A Chi Credere Se Non a Lei

A chi credere, se non alla madre
Giulia ricorda la sua infanzia felice, anche se ora ha venticinque anni e ha già conosciuto tante gioie, ma anche delusioni e inganni nella vita.

Quando il giovane e valoroso tenente Matteo, appena laureato all’accademia militare, propose alla sua ragazza, Beatrice, di sposarlo, lei non riusciva a crederci. Si frequentavano da più di due anni, durante gli studi di Matteo, ma i loro incontri erano rari. Gli allievi ufficiali non ottenevano spesso il permesso di uscire.

“Bea, andiamo a firmare i documenti, ci sposeremo, poi partirò per la mia nuova destinazione e sistemerò tutto. Tu raggiungimi più tardi, ti verrò a prendere,” diceva Matteo, felice di aver finito gli studi, ottenuto i gradi e, ormai, pronto a diventare un uomo serio e sposato.

“D’accordo,” rispose Beatrice con gioia. Da tempo desiderava lasciare la casa paterna, allontanarsi da un padre alcolizzato e sempre pronto a litigare, e non le dispiaceva nemmeno troppo abbandonare la madre.

La madre di Beatrice difendeva il padre quando era sobrio, gli preparava da mangiare come una serva, ma poi tutto ricominciava da capo. A nessuno importava davvero della figlia, purché avesse qualcosa da mangiare e da indossare. Lo stipendio del padre, sua madre glielo strappava con litigi, finché non lo spendeva tutto in alcol.

Insomma, non aveva visto nulla di buono nella vita.

“Quando avrò una figlia,” sognava Beatrice, “la amerò e la crescerò in modo diverso. Non ci saranno mai litigi in casa mia, perché non sposerò mai un uomo come nostro padre. Troverò un bravo ragazzo.”

Beatrice raggiunse Matteo in un remoto paesino del Sud Italia, dove era di stanza. Il paese era piccolo, ma almeno avevano un bilocale. Matteo si era dato da fare: alcuni mobili erano forniti dall’esercito, altri li aveva comprati lui.

“Matteo, sono così felice! Ora siamo solo noi due, e non abbiamo bisogno di nessun altro. Qui sono padrona io,” gioiva Beatrice, mentre il marito la stringeva tra le braccia, soddisfatto.

Dopo circa un anno e mezzo, nacque la loro figlia, Giulia. A quel punto, Beatrice dovette fare tutto da sola: il marito era sempre in missione o di servizio, raramente riuscivano a fare il bagnetto alla bambina insieme. Lui tornava quando Giulia dormiva e se ne andava allo stesso modo. Certo, le mancava.

Passò il tempo. La figlia cresceva, e Matteo fu trasferito in un’altra città, un capoluogo di provincia, comunque meglio di un paesino. Poi ancora un altro trasferimento, e un altro ancora. Giulia cambiò scuola più volte, girando l’Italia con i genitori. Un giorno, il padre tornò a casa e annunciò:

“Bene, ci trasferiamo in una grande città, probabilmente ci resteremo per sempre.”

“Finalmente! Te lo sei meritato,” disse Beatrice. “Ero stanca di spostarmi da una caserma all’altra. Gli altri vivono sempre nello stesso posto.”

“Bea, tuo marito è un militare, avresti dovuto sposare un civile. Non capisco di cosa ti lamenti. Hai tutto: casa, macchina, soldi.”

Ma Beatrice aveva evidentemente ereditato il carattere della madre: col tempo, iniziò a trascurare anche la figlia. Giulia, crescendo, si avvicinò sempre più al padre, con cui aveva un’intesa perfetta. A Beatrice, invece, non importava nulla.

Ottennero un trilocale in centro città. Prima avevano vissuto in appartamenti più piccoli, e quando videro quello nuovo, rimasero senza parole. A Giulia piacque soprattutto il balcone: dal decimo piano, la vista era magnifica.

