HO PRESO IN PRESTITO UN VESTITO DA SPOSA… E HO TROVATO UNA LETTERA NEL FODERO!

HOHO PRESTATO UN VESTITO DA SPOSA… E HO TROVATO UN BIGLIETTO NELLA FODERA
Il giorno che provai quel vestito da sposa, giuro che sentii qualcosa di strano.
Non paura.
Non bellezza.
Solo… pesantezza.
Ma non ci feci caso.
Dopotutto, l’avevo preso in prestito. Da una boutique vintage in centro. La donna disse che era stato indossato solo una volta, vent’anni prima. Pulito. Conservato. Intatto.
Non mi importava. Ero felice di potermi permettere qualcosa che non sembrava economico.
Lo portai a casa.
Lo appesi con cura.
E ogni sera prima del matrimonio, lo osservavo. Sognavo il mio giorno. La navata. La musica. L’uomo.
Era innamorata.
Profondamente.
Stupidamente.
Giovane.
Ma la sera prima delle nozze, mentre stiravo il vestito col vapore… sentii una resistenza. Nella fodera, vicino all’orlo, qualcosa era cucito in modo strano. Una protuberanza. Piccola. Piatta.
Curiosa, presi un ago.
Lo aprii con delicatezza.
E dentro…
Un messaggio.
Vecchio. Sbiadito. Ma l’inchiostro era ancora leggibile.
“Se leggi questo, per favore, non sposarlo. Ti supplico. È pericoloso. Io sono scappata grazie ai soldi. M.”
Il vestito mi cadde di mano.
Letteralmente.
Il cuore mi batteva forte.
Girai il biglietto.
C’era dell’altro.
> “SE TI HA DATO QUESTO VESTITO È PERCHÉ L’HA GIÀ FATTO PRIMA.”
Ma non l’aveva fatto.
L’avevo comprato in una boutique.
Giusto?
O lui aveva suggerito il posto?
Non riuscivo a ricordare. Improvvisamente, tutto diventò confuso.
Presi il telefono. Cercai il negozio online. Nessun sito.
Strano!
Controllai l’indirizzo. Non esisteva su Google Maps.
Ancora più strano.
Andai lì quella stessa sera.
Il matrimonio era il giorno dopo, ma non potevo dormire. Dovevo sapere.
E quando arrivai?
Era sparito.
Chiuso.
Vetrine vuote.
Polvere.
Nessuna traccia della vecchia signora. Nessun segno che fosse mai stato aperto.
Bussai al vicino.
Un giovane assonnato aprì.
“Scusi… sa qualcosa della boutique che c’era qui?”
Fece una smorfia.
> “Boutique?”
> “Sì… un negozio di abiti da sposa vintage. Gestito da una donna…”
Scosse la testa.
> “Signorina… quel posto è chiuso da vent’anni.”
Mi gelai.
> “Ma… ho comprato un vestito lì pochi giorni fa.”
Mi guardò dalla testa ai piedi. Poi sussurrò:
> “Lei è la terza donna che me lo chiede in cinque anni.”
> Mi si ghiacciò il sangue.
> “Cosa è successo alle altre?”
Si strinse nelle spalle.
> “Una ha cancellato il matrimonio ed è sparita.”
> “L’altra… ha proseguito.”
> “L’ultima notizia è che è scomparsa durante la luna di miele.”
Corsi via.
Tornai in macchina.
Rimasi in silenzio venti minuti.
Poi lo chiamai, il mio fidanzato.
Non menzionai il biglietto. Né il negozio. Né il vicino.
Chiesi solo:
> “Dove hai detto che vivevi prima di conoscermi?”
Una pausa.
Poi disse:
> “Perché me lo chiedi ora?”
E lo seppi.
Seppi che quel biglietto non era un caso.
Quel vestito non era un caso.
E che domani?
Poteva essere il mio ultimo giorno di vita.
HO PRESO IN PRESTITO UN VESTITO DA SPOSA… E HO TROVATO UN BIGLIETTO NELLA FODERA (EPISODIO 2)
Mi svegliai in silenzio.
Non un silenzio tranquillo.
Uno strano. Come se qualcosa trattenesse il respiro.
