«Mancata al suo stesso matrimonio»

Giovanni attese la sposa. Gli invitati erano riuniti, il giorno minuziosamente organizzato, ma Ginevra sempre così puntuale tardava senza avvertire.

Forse non verrà! scherzò qualcuno, dandogli una pacca sulla spalla.

Ma Giovanni, fissando lorologio che spietatamente segnava il passare dei minuti, continuava a sperare

Ginevra, la più giovane dei tre figli di Carlo Bianchi e sua moglie Anna, odiava il silenzio. Ma nel loro piccolo appartamento in un quartiere operaio di Milano, tutto era grigio e quieto. Il padre, che cambiava spesso lavoro oggi spazzino, domani operaio in fabbrica, poi aiutante dal macellaio tornava a casa sfinito e, dopo cena, si immergeva nei giornali.

La madre rammendava vestiti logori o adattava per i più piccoli ciò che ormai non andava più ai grandi. I bambini, radunati nel loro angolo, parlavano a bassa voce o restavano in silenzio per non disturbare.

Così Ginevra ricordava la sua infanzia: lunghe serate grigie e un silenzio che bisognava preservare a tutti i costi. Fuori casa, poteva finalmente essere sé stessa spesso rimaneva dopo scuola con gli amici, nel teatro amatoriale, dove si sentiva diversa: vivace, libera.

Nei quartieri operai, linfanzia finiva presto. Nel 1918, a tredici anni, Ginevra terminò le elementari ma non poté continuare: la famiglia non aveva i soldi. Trovò lavoro come aiutante in una parrucchiera, poi in un grande magazzino.

La graziosa commessa del reparto cappelli attirò lattenzione di un regista di cortometraggi pubblicitari, assunto dal negozio. Le offrirono di apparire in un film per una piccola somma E lei accettò con gioia. Da quando i Bianchi avevano perso il padre, malato e poi scomparso, i soldi scarseggiavano. Le cure avevano divorato anche quei pochi risparmi.

Il cortometraggio, proiettato persino nei cinema, colpì il regista Enrico Petrelli, che la volle nella sua commedia “Paolo il vagabondo”. Le procurò anche una borsa di studio allAccademia dArte Drammatica del Teatro alla Scala. A diciassette anni, Ginevra non avrebbe mai potuto permetterselo!

Nellaccademia insegnavano attori e registi già celebri. Uno di loro, il quarantenne Maurizio Stella, non resistette al talento della ragazza. La sua protezione le valse il ruolo principale in un film tratto da un romanzo di un premio Nobel italiano. Fu lui a darle un nuovo nome, più sonoro: Ginevra Bianchi divenne Ginevra Belli.

Ma lattenzione di Stella aveva un prezzo. La criticava per ogni chilo di troppo, sceglieva i suoi vestiti, esigeva obbedienza. Sul set, tutti distoglievano lo sguardo quando lui umiliava la sua musa, riducendola in lacrime.

Ricordando la sua infanzia povera e grigia, Ginevra sopportava. Qualunque cosa pur di non tornare in quel piccolo appartamento.

La sua remissività diede i suoi frutti. Quando il magnate del cinema Luigi Marini, fondatore della Cinecittà, invitò Stella a Hollywood, il regista impose una condizione: avrebbe lavorato solo con la sua attrice. Ginevra non somigliava alle dive americane degli anni ’20, ma Marini accettò.

Tuttavia, arrivati a New York pieni di speranze, trovarono solo silenzio. Nessuno della Cinecittà li contattò. Dopo due mesi di attesa, partirono per Hollywood. Ma lì, stesso silenzio.

Alla fine, Ginevra decise di aggirare Marini e si presentò a un provino organizzato da un altro produttore. Lo colpì: volevano farne una stella. Lezioni dinglese, di portamento, dieta ferrea, cure dentistiche e cosmetiche

Quando apparve ne “La Seduttrice” nel ruolo di una raffinata marchesa, nessuno avrebbe riconosciuto in lei la ragazzina dei quartieri operai.

I film muti con Ginevra Belli divennero un successo senza precedenti. Nel 1928, era lattrice più pagata. Nel frattempo, si era lasciata con Stella, licenziato per i suoi continui litigi. A Hollywood, non era famoso come in patria, e nessuno sopportava i suoi capriczi.

Perso un mentore, Ginevra ne trovò un altro: il bellattore Giovanni Alberti, già affermato. Iniziò una storia appassionata. Giovani, brillanti, non potevano staccarsi luno dallaltra.

Lo studio pubblicizzò il loro amore Ma tutto finì male. Alberti le propose più volte matrimonio, e alla fine lei accettò. Fu organizzato un doppio matrimonio, con gli amici che si sarebbero sposati lo stesso giorno.

Ma Ginevra non si presentò. Giovanni, umiliato, restò come ospite per non rovinare la festa. La sera finì male: litigò con Marini, che aveva scherzato sul suo fallimento. Da allora, la sua carriera declinò.

Hollywood parlò per mesi dello scandalo. Si sussurrava che Ginevra avesse scoperto il tradimento di Alberti, ma lei negò sempre.

Temevo che, da marito, Giovanni avrebbe voluto comandarmi. Non lo volevo rispondeva con diplomazia.

Il passaggio al sonoro distrusse molte carriere. Ma Ginevra, arrivata senza sapere linglese, lo imparò così bene che nessuno avvertì laccento. Il suo primo film sonoro, nel 1930, fu il più visto dellanno.

La sua fama superò lAmerica. Ora dettava lei le condizioni. Sapendo che Alberti non lavorava più, pretese un contratto per lui.

Era già sposato, ma forse Ginevra si sentiva in colpa. “La Regina Cristina”, dove Alberti recitò con lei, piacque, ma non salvò la sua carriera.

Il tentativo di espiare le colpe le portò solo dolore. Ricordava come Stella, tornato in patria dopo il fallimento, morì solo e distrutto. Lo stesso destino toccò ad Alberti: un anno dopo “La Regina Cristina”, se ne andò, dimenticato.

I fallimenti amorosi chiusero il cuore di Ginevra. Ebbe brevi storie con il direttore dorchestra Leopoldo Stokowski, lo scrittore Enrico Remarco, il fotografo Cesare Bitoni Ma nessuna durò.

Nel 1941, conobbe Giorgio Schiavi, marito della celebre stilista Valentina. Fuggiti dalla Russia in guerra, si erano affermati a New York: lei con gli abiti, lui come produttore.

Giorgio, immigrato come lei, la capiva. Iniziò una storia complicata: lui non lasciò Valentina, ma non abbandonò Ginevra. Visero nello stesso palazzo, evitandosi.

Questo strano rapporto durò ventanni. Nel 1964, a Parigi, Giorgio morì improvvisamente. Si dice che Valentina le vietò di partecipare al funerale.

Ginevra Belli, senza marito né figli, visse appartata. Evitava eventi e giornalisti. Non esco, non vedo nessuno È triste essere soli, ma a volte è più difficile stare con qualcuno confessò.

Melanconica e riservata, preferì la solitudine. La sua lunga vita si concluse nel 1990, a 84 anni.

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