Lucia stava alla finestra, osservando la fitta neve cadere su Roma. La telefonata con il marito stava per concludersi una delle tante, banali conversazioni quotidiane in quindici anni di matrimonio. Marco, come sempre, raccontava del suo “viaggio di lavoro” a Milano: tutto bene, gli incontri procedevano come previsto, sarebbe tornato tra tre giorni.
«Va bene, amore, a dopo allora,» disse Lucia, allontanando il telefono dallorecchio per chiudere la chiamata. Ma allimprovviso qualcosa la fermò. Dallaltra parte, udì chiaramente una voce femminile, melodiosa e giovane:
«Marcolino, vieni? Ho già riempito la vasca»
La mano di Lucia rimase sospesa a mezzaria. Il cuore le si fermò un istante, poi riprese a batterle nel petto come se volesse uscire. Premette il telefono di nuovo allorecchio, ma sentì solo il segnale di chiamata terminata Marco aveva già chiuso.
Lucia cadde lentamente sulla poltrona, sentendo le gambe cedere. Nella mente, i pensieri si accavallavano: «Marcolino la vasca Che vasca cè in un viaggio di lavoro?» La memoria le riportò strani dettagli degli ultimi mesi: viaggi frequenti, chiamate tarde che Marco riceveva sempre in balcone, quel nuovo profumo nella sua macchina.
Con mani tremanti aprì il laptop. Entrare nella sua email fu semplice la password la conosceva da quando tra loro cerano ancora fiducia e onestà. Biglietti, prenotazioni «Suite per sposini» in un hotel cinque stelle nel centro di Milano. Per due.
Nella posta trovò anche una conversazione. Chiara. Ventisei anni, personal trainer. «Amore, non ne posso più. Avevi promesso di lasciarla tre mesi fa. Quanto altro devo aspettare?»
A Lucia venne male. Davanti agli occhi le apparve il ricordo del loro primo appuntamento con Marco lui un semplice impiegato, lei una ragioniera alle prime armi. Avevano risparmiato per il matrimonio, affittando un piccolo bilocale. Gioivano per i primi successi, si sostenevano nei momenti difficili. E ora lui era un dirigente di successo, lei la capo contabile della stessa azienda, e tra loro si era scavato un abisso lungo quindici anni e largo ventisei, occupato da una certa Chiara.
Nella camera dalbergo, Marco camminava nervosamente avanti e indietro.
«Perché lhai fatto?» la sua voce tremava di rabbia.
Chiara era sdraiata sul letto, avvolta in un accappatoio di seta. I suoi lunghi capelli biondi si spargevano sul cuscino.
«Che cè di male?» si stirò come un gatto sazio. «Hai detto che volevi lasciarla.»
«Sarò io a decidere quando e come farlo! Hai idea di cosa hai combinato? Lucia non è stupida, ha capito tutto!»
«Meglio!» Chiara si alzò di scatto. «Sono stufa di essere lamante che nascondi negli hotel. Voglio uscire con te al ristorante, conoscere i tuoi amici, essere tua moglie!»
«Ti comporti come una bambina,» borbottò Marco.
«E tu come un codardo!» gli si avvicinò. «Guardami! Sono giovane, bella, posso darti figli. Lei cosa sa fare? Solo contare i tuoi soldi?»
Marco le afferrò le spalle: «Non parlare così di Lucia! Non sai niente di lei, di noi!»
«So abbastanza,» si liberò. «So che sei infelice. Che lei è persa tra lavoro e casa. Quando avete fatto lamore lultima volta? E un viaggio insieme?»
Marco si voltò verso la finestra. Da qualche parte, nella Roma innevata, nella loro casa, tutto stava crollando. Quindici anni di vita insieme si dissolvevano come un castello di carte, per colpa di una frase detta da una ragazza capricciosa.
Lucia sedeva al buio in cucina, stringendo una tazza di tè freddo. Sul telefono, decine di chiamate perse dal marito. Non rispondeva. Cosa avrebbe potuto dirgli? «Caro, ho sentito la tua amante che ti chiama nella vasca?»
La memoria le mostrava immagini della loro vita insieme. Marco che le porgeva lanello, inginocchiato in mezzo a un ristorante. Il trasloco nel loro primo appartamento, un bilocale in periferia. Lui che la sosteneva quando perse la madre. La festa per la sua promozione
Poi erano arrivati i progetti lavorativi, i mutui, le ristrutturazioni
Quando avevano parlato davvero, lultima volta? Quando si erano abbracciati sul divano guardando un film? Quando avevano fatto progetti?
Il telefono vibrò di nuovo. Un messaggio: «Lucia, parliamone. Ti spiego tutto.»
Cosa cera da spiegare? Che lei era invecchiata? Che si era persa nella routine? Che una giovane personal trainer capiva meglio i suoi bisogni?
Lucia si avvicinò allo specchio. Quarantadue anni. Rughe attorno agli occhi, capelli bianchi che copriva ogni mese. Quando era iniziato tutto? Quella stanchezza nello sguardo, labitudine di vivere di scadenze, la corsa infinita alla stabilità?
«Marco, dove vai?» Chiara lo fissò contrariata quando rientrò in camera dopo lennesimo tentativo di chiamare la moglie.
«Non ora,» si lasciò cadere su una poltrona, allentando la cravatta.
«Sì, ora!» gli si parò davanti. «Voglio sapere cosa succederà. Ora dovrai decidere!»
Marco la guardò bella, sicura di sé, piena di energia. Così era Lucia quindici anni fa. Dio, come aveva potuto ferirla così?
«Chiara,» si passò le mani sul volto. «Hai ragione. Bisogna decidere.»
Lei sorrise, gli si gettò addosso: «Amore! Sapevo che avresti fatto la scelta giusta!»
«Sì,» la allontanò dolcemente. «Dobbiamo smetterla.»
«Cosa?!» indietreggiò come se lavesse schiaffeggiata.
«È stato un errore,» si alzò. «Amo mia moglie. Sì, abbiamo problemi. Sì, ci siamo allontanati. Ma non posso non voglio cancellare tutto quello che cè stato tra noi.»
«Sei sei un vigliacco!» le lacrime le rigavano il viso.
«No, Chiara. Ero un vigliacco quando ho iniziato questa storia. Quando ho mentito alla donna che ha condiviso con me quindici anni di gioie, dolori, vittorie, sconfitte. Hai ragione sono infelice. Ma la felicità va costruita, non cercata altrove.»
Il campanello suonò verso mezzanotte. Lucia sapeva che era lui tornato col primo volo.
«Lucia, apri, per favore,» la sua voce arrivò ovattata dalla porta.
Aprì. Marco era sulla soglia barba incolta, giacca sgualcita, occhi pieni di rimorso.
«Posso entrare?»
Si spostò in silenzio. Andarono in cucina il luogo dove un tempo sognavano il futuro, dove prendevano le decisioni importanti.
«Lucia»
«Non serve,» alzò una mano. «So tutto. Chiara, ventisei anni, personal trainer. Ho letto le tue email.»
Lui annuì, senza parole.
«Perché, Marco?»
Rimase a lungo in silenzio, guardando la città dalla finestra.
«Perché sono un debole. Perché ho avuto paura che fossimo diventati estranei