Frequentava una buona scuola, il padre continuava la carriera militare e la madre lavorava. Giulia sentiva spesso Beatrice litigare con Matteo. Lui rimaneva in silenzio, mentre lei lo riempiva di pretese, scatenando discussioni dal nulla. La figlia aveva pietà del padre, che si rifugiava sul balcone, seduto in poltrona a leggere il giornale, aspettando che la moglie sfogasse la sua rabbia. Beatrice non osava seguirlo: avrebbe fatto brutta figura con i vicini.

Dopo due anni, i genitori divorziarono. Giulia rimase con la madre, mentre il padre si trasferì in un altro quartiere. Matteo lasciò l’appartamento a loro.

“Giulia, vieni a trovarmi nei weekend o durante le vacanze. Ecco il mio indirizzo,” le disse il padre prima di andarsene. Lei nascose quel foglietto prezioso lontano dalla madre.

Nei periodi di vacanza, Giulia andava dal padre: passeggiavano nel parco, andavano al cinema, mangiavano il gelato. La madre, forse per il risentimento verso l’ex marito, riversava la sua frustrazione sulla figlia. Ormai Giulia era al liceo e aveva imparato a reagire. Tra loro c’era una pace fredda, ma vivevano come estranee.

Quando arrivò il momento di scegliere l’università, Giulia optò per un’altra città. Voleva allontanarsi dalla madre. Si iscrisse, andò a vivere in un dormitorio e fu felice. Felice di non vederla più.

“Per le vacanze, tornerò da lei e visiterò papà,” pensava.

Ma quando arrivò a casa, rimase delusa. La madre non viveva più da sola: c’era anche Massimo, solo sette anni più grande di Giulia. Era la prima volta che vedeva un uomo ubriaco in casa. Suo padre beveva poco, solo nelle feste, e per Giulia fu uno shock. Massimo era sempre alticcio. Non capiva se lavorasse o no, ma ogni tanto usciva e tornava nella stessa condizione.

“Mamma, ti piace davvero che Massimo sia sempre ubriaco? E poi litiga pure,” le chiese una volta, esasperata.

“Non sono affari tuoi. Se non ti piace, vai da tuo padre, nessuno ti trattiene qui.”

Giulia se ne andò dal padre, perché il giorno prima, mentre la madre era fuori, Massimo era entrato nella sua stanza. Fortunatamente, era tornata in tempo. La mattina dopo, Giulia fece le valigie e partì. Due giorni dopo, sarebbe tornata all’università. Non capiva perché sua madre avesse pietà di quell’uomo, sopportasse le sue scenate e persino le sue mani alzate.

“Finché Massimo vive in quella casa, non ci metterò più piede,” decise.

E così fu. Durante il quarto anno, dopo aver superato gli esami, Giulia andò a trovare il padre, che ora viveva con un’altra donna, Anna, gentile e affettuosa con lei. Ma proprio davanti a casa, Giulia fu investita da un’auto e finì in ospedale con una gamba rotta.

Il padre la visitava spesso, a volte accompagnato da Anna. Una volta, però, era in missione, e Giulia decise di avvisare la madre.

“Mamma, ciao, sono in ospedale,” le disse. Beatrice promise di andare.

Arrivò, si lamentò un po’, e dopo due giorni tornò con una sconosciuta.

“Figlia mia, questo è il notaio. Devi firmare dei documenti. Tuo padre non ci ha pensato, ma io non lascerò mia figlia senza un tetto. Dopo la mia morte, questa casa sarà tua. Te lo prometto, parola mia.”

Giulia firmò. Poi si laureò e rimase in città, trovò lavoro e sognava di comprarsi una casa, ma con quali soldi? Non si perse d’animo.

Un giorno chiamò la madre.

“Mamma, ciao, come stai? Come va la vita, la salute?”

“Così così. Ho lasciato Massimo, ero stufa delle sue sbronze.”

“Davvero? Finalmente!” esultò la figlia.

“Sì,

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

7 + nineteen =

A Chi Credere Se Non a Lei