“Figlio mio, hai visto cosa ha scritto tuo figlio su di te?” La voce di Silvia tremava di rabbia, il telefono quasi le scivolava di mano. “No, non su di me, su di te! Valerio! Il tuo adorato Valerino! L’ha postato sui social!”
Anna Maria si sedette lentamente sulla sedia della cucina, stringendo il telefono più forte. Qualcosa le si contorse nello stomaco, come quando i medici avevano annunciato la diagnosi a Michele. Solo che questa volta era peggio.
“Cos’ha scritto, Silvia?” sussurrò, anche se già immaginava che non avrebbe sentito nulla di buono.
“È… è un papiro intero! Dice che tipo di madre sei stata! Che lo hai controllato per tutta la vita, che non lo hai lasciato vivere! Che per colpa tua non ha una relazione stabile! Mamma, non riesco nemmeno a leggere tutto, mi tremano le mani! E i commenti… Dio santo, quello che scrive la gente!”
Anna Maria chiuse gli occhi. La cucina intorno a lei si fece scura, solo il frigorifero continuava a ronzare, come ogni sera. Sul tavolo, la pasta al pesto che aveva preparato per Valerio era ormai fredda. Lui non era venuto a cena, nonostante lei l’avesse fatta proprio come piaceva a lui, con le polpettine.
“Mamma, mi senti?” Silvia si preoccupò.
“Ti sento, piccola. E nei commenti cosa dicono?”
“Non voglio ripeterlo. Meglio che non lo legga, d’accordo? Il tuo cuore… Vengo da te ora, va bene?”
“No, Silvia. È tardi, devi mettere a letto i bambini. Io… io me la vedrò.”
Appesa la cornetta, Anna Maria rimase immobile a lungo. Fuori, il crepuscolo di ottobre si addensava, i lampioni del cortile si accesero. Da qualche parte, un bambino piangeva, una porta dello stabile sbatté. Suoni normali di una sera normale, eppure dentro di lei tutto era capovolto.
Valerio tornò verso le undici, puzzando di birra e sigarette. Anna Maria lo aspettava nell’ingresso, osservandolo mentre si toglieva le scarpe senza guardarla.
“Vuoi cenare?” gli chiese piano.
“Non ho fame.” Appese la giacca, continuando a evitare il suo sguardo.
“Valerino…”
“Che c’è?” Si voltò di scatto, e nei suoi occhi lei vide qualcosa di estraneo. Rabbia? Vergogna? Giustificazioni?
“Perché l’hai scritto?”
Il figlio tacque, massaggiandosi la fronte. Anna Maria notò quanto fosse invecchiato negli ultimi mesi. Valerio aveva ormai trentadue anni, eppure lei continuava a vederlo come il bambino che tornava da scuola raccontando di litigi e brutti voti.
“Mamma, non volevo ferirti,” disse finalmente. “È solo… un momento difficile. Con Laura è finita, al lavoro problemi. E la psicologa mi ha detto che devo elaborare i traumi dell’infanzia.”
“Traumi?” ripeté lei. “Quali traumi, Vale? Che ti ho fatto?”
“Mamma, dai… sei sempre stata troppo… presente. Ti ricordi quando all’università mi chiamavi ogni giorno per chiedere se avessi mangiato o se mi fossi coperto? O quando hai conosciuto la mia coinquilina e le hai chiesto di tenermi d’occhio?”
Anna Maria si appoggiò al muro. Sì, ricordava quella ragazza, Chiara. Una brava ragazza, di una famiglia numerosa. Le portava biscotti fatti in casa, le chiedeva di ricordare a Valerio di mangiare se si dimenticava. Cosa c’era di male?
“E ti ricordi,” continuò lui, entrando in salotto, “quando venivi ogni weekend? Portavi pentole di minestra, mi lavavi i vestiti? I miei amici mi prendevano in giro.”
“Volevo aiutarti,” sussurrò lei. “Ho solo te e Silvia. Dopo che papà è morto…”
“Ecco, appunto!” esplose lui. “Hai riversato su di noi tutto l’amore che non potevi più dare a lui! E noi soffocavamo! Silvia almeno si è sposata, è andata via, ma io…”
“Ma tu cosa? Ti ho mai proibito qualcosa? Ostacolato nel trovare una moglie?”
Valerio si sedette sul divano, la testa tra le mani.
“Mamma, non capisci. No, non mi hai mai vietato nulla. Ma eri sempre lì! Sempre! Le mie ragazze le viziavi, le coccolavi, e poi loro si sentivano fuori posto. A che servivo io, se avevi una mamma che faceva tutto al posto mio?”
“Anche Laura la pensava così?”
“Laura…” sospirò pesantemente. “Laura mi ha detto che sono immaturo. Che a trentadue anni vivo ancora con mia madre come un ragazzino. Che devo imparare a stare in piedi da solo.”
Anna Maria andò in cucina, accese il bollitore. Le mani le tremavano, riusciva a malapena a posare le tazze. Valerio la seguì, si fermò sulla porta.
“Mamma, non volevo farti male. Davvero. Ma avevo bisogno di dirlo, capisci? E sui social è più facile. La gente condivide esperienze, dà consigli…”
“E che ti hanno consigliato?” chiese lei, senza voltarsi.
“Di tutto. C’è chi dice che devo andarmene di casa. Chi dice che devo tracciare dei confini. Altri scrivono che hanno gli stessi problemi.”
Anna Maria versò il tè, aggiunse lo zucchero. Ricordò come vent’anni prima, in quella stessa cucina, preparava il tè per Michele quando la chemioterapia lo debilitava. Come lui le chiedeva di non lasciarlo solo, stringendole la mano e dicendo: “Anna, promettimi che ti prenderai cura dei bambini. Promettimi che non li lascerai soli.”
“Mamma, che succede?” Valerio si spaventò. “Stai piangendo?”
Non si era accorta delle lacrime. Le asciugò con la manica della vestaglia, si voltò verso di lui.
“Vale, forse hai ragione. Forse ho davvero esagerato. È solo che… avevo paura. Dopo la morte di tuo padre, temevo di perdere anche voi. Temevo di non farcela da sola. Di non poter essere anche il vostro padre.”
Il figlio si avvicinò, l’abbracciò goffamente.
“Mamma, ce l’hai fatta. Siamo cresciuti bene. Ma ora devo imparare a essere davvero adulto.”
“Quindi te ne andrai?”
“Non lo so ancora. Forse. Devo pensarci.”
Bevvero il tè in silenzio. Anna Maria osservava Valerio e cercava di immaginare come sarebbe stata la casa senza di lui. Nessuno da svegliare la mattina, nessuno per cui cucinare, nessuno a cui chiedere: “A che ora torni?” Era spaventosa l’idea, eppure… liberatoria?
“E Silvia cosa ha detto?” chiese Valerio.
“Era furiosa. Voleva venire subito a difendermi.”
“Tipico. Lei è sempre stata la paladina della giustizia.” Fece un mezzo sorriso. “Mamma, non sei arrabbiata con me?”
Anna Maria ci pensò. Era arrabbiata? Le faceva male, la mortificava, la feriva. Avrebbe voluto difendersi, dimostrare di essere una buona madre. Ma la rabbia, stranamente, non c’era.
“No, Vale. Non sono arrabbiata. Forse mi hai aiutato a capire una cosa.”
“Che cosa?”
“Che anch’io ho diritto a una vita mia. Non ho ancora cinquantotto anni. Non è così tanto.”
Valerio la guardò sorpreso.
“A cosa stai pensando?”
“Be’… Tiziana del lavoro mi ha sempre detto di unirmi al gruppo teatrale per adult