Mi alzai col cuore in gola per un sogno che non ricordavo, solo la sensazione che mi lasciò: fredda. Macchiata.
Il biglietto era ancora sul comodino.
Schiacciato. Stropicciato. Ma ancora lì.
> “SE TI HA DATO QUESTO VESTITO, L’HA GIÀ FATTO PRIMA.”
Lo tenni come fosse di vetro.
Non volevo crederci. Non volevo credere che lui, l’uomo che stavo per sposare, nascondesse segreti così oscuri da corrompere la seta.
Ma non potevo più ignorarlo.
Il vestito era tornato nella sua scatola. Avorio, vintage, ricamato a mano. Profumava ancora di lavanda e… qualcos’altro. Debole. Metallico.
Pensai fosse vecchio profumo.
Ora, non ero più sicura che non fosse vecchio sangue.
Dovevo sapere. E non potevo chiedere a lui. Non ancora. Senza prove.
Cosi guidai.
Ancora in pigiama. Capelli raccolti. Senza trucco. Solo paura.
Il negozio era a dieci minuti dall’hotel. Un posto modesto tra un salone e una libreria usata. Si chiamava “Seconde Chance”.
Non ricordavo il nome sullo scontrino.
Spinsi la porta.
Nessun campanello.
Perché non c’era campanello.
Non c’era… niente.
Niente vestiti.
Niente appendiabiti.
Niente bancone.
Solo una stanza vuota con piastrelle polverose e uno specchio rotto appoggiato al muro.
Vuota.
Abandonata.
Come se fosse così da anni.
Tornai fuori, confusa. Un uomo che spazzava il marciapiede mi guardò.
> “Cerchi qualcosa?”
> “Il negozio di vestiti. Era qui. Due giorni fa.”
Aggrottò la fronte.
> “Quel posto è chiuso dal 2019.”
Ingoiai saliva.
> “Ne è sicuro?”
> “Vivo qui sopra. Non l’ho mai visto aperto.”
Mi mancò il respiro.
Tornai all’auto con le mani tremanti.
Se il negozio non esisteva… dove avevo preso il vestito?
E chi, chi, aveva messo quel biglietto dentro?
Non andai in hotel. Non potevo.
Andai da mia zia.
Saggia. Lo sapevo. Aveva visto troppo per sorprendersi.
Quando entrai con la scatola del vestito, non disse nulla.
Mi offrì solo tè.
Poi le mostrai il biglietto.
E le raccontai tutto. Quando finii, si appoggiò alla sedia. Lo sguardo perso.
> “Sembra ciò che successe a una mia conoscente. Tanto tempo fa.”
> “Chi?”
> “Si chiamava Morayo. Anche lei indossò un vestito usato il giorno del matrimonio. Da un negozio che non esisteva.”
> “Cosa le successe?”
> “Quello che temi.”
> “Sposò l’uomo sbagliato.”
> “E il vestito cercò di avvisarla.”
La fissai.
> “Stai dicendo che il vestito è… maledetto?”
Non rispose.
Si alzò.
> “Vai a casa. Brucia il biglietto. Lascia il vestito. Non indossarlo.”
Ma non lo feci.
Perché quella notte, quando ripresi la scatola…
Era già aperta.
E, posato con cura sul vestito ripiegato…
C’era un altro biglietto.
Piccolo.
Scrittura fresca. Solo cinque parole:
> “Ti restano sette giorni.”
Il cuore mi si fermò.
Non ero neanche sposata.
HO PRESO IN PRESTITO UN VESTITO DA SPOSA… E HO TROVATO UN BIGLIETTO NELLA FODERA (EPISODIO 3)
Guardai fisso il biglietto. Solo cinque parole:
> “Ti restano sette giorni.”
Era piegato con cura sullo stesso vestito che avevo cercato di dimenticare. Quello che avevo preso in prestito da un negozietto nascosto tra due vecchi edifici. Il negozio che non esisteva più. O forse non era mai esistito.
Le dita mi tremE quella notte, mentre bruciavo il vestito nel camino, giurai a me stessa che nessun’altra donna avrebbe mai dovuto leggere quel biglietto.

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