15 ottobre, Milano
Luca mi ha appena chiuso la giacca alla porta, pronto a uscire di nuovo. Lho guardato dal tavolo, il cellulare ancora in mano, e ho sentito la solita tensione che si è insinuata tra i nostri sguardi.
Dove vai stavolta?
Luca ha alzato lo sguardo, senza neanche un cenno verso di me.
Da Martina. Devo darle una mano con la macchina.
Ho alzato gli occhi al cielo, poggiato il telefono sul tavolo e ho provato a fermarlo.
Non è la terza volta questa settimana che spari?
Luca ha fatto una smorfia e ha alzato le spalle.
Dai, Giulia, la sua auto ha perduto il liquido, deve sistemarla. Martina non ce la fa da sola.
Un fastidio mi è salito dallo stomaco, si è trasformato in una onda di rabbia che mi ha avvolto.
Che non la chiami un professionista, Luca? ho risposto alzandomi dal divano. Ci sono i tecnici, sai.
Costerebbe un occhio della testa, ha replicato lui, chiudendo la cerniera della giacca. Io lo faccio gratis, che cè di male?
Luca, sei lì ogni giorno, ho avanzato un passo verso di lui. Sempre una scusa, un oggi è il giorno. Quando finirà?
Luca era già alla porta.
Giulia, è rimasta sola con i bambini. Non posso abbandonarla, capisci?
Le parole mi sono scappate quasi involontariamente:
E tu mi abbandoni? Non sei più a casa!
Non esagerare. Ne parleremo quando tornerò.
La porta si è chiusa. Sono rimasta nella quiete dellappartamento, il silenzio che riempiva le orecchie come un peso. Ho camminato verso la cucina, dove il lavandino era un cumulo di piatti sporchi. Ho aperto il rubinetto, strofinato la spugna con il detersivo, i movimenti bruschi hanno fatto vibrare il piatto contro il bordo con un tintinnio secco.
… Un anno è passato da quando Francesco è scomparso in un incidente improvviso e assurdo. Allora ho davvero provato a compassione per Martina: due bambini piccoli, nessun sostegno. Luca e io eravamo amici dinfanzia, quasi fratelli. Era ovvio che doveva aiutarla, lo capivo.
Ma laiuto non si è fermato. Luca ha iniziato a vivere da Martina: ha riparato il rubinetto, cambiato le lampadine, accompagnato i bimbi alle visite mediche. Portava la spesa, comprava vestiti, pagava le loro attività sportive. E tutto questo con i nostri soldi, con i nostri euro condivisi.
Noi due non avevamo figli. Vivevamo in quel monolocale di Milano, piccolo ma nostro. Un tempo sognavamo di comprare un appartamento più grande, di mettere su una famiglia. Lultimo anno, però, tutti i risparmi sono volati via: sulla casa di Martina, sui suoi bambini, su bisogni interminabili di unaltra famiglia.
Ho lanciato la spugna nel lavandino; la schiuma è schizzata sulle pareti, un fastidio che mi ha portato quasi alla disperazione. Le sere le trascorrevo sola in casa, mentre Luca era da Martina, aiutandola, facendo da spalla ai suoi piccoli. Sembrava avesse dimenticato che anchio esisto.
Ho provato a parlargli, più volte. Luca non prendeva sul serio le mie parole, le liquidava, mi definiva gelosa senza motivo, mi diceva che aiutava solo un amico o meglio, la vedova di un amico. Ma lamico era morto da un anno. Era ora che Martina imparasse a stare da sola.
Una sera, intorno alle nove, Luca è tornato. Io ero al computer a finire dei report. Lui è entrato in cucina, il bollitore ha tintinnato.
Ho sistemato tutto! ha esclamato. Era solo un tubo che si era strozzato. I bambini erano al settimo cielo! Abbiamo giocato a calcio, Martina ha preparato delle crêpe con la Nutella
Le sue parole sono diventate un rumore di fondo, quasi un fruscio monotono. Luca è apparso sulla soglia con una tazza di tè.
Giulia, mi ascolti?
Sì, ho borbottato.
Non mi ascolti proprio! si è irritato. Ti sto raccontando
Luca, sto lavorando, ho serrato i denti. Devo finire il report.
Sempre occupata! ha mormorato, uscendo.
Sentire il nome di Martina, i suoi bambini, il suo caldo focolare, mi faceva male. Sembrava che lei avesse una vera casa mentre io ero solo una stanza di passaggio.
Il mese si è trascinato. Luca continuava a sparire da casa, a volte rimaneva da Martina fino a notte fonda, tornava stanco ma soddisfatto, a raccontare quanto i bambini fossero felici, quanto Martina fosse grata. Io tacevo, non volevo più litigare.
Poi ha iniziato a fare paragoni, quasi casualmente, durante la cena. Io scaldavo delle polpette confezionate con la farro, lui forava la forchetta nella sua portata.
