La Figliastra

**La Figliastra**

La vita è complicata, soprattutto quando si tratta di relazioni tra chi è di sangue e chi non lo è. A volte, i parenti litigano e diventano nemici per sempre. Altre volte, invece, tra estranei nasce un legame più forte di quello familiare.

Egoric’ ha settantacinque anni, e ora si sente vecchio, ma per fortuna non solo. Da giovane lo chiamavano Timoteo, ma con l’età è diventato Egoric’—più corto, più rispettoso e, in un certo senso, più affettuoso. A lui va bene così.

Non si sposò presto, aveva venti anni. Nei paesini di allora, i ragazzi si sistemavano in fretta, ma lui continuava a guardarsi intorno. Nessuna ragazza del suo paese lo aveva mai colpito.

“Timò, quando smetterai di fare il libertino?” gli chiedevano la madre, i parenti e gli amici già sposati.

“Sto bene così!” rideva lui. “C’è tempo per mettersi il giogo al collo. Non vedo che i miei amici siano così felici: mogli e figli chiedono sempre qualcosa. Io invece faccio come mi pare!”

Le ragazze, però, lo guardavano con speranza. Era un bel giovane, lavoratore e sveglio. Si vedeva già in lui l’animo di un bravo capofamiglia, e poi non beveva né fumava. Molte madri consigliavano alle figlie di conquistarlo.

“Timò farà un buon marito,” dicevano le compaesane. Ma lui non aveva fretta di scegliere una ragazza del posto. Forse il destino aveva altri piani.

Timoteo andava spesso alla sala da ballo la sera. A quei tempi, nei paesini c’era tanta gioventù, e la musica risuonava ovunque. Se avesse cercato una moglie, l’avrebbe trovata subito. Ma le ragazze del posto non lo interessavano. Lavorava come autista di camion per un’azienda agricola e spesso lo mandavano in altri paesi. Un giorno disse alla madre:

“Domani vado a Montespino, il capo mi manda a prendere dei ricambi. Preparami qualcosa da mangiare, sarà una lunga giornata. Tornerò la sera.”

“Oh, Timò, che fortuna! Da tempo zia Concetta vuole venire da noi, ma non ha mai un passaggio. Passa a prenderla e portala qui. Non dimenticare…”

“Va bene, ci passerò,” promise il figlio.

Concetta era la sorella maggiore della madre. Fu proprio lei a cambiare la vita di Timoteo. Non sapeva che il nipote sarebbe passato da lì, ma da tempo aveva un piano in mente.

“Timò, quando capiti da queste parti, vieni a trovarmi. Sarò felice di venire con te a far visita a tua madre.” La zia era furba—voleva assolutamente che il nipote si sposasse.

Quando Timoteo passò davanti alla casa di Concetta, fece una breve sosta:

“Zia, mentre carico la merce, preparati. Al ritorno ti porto da noi.”

“Oh, sei un tesoro!” esclamò lei. “Non preoccuparti, sarò pronta in un attimo.”

Al ritorno, Timoteo la caricò in macchina, ma lei gli disse:

“Timò, portiamo un sacco di patate a Valeria lungo la strada. Ci passa proprio vicino.”

“D’accordo, c’è spazio,” rispose lui.

A un chilometro da Montespino viveva Valeria, una giovane vedova con una figlia di cinque anni, Alina. Appena Timoteo la vide, scoccò una scintilla tra loro. Concetta se ne accorse subito.

“Meglio così,” pensò. “Finalmente si sistema…”

Timoteo non ebbe più pace—Valeria gli piaceva moltissimo. La rivide quando riportò zia Concetta a casa.

“Timò, fermati da Valeria, devo darle una cosa.”

Il giovane fu felice—si stava già domandando come rivederla. Mentre Concetta e Valeria sussurravano tra loro, lui la osservava di nascosto. Dopo aver lasciato la zia, lei gli disse:

“Valeria mi ha chiesto degli aghi da maglia. Portaglieli, vuole fare i calzini alla figlia e ha perso i suoi. Io ne ho di avanzati…”

Timoteo tornò da Valeria, e questa volta lei lo invitò a prendere un caffè. Chiacchierarono a lungo, trovando molti argomenti in comune. Doveva tornare a casa, ormai si faceva buio.

“Valeria, posso ancora venirti a trovare?” chiese nel cortile, mentre lei e Alina lo accompagnavano alla macchina.

“Certo, zio Timoteo!” disse improvvisamente Alina. “Devi tornare! Ci sei piaciuto tanto,” aggiunse la bimba con sincerità. “Vero, mamma?”

Timoteo e Valeria risero felici.

“Allora, aspettatemi!”

Dopo essersi visti tre volte, alla quarta Valeria e Alina partirono con lui.

Capì subito che zia Concetta aveva inventato la scusa delle patate per farli incontrare. Valeria ne aveva già una cantina piena. La zia aveva architettato tutto per sistemarlo.

Timoteo e Valeria vissero bene insieme. Alina andava a scuola e lo adorava—lo chiamava papà e lo seguiva ovunque. Valeria lavorava in paese, e tutto sembrava perfetto, ma col tempo iniziarono a litigare. Dicevano che non andavano d’accordo. Timoteo era un uomo per bene, ma aveva un difetto che a certe donne non piaceva: amava l’ordine in tutto.

Valeria era una donna semplice, ma odiava pulire. Lasciava le sue cose in giro, e a lui dava fastidio. All’inizio sistemava tutto lui, poi iniziò a farle notare, ma a lei non andava giù. Lo insultava:

“Che uomo sei? Ti metti a riordinare le cose delle donne? Sei un pidocchioso! Io vivo così, non cambierò mai!”

Timoteo cercava di ignorarla, ma era difficile quando solo uno in casa teneva all’ordine. Alina, però, imitava il padre—nella sua stanza tutto era perfetto.

“Mamma, sei così disordinata!” cercava di rimproverarla, ma Valeria la zittiva.

Col tempo, la tensione crebbe, e un giorno scoppiò il finimondo.

“Basta con le tue manie! Io vivo come mi pare!” urlò Valeria. “Me ne vado! Alina, preparati!”

“Mamma, non voglio lasciare papà!” piagnucolò la figlia.

“Che papà?! Non hai un papà!” gridò Valeria, ormai fuori controllo.

Timoteo soffrì molto per Alina. Si erano affezionati. La bambina ormai andava alle medie e partì in lacrime.

Anche lui era distrutto. Valeria se ne andò, e lui cercò di parlarle, ma forse il problema era più profondo.

Decise di dedicarsi all’apicoltura. Comp

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