**La lampada che quasi ha diviso la famiglia**
— Elisa, Dante, chi di voi ha rotto la mia lampada? È il ricordo di Giorgio! — Renata sbatté una mano sul tavolo di quercia nel salotto della vecchia casa dei Moretti, sollevando una nuvola di polvere dalla tovaglia ricamata con margherite. La casa, costruita negli anni Trenta, odorava di legno antico, naftalina, minestrone appena cucinato e un’ombra di umidità che saliva dalla cantina. La lampada antica, con la base in bronzo a forma di vite e il paralume verde, che Renata custodiva come un tesoro in memoria del defunto marito, giaceva sul pavimento consumato: il paralume era piegato e il piede spezzato, lasciando scoperti i fili elettrici. I suoi capelli grigi erano stretti in un nodo severo, la vestaglia fiorita ondeggiava, e gli occhiali con la montatura d’osso si appannarono per la rabbia mentre le sue mani stringevano il bordo del tavolo.
Elisa, quindicenne, saltò giù dal divano sformato. I suoi capelli scuri erano arruffati, e la maglietta nera con i gatti si era alzata, scoprendo la cintura dei jeans. Puntò il dito contro il fratello minore con voce stridula:
— Nonna, non sono stata io! — gridò, i suoi sneaker scricchiolando sul pavimento. — È stato Dante, lui lascia cadere tutto, ieri ha giocato a pallone qui dentro!
Dante, dodici anni, con la felpa blu stropicciata e i capelli rossi spettinati, posò il tablet dove stava giocando a un videogioco di corse. Gli occhi gli si spalancarono per l’indignazione:
— Io?! Elisa, stai mentendo! — saltò su. — Nonna, giuro, non ho toccato la lampada! Lei ieri faceva i video per TikTok, saltellava come una capra!
Marco, il figlio di Renata, entrò nel salotto con la giacca da lavoro impregnata di olio e metallo. Era operaio in fabbrica, la barba corta luccicava di sudore e aveva le occhiaie per i turni di notte.
— Mamma, basta urlare, fai tremare la casa — disse, appoggiando la giacca su un attaccapanni cigolante. — È solo una lampada vecchia! Perché fare tutto questo chiasso?
Alessia, sua moglie e madre dei ragazzi, stava apparecchiando la tavola. I suoi capelli biondi erano sfuggiti dalla coda di cavallo, il grembiule macchiato di sugo e farina ondeggiava, e il viso era stanco dopo il pranzo e le pulizie.
— Marco, non cominciare — disse con voce tesa. — Non è roba vecchia, è la lampada di tua madre, le ricorda Giorgio. Elisa, Dante, ditemi la verità!
La lampada sul pavimento non era più solo un oggetto rotto, ma il simbolo di un litigio che riassumeva rancori, stanchezza e mancanza di dialogo.
La sera, la discussione riesplose. Nel salotto illuminato da un lampadario scrostato, Renata sedeva sulla poltrona sbiadita, rammendando un calzino di lana. Marco beveva il tè da una tazza crepata con la scritta “Miglior operaio”, mentre Alessia lavava i piatti in cucina. Elisa sfogliava un libro di biologia con le cuffie appese al collo, e Dante costruiva una torre instabile con cubetti di legno che poi crollavano rumorosamente.
— Elisa, ti ho visto ballare qui ieri sera! — disse Renata, gli occhiali sul naso. — La lampada non è caduta da sola!
Elisa lanciò il libro sul divano, le guance rosse.
— Nonna, ho ballato, ma non l’ho toccata! Dante stamattina giocava a pallone, l’ho sentito colpire il muro!
Dante saltò su, i cubetti sparsi dappertutto.
— Io?! Lei mente! Ero in camera mia a giocare!
Marco sbatté la tazza, versando il tè sulla tovaglia.
— Mamma, è una lampada vecchia, perché ti agiti così? Io in fabbrica lavoro dodici ore, e voi litigate per un catorcio!
Alessia entrò dalMentre tutti discutevano, Dante corse in soffitta e tornò con un vecchio album di fotografie, mostrando una scena in cui Giorgio sorrideva sotto quella stessa lampada, e in quel momento, la rabbia si sciolse come neve al sole, lasciando spazio a un silenzio carico di promesse e abbracci. .