Oggi Martina ha fatto una zuppa di ceci davvero buona, ha detto, sognante. Con il pane caldo e il parmigiano.
Il mio cuore si è stretto.
Luca, lavoro tutto il giorno, non ho tempo per cucinare zuppe, ho risposto fredda.
Martina trova sempre il tempo, ha continuato. La sua casa è sempre in ordine, i bambini non si lamentano.
Ho messo giù la forchetta, lappetito sparito.
E i bambini li alleva da sola, ha concluso, annuendo con ammirazione. Che forza!
Sono saltata dalla sedia, ho portato il piatto al lavandino. Che fastidio!
Da quella sera le discussioni sono aumentate. Luca loda continuamente Martina: la cucina, la pulizia, leducazione dei figli. Io scoppio, grido che non ne posso più. Lui si offende, se ne va, poi ritorna e tutto ricomincia.
Ho iniziato a rimanere più ore al lavoro, così da non tornare a casa dove Luca o era assente o parlava solo di Martina. Rimanevo al computer fino a tardi, bevevo il caffè da sola, parlavo con i colleghi di tutto tranne della mia vita.
Tornavo a casa verso mezzanotte, Luca dormiva o fingeva di dormire.
Lultima notte, verso le dieci, la stanchezza mi ha schiacciata come piombo. Ho tolto le scarpe, sono andata in cucina. Luca stava a tavola, mangiando gnocchi.
Non cè più nulla da mangiare, ho detto, congelata sullo stipite.
Che cosa? ha chiesto, alzando lo sguardo. Non hai cucinato nulla, ho dovuto scaldare gli gnocchi. Ma da Martina cè sempre cibo in frigo: carne, insalate, zuppe. Qui cè solo vuoto.
Qualcosa dentro di me è scoppiato, come una corda tesa. Ho fatto un passo avanti.
Vai da lei! ho urlato. Se ti trovi così bene lì, vai a vivere con lei!
Luca è rimasto immobile, la forchetta in mano, il gnocco rimbalzato nel piatto.
Giulia, che succede? ha balbettato.
Sono stanca! ho quasi soffocato nel grido. Stanca di sentire dei suoi minestroni, dei suoi bambini, di quanto sia brava. Se vuoi sostituire il suo marito, prendi il tuo posto! Perché mi sembra che tu passi più tempo con lei che con me!
Luca si è alzato, pallido.
Ti devo ha iniziato a dire.
Ti devo a me! lho interrotta. Alla tua moglie! Capisci? Mi dispiace per Martina, davvero, ma non posso più. Non voglio sentire il suo nome ogni giorno, non voglio vivere in una casa dove il tuo corpo è qui ma la tua anima è altrove.
Non è così ha provato a avvicinarsi.
Mi sono ritratta.
Allora rinuncia! Subito! Dì che non andrai più da lei. Dì che vogliamo ricostruire la nostra famiglia.
Luca è rimasto in silenzio, il volto confuso. Ho letto la resa nei suoi occhi: non avrebbe mai rinunciato a Martina.
Capito, ho detto, girandomi verso larmadio.
Ho afferrato la giacca.
Dove vai? ha corso dietro a me.
Trascorrerò la notte da mia madre, ho risposto aprendo la porta. Domani non dovresti più essere qui. Raccogli le tue cose e vattene. Spero che Martina trovi il tuo posto.
Giulia, aspetta! Non andare! ha implorato, ma io ero già fuori, la porta ha sbattuto con forza nel corridoio.
Pochi giorni dopo ho sporto la domanda di divorzio. Non cera nulla da dividere: lappartamento era a mio nome, i suoi averi erano pochi. Ha preso le sue cose quella stessa sera, ha lasciato le chiavi sul tavolo del corridoio.
In aula di tribunale il silenzio era quasi gelido. Io sedevo sul legno, aspettando il mio turno. Di fronte a me cera Luca, affiancato da Martina e dai due bambini, il ragazzo e la bambina stretti al seno della madre. Luca e Martina si tenevano per mano. Ho osservato le loro dita intrecciate; Luca è arrossito quando ha sentito il mio sguardo, ma non ha rotto la presa.
È arrivato il momento di firmare, di apporre il timbro sul certificato. Non eravamo più marito e moglie.
Uscendo dal tribunale, ho voltato lo sguardo. Luca, Martina e i bambini si avvicinavano allauto. Lui teneva la mano della bambina, Martina portava il ragazzo in braccio. Sembravano una vera famiglia.
Io ho preso la via opposta. Dentro non cera dolore né rancore, solo un senso di leggerezza. Sono felice di aver lasciato, di non aver più dilaniato me stessa in una relazione che si sfaldava.
Sono libera. È stata la decisione migliore della mia vita. Il futuro? Lo lascerò al destino, come dice il proverbio: Chi va piano, va sano e va lontano.





