**Il sole dopo la pioggia…**

**Il sole dopo la pioggia**

Livia, vieni un attimo. Mio marito è stato in cantina e ti ha preso delle patate.
Livia si voltò verso il cortile della vicina.
Oh, grazie, zia Maria, ve le restituirò appena posso.
E con cosa? Madonna santissima, come farai? Dovevi pensarci prima, quando hai deciso di avere figli. Enrico non è mai stato un uomo responsabile.

Livia ingoiò lamarezza di quelle parole. Lo stipendio era ancora lontano una settimana, e col solo latte non si andava avanti. Lei avrebbe resistito, ma a casa laspettavano tre bambini. Enrico, di cui parlava la vicina, era suo marito, ormai ex, perché lanno prima aveva capito che lo Stato non gli avrebbe regalato né una macchina né una casa solo perché aveva tre figli. Aveva fatto le valigie in fretta e se nera andato, dicendo che in quella miseria non ci voleva vivere. Livia in quel momento stava lavando i piatti e lasciò cadere un piatto per lo shock.

Enrico, ma che dici? Sei un uomo. Trovati un lavoro decente che paghi bene e non vivremo nella miseria. Sono i tuoi figli. Hai sempre detto che ne volevi tanti, che sognavi una famiglia numerosa.
Lo sognavo, ma non sapevo che lo Stato se ne infischiasse delle famiglie come la nostra. E lavorare per niente non ha senso per me.

Livia lasciò cadere le braccia.
Enrico, e noi? Come farò da sola?
Livia, non lo so. E poi, perché non hai insistito che un figlio bastava? Sei una donna, dovevi capire che poteva succedere.

Non fece in tempo a rispondere che Enrico era già uscito di corsa, diretto alla fermata dellautobus. Le lacrime le salirono agli occhi, ma poi vide tre paia di occhi che la fissavano. Alessandro era il più grande, quellanno sarebbe andato a scuola. Michele ne aveva appena cinque, e la piccola Margherita, la loro stellina, ne aveva due. Livia deglutì e sorrise.

Allora, chi vuole le frittelle?

I bambini esultarono, ma quella sera Alessandro le chiese:
Mamma, papà non tornerà più?

Livia cercò le parole giuste, ma alla fine disse solo:
No, tesoro.

Alessandro sbuffò un po, poi aggiunse:
Pazienza. Ce la faremo senza. Ti aiuterò io.

Quando tornava dalla mungitura serale, Livia trovava i piccoli già a letto. E ogni volta si stupiva di quanto suo figlio fosse cresciuto in fretta.

***

Ringraziando per le patate, si avviò verso casa. *Signore, quando finirà questinverno? Che freddo assurdo questanno.* Le patate sarebbero bastate, ma una notte il gelo era stato così intenso che erano marcite anche in cantina. I paesani li compativano. La gente del paese era buona, ma non perdevano occasione per ricordarle quanto fosse stupida. E perché? Ora non riusciva nemmeno a immaginare la vita senza uno dei suoi figli. Per quanto fosse dura, ce la facevano. Avrebbero voluto vestiti nuovi e giocattoli, ma i bambini non chiedevano. Sapevano che la mamma avrebbe comprato non appena possibile. Quellanno, lei e Alessandro avevano persino pensato a una serra, anche se di plastica, per fare più conserve di pomodori e cetrioli per linverno. Mentre spostava il secchio da una mano allaltra, vide un gruppetto di persone. Per il paese, anche tre persone erano una folla, specie in quel periodo. Si avvicinò, perché quella piccola folla era davanti al suo recinto.

È enorme, deve essere un cane da caccia.
Forse lha preso un cinghiale. Non ce la farà.

Livia guardò dove tutti fissavano e trattenne un grido.
Ma che fate lì? Dobbiamo aiutarlo!

Si voltarono verso di lei. Un vicino disse:
Ma che dici, Livia? Vedi quei denti? Chi ci si avvicina? Tanto ormai è spacciato.
Come sarebbe? È venuto qui per chiedere aiuto!

Sulla neve giaceva un cane, forse da caccia, forse no. Livia non era unesperta, ma vedeva che aveva una ferita grave al fianco. Era enorme, ma lei non ne aveva paura. Vedeva solo il dolore nei suoi occhi. La gente rise e se ne andò. Nessuno voleva problemi.

Livia accarezzò delicatamente la testa del cane.
Resisti, resisti ancora un po. Ti porto una coperta e cerchiamo di arrivare a casa.

Una voce la fece sobbalzare.
Mamma, ho portato la coperta. E possiamo usare la porta del vecchio frigorifero come barella.

Alessandro era lì, con gli occhi lucidi. Il cane morse la coperta e guaì piano, poi perse i sensi. I più piccoli osservavano tutto dal divano, a bocca aperta.
Mamma, sopravviverà?

Alessandro accarezzò la testa del cane, che riaprì gli occhi annebbiati.
Deve farcela. Ci prenderemo cura di lui.

Il giorno dopo, appena arrivata in fattoria, le donne la circondarono.
Livia, ma che ti è preso? Portarti in casa un cane enorme, estraneo, e pure coi bambini?
Già. Come se non avessi già sette bocche da sfamare. E poi, a che pro? Morirà comunque, e se sopravvive, chissà che non sbrani qualcuno.

Livia alzò la voce.
Non avete problemi vostri, invece di ficcarvi nei miei? Gina, ieri Caterina diceva che ti strapperà i capelli perché le hai detto che suo marito ti corre dietro. E tu, Anna, metti a posto la tua casa prima di giudicare la mia. Tuo figlio Luca è stato di nuovo a bere birra dietro al negozio, e ha solo 14 anni!

Le donne tacquero, indietreggiarono. Livia non si era mai permessa tanto. Prese il latte per Jackcosì lo aveva chiamato Alessandroe andò a lavorare.

Quella sera, Jack bevve un po di latte.
Bravo, ce la farai

E ce la fece. Livia lo nutriva come i bambini, privandosi lei stessa. Dopo tre settimane, barcollava già per casa. I bambini lo accarezzavano, ma con cautela. Jack scelse il suo posto: un tappeto accanto al letto di Alessandro.

***

La primavera arrivò allimprovviso. Livia e Alessandro decisero di coprire unaiuola con la plastica per scaldare la terra. Dopo il cane, il paese aveva smesso di aiutarli. Pazienza. Avevano ragione: se poteva nutrire un cane, poteva badare a sé stessa.

Mentre lavoravano nellorto, Jack e i bambini giocavano fuori. Ridevano così forte che i vicini si affacciavano incuriositi.

Duke!

Il cane si bloccò, guaì e superò il recinto in un balzo. Si gettò sulluomo sconosciuto, leccandogli il viso mentre quello lo stringeva forte. Livia e i bambini li osservavano a bocca aperta. Anche i vicini si avvicinarono.

Dopo quindici minuti di festa, luomo guardò Livia.
Buongiorno, signora. Cercavo il mio cane da sei mesi. Credevo non ce lavesse fatta.

Alessandro annusò, capendo che Jackil loro Jackse ne sarebbe andato.
La mamma lha curato, ha passato le notti a medicarlo.

Luomo guardò Alessandro, poi i più piccoli. Margherita stava per piangere.
Un momento, niente lacrime. Non me lo riprenderò subito. Magari mi offrite qualcosa

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

five × two =

**Il sole dopo la pioggia…**