Non meriti le mie lacrime

— Non dimenticarlo, Giulia: senza di me non saresti diventata nessuno — disse la madre, fissandosi i capelli con una forcina d’ambra. — Ti ho cresciuta tra le mie braccia, ti ho trovato un buon marito, ti aiuto con tua figlia… e tu?

Giulia lavava i piatti in silenzio. Le mani si muovevano automaticamente, ma dentro di lei tutto si stringeva in un nodo d’angoscia. Sapeva cosa sarebbe venuto dopo: la solita lezione su tutto ciò che faceva male.

— E del tuo lavoro non ne parliamo. Chi diventa contabile dopo aver studiato lettere? Vergogna. Avresti potuto insegnare, come la figlia della mia amica, la Simona. E invece te…

Non rispose. Aveva imparato a tacere. Il silenzio era il suo unico scudo. Quando provava a ribattere, scoppiava la tempesta. Sua madre sapeva colpire con le parole.

La famiglia viveva in un vecchio trilocale alla periferia della città: Giulia, suo marito Luca, la figlia Sofia di sei anni e la madre, Elena Rossi. Dopo la morte del padre, Giulia aveva insistito perché la madre si trasferisse da loro. All’inizio sembrava una buona idea: la nonna vicina, che poteva aiutare con Sofia, e lei avrebbe potuto lavorare in pace.

Ma presto Elena prese il controllo. Gestiva la casa, commentava ogni gesto, e secondo lei persino il tè era preparato “male”.

Luca sopportava. A volte cercava di scherzare, a volte spariva per ore in garage. Era un uomo semplice, buono, un po’ stanco. Senza pretese, ma caloroso. Giulia lo amava, ma ogni anno quel calore sembrava allontanarsi, come se qualcosa di freddo si fosse frapposto. E quel “qualcosa” sedeva in cucina, in vestaglia a fiori, a spiegare come dovevano andare le cose.

Tutto cambiò con la chiamata del medico. La salute di Elena peggiorava: forti mal di testa, nausea, confusione. La diagnosi confermò il peggio: un glioblastoma inoperabile. I medici parlarono di “pochi mesi”, forse un anno se fortunati.

Giulia non pianse. Si bloccò. Poi si mise in moto come un automa: esami, cliniche, consulenze. Spostò riunioni, chiese al capo di lavorare da remoto. Lui acconsentì. Anche Luca. Persino Sofia sembrò capire che ora la mamma era sola.

Elena, invece, non cambiò. Si lamentava delle infermiere, rispondeva male ai dottori, criticava la minestra. Solo di notte, quando credeva di non essere sentita, sussurrava nel cuscino.

Un giorno Giulia cercava una coperta nel ripostiglio. Tra scatole e pacchi, trovò una scatola da scarpe. Dentro, lettere. La maggior parte indirizzate a lei, ma scritte da altri.

La prima diceva:
*”Giulia, ti aspetto. Ti chiamo ancora, non posso credere che tu sia sparita così. La tua Sonia.”*

Sonia. La sua amica del liceo. La più cara. Quella con cui sognavano Parigi, una libreria, scrivere racconti. Non avevano litigato, semplicemente smisero di parlarsi. E per anni Giulia credeva che l’avesse abbandonata.

Altre lettere erano di Sonia, una da un datore di lavoro che la invitava a fare uno stage a Milano. Giulia riconobbe la busta: ne aveva ricevuta una identica, ma… vuota. Allora pensò a un errore.

Poi una di Luca. Vecchia, prima del matrimonio. Scriveva di voler partire per la Sicilia, aprire un’attività, vivere al mare. Giulia non l’aveva mai ricevuta. Pensò che avesse cambiato idea.

Cadde a terra, le lettere tra le mani. Il mondo si inclinò.

Non erano errori. Era sabotaggio.

Sua madre intercettava la posta. Nascondeva, forse rispondeva al posto suo. Le tornavano in mente le frasi:
*”Quella Sonia è una vuota, ti lascerà appena può.”*
*”Luca? Ti trascinerà in rovina!”*
*”Uno stage a Milano? Frode. Vuoi lavare piatti?”*

E lei ci aveva creduto.

Trascorse la sera con quelle lettere. Poi andò in cucina, si sedì di fronte a Elena. Era ora della verità.

— Ho trovato le lettere. Di Sonia. Di Luca. Quella di Milano.

Elena non si scompose. Sbuffò:
— E quindi?

— Le hai nascoste?

— Certo. Volevo proteggerti. Quella Sonia è una serpe, Luca un illuso, e a Milano ti avrebbero ingannata!

— Non era protezione. Era controllo — disse Giulia piano. — Mi hai rubato le scelte.

— Sono tua madre! So io cos’è meglio!

— Volevi che restassi con te. Sempre. Sotto controllo. Non hai solo nascosto lettere. Hai detto a papà che non gli servivo. Hai rovinato tutto.

— Sciocchezze! Senza di me saresti perduta!

— Forse è con te che mi sono persa.

Per un attimo, Elena tacque. Negli occhi le passò qualcosa: paura? Vuoto? Poi sussurrò:
— Avevo paura di restare sola.

Una settimana dopo, Giulia fece le valigie. Affittò un appartamentoSi trasferì nel nuovo appartamento con Luca e Sofia, e per la prima volta respirò l’aria della libertà, sapendo che finalmente poteva volare con le proprie ali.

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