Un pomeriggio soleggiato di primavera filtrava attraverso la finestra abbagliando i muri appena tinteggiati. Maria si trovava ai fornelli, mescolando la sua pasta al pomodoro con un’insalata fresca che prometteva di riscattare il marito, Stefano. Quegli occhi scontrosi che aveva mostrato tutta la sera prima non le erano sfuggiti.
– Mariù, hai visto la mia cravatta azzurra? – Stefano affacciò la testa dalla cameretta, la camicia mezze bottone e un’aria decisamente fuori posto.
– Controlla nell’armadio, in alto a destra. L’ho stirata ieri, – rispose lei senza alzare gli occhi.
La colazione scorreva tranquilla. Stefano teamava il telefonino, Maria osservava distratta. Gli faceva pena, quel suo atteggiamento abbattuto, ma sapeva che quando avesse voluto parlare l’avrebbe fatto lui.
– Ti piace, grazie. Ah, ho una cosa da dirti… Mia madre arriverà oggi. Si fermerà da noi.
– Che? – Maria si bloccò, il cucchiaino sospeso a mezz’aria. Quella stessa signora che aveva urlato per mezz’ora alla nostra mostra d’arte per “più tradizione, meno arte moderna”? Quella che non faceva nemmeno gli auguri per il nostro primo compleanno da sposati?
– Alle sette, la andrò a prendere io. Lavora male con suo marito e… be’, passa un periodo qua. Vuoi qualcosa?
– Studente… – Maria mise il piatto in lavatrice. – Ricordi come ti guardava alla chiesa? Mi diceva che “non c’è cultura sociale nella famiglia mia”.
– Si è scusata. Ha avuto un tumore e… lo sai, è cambiata. Non potevo rifiutare.
– Mi hai mentito, – disse, tagliando la pasta con forza. – Sapevo che stavamo programmando un viaggio in Spagna.
– Mi spiace, – la strinse alle spalle. – Avevo paura che mi mettessi i piedi in testa.
– Giustamente, – si liberò da lui. – Adesso, vai a lavoro. Mi occupo io.
L’intera giornata si svolse in quel modo. Maria si alternavà tra lavoro, casa e preparativi. Paola era una donna elegante e severa, ex moglie di un comandante di carabinieri, abituata a dare ordini tanto quanto a riceverli. Dopo la morte del marito si era risposata con un uomo decenni più giovane da cui aveva divorziato, forse per ambizione materna, forse per altro.
Alle sette Maria lucidò abbastanza la casa da far sembrare che ci abitassero le fate. Si fermò un attimo a lunghe nello specchio. “Bari, forza, che debbo andarci io a tener testa a questa signora.”
Suonò il citofono. Maria si preparò a salutare sua suocera con il laccio alla lingua.
– Ciao Mariùì, – disse Stefano, sorridendo timido. Dietro di lui, una signora alta, portamento fiero e aria un po’ troppo costosa per i loro gusti.
– Piacere, – rispose Maria composta. – Benvenuta da noi. Mangiare è quasi pronto.
Il pranzo fu rimesso a Stefano. Mangiò in modo strano, quasi imbarazzato, mentre Paola faceva domande tecniche sulle ultime pitture a casa. Maria non aggiunse nulla, limitandosi a cambiarle il piatto.
– Questa pasta è buona, – disse Paola all’improvviso. – Tu sei brava in cucina.
– Posso migliorare, – rispose Maria, un po’ sorpresa.
– L’ho imparata di seguire le mie mamme. Mia nonna faceva carne alla griglia, ma mia sorella non ne faceva niente. Diceva “col piatto sporco, lo si fa pulire”.
– Non mi sembra una magnifica vedova. – Stefano intervenne.
– Era splendida, – aggiunse Paola. – Lei era una bella donna. Mia figlia… – sorrise con aria vagamente sarcastica – non le somiglia.
Quando finì, Maria accompagnò Paola nella camera degli ospiti. C’era un armadio, una sedia, il bagno per fortuna non condiviso.
– Accomodati. C’è denaro, telecomando, e la luce a parete. Se hai fame, basta chiedere.
– Grazie, – disse Paola. – Siete molto buoni.
All’alba, Maria si svegliò di scatto. Qualcosa che irritava il braccio. Andò in cucina con il cuore in gola… e la vide. Paola era là, in canottiera, con farina e api.
– Sono scivolata per abitudine, – disse, asciugando con gesti assai troppo energetici. – Quando ero in caserma facevo colazione alle sei.
– Ecco perché, – Maria si mise le mani in testa. – Le armate in famiglia, qualcosa devo pur attendermelo.
Mandò un messaggio a sua amica Lucia.
– Oddio, non pensi, – rispose Lucia. – Mia suocera è già venuta qui per un affare poco chiaro. Ha voluto che le spiegassi come si fanno i depositi previdenziali.
– Mia suocera ha dato inizio a una rivoluzione. Ha fatto la colazione a mezzanotte.
– Credi o meno, – disse Lucia. – Quando aveva sposato tuo marito, era strana. Una volta ha dato della “mancante di istruzione” alla sposa perché non sapeva il prezzo delle bottiglie di vino in una enoteca.
