Ciò che è perduto non torna: una storia di vera felicità

*La storia di una felicità perduta*

Sedetevi accanto al camino, figlioli, che il freddo penetra nelle ossa e il cuore chiede di raccontare. Ascoltate, perché la vita a volte sa essere più amara del caffè più forte…

Tanto tempo fa, quando gli ulivi erano più alti e i cuori più semplici, viveva una giovane donna di nome Ginevra. Bella come un fiore di ginestra al primo sole, buona come il pane appena sfornato. Aveva un sorriso che scaldava l’anima e una purezza d’acque di montagna.

Si innamorò di un uomo, Vittorio. Alto, fiero, con capelli neri come la pece e una voce che risuonava come le campane di San Pietro. Ma ahimè, l’orgoglio gli bruciava dentro come la lava dell’Etna. Credeva che il mondo gli dovesse tutto, che la fortuna dovesse inchinarsi al suo passaggio.

Poco dopo il matrimonio, Ginevra rimase incinta. Andarono insieme all’ecografia, e il medico disse: “Sarà un maschio”. Vittorio s’illuminò di gioia! Corse per le strade di Roma, gridando che avrebbe avuto un erede. Ordinò spumante al bar, vantandosi con gli amici: suo figlio sarebbe diventato un magnate, forse persino un uomo di potere.

Ma la vita ama giocare i suoi scherzi. Quando arrivò il momento, Ginevra diede alla luce una bambina — delicata come un petalo di rosa sotto la luna. La chiamarono Lucia, perché era la luce dei suoi occhi.

E sapete cosa fece Vittorio? Non si presentò all’ospedale. Disse che voleva un figlio maschio, un erede, e che “una femminuccia si poteva sempre sistemare da qualche parte”. E così, Ginevra rimase sola con la piccola tra le braccia.

Dove andare? A chi rivolgersi? Alla fine, si trasferì in una vecchia casa popolare dove viveva nonna Lina. Oh, che donna preziosa! Le offriva tè caldo, aiutava a lavare i pannolini, le asciugava le lacrime con parole dolci. Perché, ricordate, bambini: la famiglia non è sempre quella del sangue, ma quella che ti stringe quando il buio ti circonda.

Vivevano con poco, senza lussi. Ginevra lavorava giorno e notte: di mattina vendeva giornali in edicola, di sera puliva uffici. Le mani screpolate dal freddo, la schiena piegata dalla fatica, ma il cuore rimaneva caldo. Per chi? Per sua figlia, che cresceva bella e intelligente, con occhi sinceri e un’anima gentile.

Passarono molti anni. Lucia era ormai una ragazza, aiutava la madre e sognava di studiare all’università. Un giorno, tornando a casa, Ginevra vide una Mercedes nera come la notte senza stelle. Accanto, un uomo in un costoso abito grigio, con un anello d’oro massiccio al dito. E un ragazzino di dieci anni — la sua copia esatta.

Ginevra lo riconobbe all’istante: Vittorio. Anche lui la fissò, impietrito. E in quel momento, Lucia, stringendo la mano della madre, chiese piano:
“Mamma, chi è quell’uomo?”

Vittorio impallidì. Vide in quella ragazza sé stesso — lo stesso sorriso, lo stesso sguardo. Il suo sangue, la sua creatura… ma cresciuta da altre mani. E allora lo colpì come un fulmine: lui aveva rinunciato a quella felicità.

Fece un passo avanti, aprì la bocca. Forse per dire “scusami”, forse “sono stato un pazzo”. Ma le parole si strozzarono in gola. Perché cosa poteva fare ora? Gli anni perduti non tornano, e la fiducia non si compra, neanche con tutto l’oro del mondo.

Ginevra strinse più forte la figlia e disse con calma:
“Non pensare a lui, luce mia.”

E se ne andarono per la loro strada. Forse non avevano ricchezze, ma possedevano ciò che conta davvero: l’amore e il sostegno l’una dell’altra. Perché, ricordate, la felicità non sta negli euro, nelle macchine o negli anelli luccicanti. Sta nelle mani che ti accarezzano e nel cuore che ti aspetta, senza condizioni.

E Vittorio? Rimase con il suo vuoto, tra i lussi ma senza calore. Perché chi non sa custodire l’amore quando lo ha, potrà pure nuotare nell’oro, ma l’anima resterà sempre al gelo.

Così va la vita. Non sottovalutate chi vi sta accanto, perché certe occasioni perdute non tornano più.

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