Autista dell’Ikarus butta fuori un’anziana di 80 anni per mancato pagamento del biglietto. La signora risponde con poche righe di grande saggezza.

Signora, non ha il biglietto. Per favore scenda dallautobus, ordinò lautista con tono secco, fissando la signora anziana avvolta in un vecchio cappotto di lana, che si aggrappava al maniglione per non cadere.

Il mezzo era quasi vuoto. Fuori scendeva una leggera neve umida e il tramonto grigio avvolgeva Milano in un velo di penombra. La donna rimase in silenzio, stringendo più forte la borsa logora la stessa che usava sempre per fare la spesa al mercato.

Ho detto di scendere! Qui non è una casa di riposo! alzò la voce lautista.

Nel bus sembrò fermarsi il tempo. Alcuni passeggeri distolsero lo sguardo, facendo finta di non accorgersi di nulla. Ginevra, seduta vicino al finestrino, si morse nervosamente il labbro. Un uomo in cappotto scuro aggrottò le sopracciglia, ma rimase seduto.

Con passo lento, la nonna Rosa si avvicinò alla porta. Ogni passo le costava unimpresa. Le porte si aprirono con un cigolio e un vento gelido le sferzò il volto. Si fermò sullo scalino e non distolse gli occhi dallautista.

Poi, con voce bassa ma decisa, disse:
«Ho partorito figli come te. Con amore. E ora non mi lasci nemmeno sedermi.»
Dopo quelle parole scese dal bus e se ne andò.

Lautista rimase lì, le porte aperte, come se volesse nascondersi dalle proprie idee. Da qualche parte sul retro del veicolo si sentì un singhiozzo. Ginevra asciugò una lacrima. Luomo in cappotto si alzò e si diresse verso luscita. Uno dopo laltro i passeggeri si alzarono, lasciando i biglietti sui sedili.

In pochi minuti il bus rimase vuoto, tranne lautista, che sedeva in silenzio con un mi dispiace non detto che bruciava dentro di lui. La nonna Rosa camminava lentamente lungo la strada innevata; la sua silhouette si perdeva nella penombra, ma ogni passo emanava dignità.

Il mattino successivo lautista arrivò al lavoro come al solito: orario presto, thermos con caffè, itinerario, tabellone dei percorsi. Ma qualcosa dentro di lui era cambiato per sempre. Non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione di inquietudine. Gli occhi di Rosa gli rimbalzavano ancora nella mente: non arrabbiati, non offesi, solo stanchi. E quelle parole che lo perseguitavano:

«Ho partorito figli come te. Con amore.»

Guidava il suo percorso e, quasi senza accorgersene, osservava con più attenzione i volti degli anziani alle fermate. Voleva trovarla, ma non sapeva bene perché: chiedere perdono? Aiutarla? O semplicemente ammettere di sentirsi colpevole?

Passò una settimana.

Una sera, quando il turno volgeva al termine, vide alla fermata del mercato dei contadini una figura familiare una piccola figura curva, con la stessa borsa e lo stesso cappotto. Fermò il bus, aprì le porte ed uscì.

«Nonna» sussurrò. «Scusami. Allora ho sbagliato.»

Lei lo guardò, e poi, con un sorriso dolce, senza rimproveri né rancore, rispose:
«La vita, figliolo, ci insegna sempre qualcosa. Limportante è saper ascoltare. E tu hai ascoltato.»

La aiutò a rientrare, la fece accomodare sul sedile anteriore e, tirando fuori il thermos, le offrì una tazza di tè. Viaggiarono in silenzio, ma era un silenzio caldo, luminoso, come se entrambi avessero tirato un sospiro di sollievo.

Da quel giorno portava sempre qualche gettone in tasca per chi non poteva permettersi il biglietto, soprattutto per le nonne. Ogni mattina, prima di iniziare il turno, ripensava a quella frase. Era diventata per lui non solo un promemoria di colpa, ma una lezione su come essere umano.

La primavera arrivò improvvisa; la neve si sciolse veloce e alle fermate spuntarono i primi mazzi di ciclamini le nonne li vendevano a tre pezzi, avvolti in cellophane. Iniziò a riconoscere i loro volti, a salutarli, a dar loro una mano per alzarsi. A volte si limitava a sorridere, e vedeva quanto quel gesto significasse per loro.

Ma quella prima nonna, Rosa, non la rivedette più. La cercò ogni giorno, chiedendo informazioni, descrivendola. Qualcuno gli disse che forse viveva vicino al cimitero di Porta Romana. Così, qualche weekend, lasciò luniforme, il bus, e si diresse a piedi lì.

Un pomeriggio vide una piccola croce di legno con una foto in una cornice ovale: gli stessi occhi. Restò immobile, silenzioso, mentre gli alberi frusciavano sopra di lui e il sole filtrava tra i rami.

La mattina seguente trovò sul sedile anteriore del bus un piccolo mazzo di ciclamini. Lo raccolse e, accanto, pose un cartellino di cartone intagliato con le proprie mani:
«Un posto per chi è stato dimenticato, ma che non ci ha dimenticati.»
I passeggeri lessero la frase in silenzio, qualcuno sorrise, altri lasciò una moneta sul sedile.

Lautista proseguì il suo percorso più lentamente, più attento. A volte rallentava un po prima della fermata, per dare il tempo alle nonne di salire.

Perché ormai aveva capito:

ogni nonna è la mamma di qualcuno.
ogni sorriso è un ringraziamento.
e anche una sola frase può cambiare una vita.

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