Avevo solo chiesto dove fossero finite le uova e mi hanno trattata da tirchia: La nuora decide di comprare un secondo frigorifero per tenere il suo cibo separato.
Ci sono momenti nella vita in cui non si sa se ridere o piangere. Ieri ho vissuto una situazione che mi fa ancora tremare le mani. Avevo deciso di preparare una crostata era da tempo che non coccolavo la famiglia con un dolce. Laria era tiepida, ero di buon umore, e la mia nipotina giocava nella stanza accanto. Tutto era pronto, mancavano solo le uova. Apro la porta del frigo e scopro che sono sparite. Eppure cerano poche ore prima. Le avevo messe da parte apposta perché nessuno le toccasse. Ma più nulla.
Naturalmente, sono andata a chiedere alla mia nuora, Giulia, se le avesse prese o spostate. E lì, è scoppiato il finimondo. Si è infuriata: «Cosa? Negate le uova a vostra nipote? Stamattina ha mangiato una frittata!» Sono rimasta pietrificata, incredula. Il cuore mi si è stretto dal dispiacere. Le ho risposto: «Sei davvero stupida» Sì, non ho potuto trattenermi. La parola è dura, ma come reagire quando ti accusano di essere tirchia per due uova che hai comprato tu?
Ecco la sua replica: «Comprerò un frigo mio, e ognuno mangerà ciò che è suo!» Immaginate: sotto lo stesso tetto, nello stesso appartamento, con frigoriferi separati? Non è più una famiglia, è una convivenza forzata. E tutto per cosa? Perché ho osato chiedere dove fossero finite delle uova.
Non sono più giovane. Vivo con modestia, senza lussi. Questo appartamento è tutto ciò che ho. Lho ottenuto con fatica, quasi per miracolo. Campico con la mia pensione, contando ogni centesimo. Vado al mercato per risparmiare, cerco le offerte. I giovani, invece, dicono di «non avere tempo». Lavorano, sono stanchi, lo capisco. Mio figlio, Luca, è in ufficio dallalba al tramonto per tirare su la famiglia. Non cè prospettiva di una casa separata, per ora. Non possono trasferirsi: gli affitti sono cari, e il mutuo impossibile. Così, viviamo in quattro in un bilocale: io, mio figlio, la nuora e la nipotina, Sofia. Cerco di non intromettermi, di non disturbare, e mi consolo anche di avere un po di compagnia.
Ma vivere insieme non è solo condividere cucina e bagno. È rispetto. È capire che una persona anziana ha bisogni, abitudini e, Dio mi perdoni, il diritto di fare una crostata. E invece, una lite per due uova. Non è la prima volta: una padella fuori posto, una pentola presa in prestito, ingredienti spariti che volevo usare. Tacevo, sopportavo. Ma questa volta, non ce lho fatta. Perché non è questione di uova, di frigo o persino di dolce.
È questione di considerazione. Di quel dolore di aver passato la vita a prendersi cura degli altri, a dare, nutrire, crescere, e sentirsi dire che sei «tirchia». Eppure, sono io che li ho accolti, senza cacciarli né rifiutarli. Ho condiviso la mia casa, messo tutto in comune, e viviamo come possiamo. E ora, mi suggeriscono di mangiare a parte, di vivere a parte, di stare in disparte.
Lo so, siamo di generazioni diverse. Loro hanno le loro idee, io le mie. Ma una famiglia non è una questione di frigoriferi. Né di chi ha mangiato cosa. È rispetto, attenzione e gratitudine. Non chiedo inchini. Ma sentirsi dire che sei tirchia, fa male. Molto male.
Ora mi dico: non mi intrometterò più. Se mangiano tutto, pazienza. Se non resta nulla, mi farò un piatto di pasta. Mangiare insieme? Mangino pure da soli. Ma sappiano una cosa: non perché sono offesa o tirchia. Ma perché è stata una loro scelta. Loro lhanno voluto. E io me lo ricorderò. E ne trarrò le conseguenze.
La vita insegna, a volte, che il rispetto si perde più in fretta di quanto si conquisti, ma che una famiglia non si divide per delle uova né per nientaltro.