perché dovrei? Non vi conosco.»
«Io sono Anna, e lui è Paolo» disse la donna, indicando l’uomo.
«Non aver paura, Ginevra. Non ti faremo del male… ma qui in strada non è il caso di parlare.»
Entrarono insieme in casa, sedendosi in salotto.
«Ginevra, ti proponiamo di vendere il tuo appartamento. Per te sola è troppo grande… quattro stanze sono eccessive, e le bollette sono salate.»
«È vero, le spese sono alte» ammise Ginevra. «Ma non venderò. Questa casa è tutto ciò che mi resta dei miei genitori.»
«Noi ti offriamo un bilocale. Con i soldi della vendita, potresti comprartelo.»
Ginevra non aveva alcuna intenzione di vendere, e rifiutò. I due si scambiarono un’occhiata, poi si congedarono educatamente.
«Ci rivedremo, Ginevra. Pensa bene… da sola, che te ne fai di tutto questo spazio?»
La ragazza raccontò tutto a Rossana.
«Non parlare più con loro! Vogliono solo imbrogliarti. Se tornano, chiamami subito!»
Anna continuò a telefonare, chiedendo se avesse cambiato idea.
«Ma come hanno avuto il mio numero?» si chiese Ginevra.
Una sera, la fermarono di nuovo davanti al palazzo.
«Abbiamo bisogno di parlare» disse Anna.
«Vi ho già detto di no! Non venderò!» rispose Ginevra con fermezza.
Alzò lo sguardo e vide Rossana alla finestra. Pochi istanti dopo, la vicina uscì.
«Chi siete? Cosa volete?» chiese, prendendo Ginevra per mano. «Andiamo dentro. Non avete nulla da fare qui.»
Una volta in casa, Rossana chiamò suo figlio, Antonio, che lavorava nei carabinieri.
«Anto’, sono tornati quei due… mi preoccupa questa ragazza.»
Antonio arrivò subito, interrogò Ginevra e le lasciò il suo numero.
«Se succede qualcosa, chiamami.»
Tre giorni dopo, mentre Ginevra era al lavoro, entrarono Anna e Paolo. I loro sguardi non promettevano nulla di buono. Ginevra compose rapidamente il numero di Antonio, che rispose mentre lei parlava con loro.
«Ginevra, non perderemo altro tempo. Accetta, o te ne pentirai» sibilò Paolo, vedendola impaurita.
Le minacce continuarono, ma Ginevra teneva gli occhi fissi sulla porta. Quando Antonio e due colleghi entrarono, tirò un sospiro di sollievo.
Bloccarono Paolo e spinsero Anna nell’auto, portandoli via. Ginevra dovette testimoniare più volte.
«Ora sei al sicuro» le disse Antonio tempo dopo. «Li chiuderanno per un bel po’. Non sei la prima