– Però, – Maria commentò, – questa sembra diversa.
Ma sì, forse… Ma non si fidava. Paci, si sa. Se ne fanno due.
Quando arrivedo Stefano, trovo’ Maria e sua madre in cucina che discutevano della Lista della Spesa.
– Ciao, – disse Stefano, meravigliato.
– Ciao, – rispose Paola. – Ti sto dicendo che la mozzarella di Bufala di Agerola costa troppo. Siamo sposati a una bella spesa?
– Mia madre ti è andata a prendere la borsa? – chiese Stefano.
– Certo, – si sporse Paola. – Ma non solo borse. Lavoro con le donnelle da tempo.
L’ultimo frustone passò a Maria, in cuore. Tutto, assolutamente complicato.
Ma mai disse vero. Paola non era venuta per preparare pasti o controllare le carte. Venne, spiegò, per una finestra.
– Mariù, volevo scusarmi.
– Per?
– Per essere stata… autoritaria. Per aver detto che senza il denaro suo non saresti stata abbastanza.
– Va bene, – disse Maria. – Comunque non ho idea di chi siamo senza…
– Mia figlia mi ha rubato i soldi della pensione. Mi ha ingannato. Diceva “basta stare insieme con un cuore senza forza”. Non ci si fidava che fossi viva.
– E tuo marito, qualcosa devo pur attendermelo.
– Sì, – disse Paola. – Ecco perché non mi fiderò facilmente, ma non mi fido di teì nemmeno. Ti ci dài pace.
Stefano ascoltò, viso confuso. Maria non si fidò. Nei giorni seguenti, mentre Paola faceva colazione, sistemava le stanze, parlava con tranquillità anche troppo alta.
– Ti fidi? – chiese Stefano a Maria.
– Direi, – sorrise lei. – Mi sembra una versione più seria.
Un giorno arrivò una visitatrice.
– Sono Beatrice, – disse, entrando con un cappotto scomodo e un atteggiamento troppo per sopravvivere a un negozio di antiquariato. – Mia nonna diceva sempre “fuggi da chi non ha emozione”. Mia madre ha un occhio unico. Vuole metter palazzi in vendita.
Maria non si fidò.
– Non mi sto fidando, – disse a Lucia. – Ma neanche non ci si fida subito.
– Amica cara… – rispose Lucia. – Forse stiamo per affrontare l’hai di un matrimonio.
Un giorno, arrivò Beatrice con un uomo alto e un messaggio “ufficiale”.
– Mia madre non ci crede, – disse Beatrice. – Dice che vuole un confronto.
– Parla chiaro.
– Mia madre dice: “La proprietà è mia. Il resto non importa. Lasciam_lae stare”.
Paola accolse Beatrice con un occhio unico, una battuta di disincanto e un bicchiere di vino.
– Che vuoi? – chiese.
– Mia madre vuole la proprietà e la parte del guardaroba.
– Oh, – disse Paola, con tono vagamente ironico. – Mi hai rubato la vita con i soldi, adesso ti chiedi se possiamo tenere i ricordi.
La stanza diventò fredda. Beatrice affrontò i due.
– Mia madre non ci crede. Dice che sei una povera donna. Una vedova desolata.
– Mia cara, – disse Paola, – io sono stata una povera donna. Mia figlia è una povera donna. Guarda il mio guardaroba. Guarda i soldi che ci ha spesi.
Beatrice se ne andò, e con lei chiuse la porta con un rumore assai troppo vigoroso.
– Scusa per l’incidente.
– Tranquilla, – disse Maria. – Posso fare il caffè?
– Noi ci chiediamo se hai fatto un errore.
– Siamo stati buoni, – disse Paola. – Loro non hanno meritato né rispetto né verità.
Giorni dopo, Paola si preparava a partire. Maria le diede il consiglio di tornare nei Caraibi, ma lei rifiutò.
– Stefano, – disse, abbracciandolo. – Ti aspetto per visitarti. Mi manca il caffè di casa.
– Certo, – rispose lui. – Sei sempre benvenuta.
Alla fine, le tornò in mente un pensiero.
– Mia figlia non mi ha mai ascoltato. Mia sorella neppure. Ma tu, Mariù… sei stato paziente con me. Forse ci hai insegnato qualcosa.
– Che?
– Che non tutti sono pazienti abbastanza. Che non tutti sanno stare con la vita.
– Bene, – disse Maria, sorridendole. – La vita non è troppo ma basta.
E quando la porta si chiuse, Maria corse da Stefano.
– Lo sai che tuo padre è in Sicilia?
– Sì, – rispose lui. – Dice che devo andare con lui.
– Ho ricevuto una telefonata, – disse Maria. – È tua madre.
– Ciao Mariù, – disse con voce incerta. – Vorrei dirti che… forse vorrei incontrare tuo figlio.
– Cioè, – disse Maria, sorpresa. – Hai capito?
– Certo, – disse Stefano. – Alla fine abbiamo saputo anche trovare un momento di pace.
E fu così che, sotto un piovasco primaverile, si rivalsero in pace. Forse, solo forse, si erano salvate.