La Mia Fortuna è Andata a un Altro

**La mia parte è andata altrove**

Ludovica Moretti stava alla finestra, fissando il giardino del vicino dove una giovane donna stendeva il bucato sulla corda. Una sconosciuta nella casa che avrebbe dovuto essere sua. Nella casa dove era cresciuta, dove aveva vissuto la sua giovinezza, dove sua madre era morta.

— Ludo, perché ti blocchi lì? — la chiamò la sorella minore, Serena, entrando in cucina con le borse della spesa. — Il tè diventa freddo.

— Niente, guardavo solo — sospirò Ludovica, allontanandosi dalla finestra. — Come si permette di fare la padrona.

— Smettila di torturarti — disse Serena, sistemando la spesa sul tavolo. — Quel che è fatto è fatto.

— Facile a dirsi per te. Tu hai il tuo appartamento, io invece vivo alle tue spalle.

— Non dire sciocchezze. Non sei un peso, lo sai bene.

Ludovica si sedette e prese la tazza di tè ormai freddo. Era amaro, senza zucchero — lo risparmiavano. Da quando aveva perso la casa, i soldi erano diventati una tragedia. La pensione era misera, e dovevano vivere in due.

— Serè, ricordi quando la mamma ci parlò del testamento? — chiese, mescolando il tè con un cucchiaino.

— Certo. Diceva che la casa sarebbe stata divisa a metà tra noi.

— Appunto. A metà. E invece è finita tutta a quella figlia di Valchiria.

Serena si lasciò cadere pesantemente sulla sedia. Il tema del testamento faceva male a entrambe.

— Ludo, ne abbiamo già parlato mille volte. Negli ultimi anni la mamma non era più lucida. Alzheimer, dicono i medici.

— Ma non era sola quando firmò il testamento! C’era il notaio, i testimoni. Come hanno potuto permettere che una donna malata lasciasse tutto a un’estranea?

— Donatella non è un’estranea. Ha curato la nipote della mamma quando era malata.

— Curato! — sbuffò Ludovica. — È venuta un paio di mesi a portarle le medicine. E noi, invece? Trent’anni passati ad occuparci di lei non contano?

Serena tacque. Entrambe sapevano che era ingiusto, ma ormai non si poteva più cambiare nulla. Avevano perso la causa, la casa era passata a Donatella — una lontana parente spuntata negli ultimi anni.

Un suono alla porta interruppe i loro pensieri.

— Apro io — si alzò Serena.

In ingresso si sentirono voci, e poco dopo entrò in cucina la nipote, Rossella — figlia del fratello defunto.

— Ciao, zia Ludo, zia Serè — le baciò sulle guance. — Come state?

— Sopravviviamo — rispose Ludovica. — E tu? Il lavoro?

— Tutto bene. Sto organizzando le vacanze al mare. Volevo chiedervi… avete bisogno di soldi? Posso aiutarvi un po’.

Serena e Ludovica si scambiarono un’occhiata. Rossella era sempre stata una brava ragazza, ma quella proposta suonò particolarmente commovente.

— Grazie, Rossellina — disse Serena. — Per ora ce la caviamo.

— Va bene, se avete bisogno, ditemelo. Comunque, ho una notizia. Vi ricordate di Donatella, quella che ha avuto la casa della nonna?

Ludovica si irrigidì.

— Certo. Che le succede?

— La sta vendendo! Ho visto l’annuncio ieri su internet. Chiede quattrocentomila euro.

— Cosa?! — Ludovica balzò in piedi. — La vende?!

— Sì. Dice che la casa è vecchia, la ristrutturazione costerebbe troppo, e lei ha bisogno di un appartamento in città.

— Non è possibile — sussurrò Serena. — La mamma diceva sempre che la casa doveva rimanere in famiglia.

— Che famiglia ormai — rise amaramente Ludovica. — Una sconosciuta si è presa l’eredità e fa quello che vuole.

Rossella si agitò, imbarazzata.

— Zia Ludo, perché non ci parlate? Magari accetta di venderviela a un prezzo più basso?

— Con quali soldi? — esclamò Ludovica. — La mia pensione è di ottocento euro al mese, quella di Serena mille. Dove troviamo quattrocentomila euro?

— Potreste fare un mutuo?

— Alla nostra età? Io ho sessantotto anni, Serena sessantaquattro. Chi ci darebbe i soldi?

Rossella sospirò.

— Che peccato. Era una bella casa, grande.

— Era — ripeté Ludovica come un’eco.

Dopo che la nipote se ne fu andata, le sorelle rimasero a lungo in silenzio. Fuori, il sole calava, tingendo la cucina di tonalità dorate.

— Sai una cosa? — disse improvvisamente Ludovica. — Vado da lei. Da quella Donatella.

— Perché? — si stupì Serena.

— Parlerò con lei. Forse le tornerà la coscienza.

— Ludo, non farlo. Ti farai solo del male.

— Che ho da perdere? La casa non è più mia comunque.

La mattina dopo, Ludovica indossò il vestito migliore e si avviò verso la casa dei genitori. Non era lontana, appena due isolati più avanti, ma ogni passo sembrava pesante.

La casa appariva trascurata. La recinzione era piegata, il cancelletto cigolava, il giardino invaso da erbacce. Ludovica rabbrividì, ricordando quanto fosse stato curato quando c’era sua madre.

Bussò alla porta. Ad aprirle fu Donatella — una donna sui quarantacinque anni, robusta, con un’espressione scontenta.

— Ah, siete voi — disse, riconoscendola. — Cosa volete?

— Buongiorno, Donatella. Possiamo parlare?

— Di cosa?

— Fammi entrare, per favore. Non è il caso di discutere qui.

Donatella la fece passare a malincuore. Nell’ingresso, l’odore di muffa e piatti sporchi era pungente. Ludovica riconobbe con dolore le pareti della sua infanzia, ora scrostate e luride.

— Passate in cucina — borbottò Donatella.

La cucina era in uno stato disastroso. Piatti ovunque, pentole sporche sul fornello, finestre rattoppate con lo scotch.

— Sedetevi — fece cenno a una sedia. — Ma sbrigatevi, non ho tempo.

Ludovica si sedette con cautela.

— Donatella, ho saputo che volete vendere la casa.

— E allora?

— Capite, è la casa della nostra infanzia. Io e mia sorella siamo cresciute qui, i nostri genitori ci hanno vissuto. Per noi è molto importante.

— E a me che importa?

— Forse potreste venderla a noi? So che non abbiamo molti soldi, ma potremmo trovare un accordo per pagare a rate…

Donatella rise, ma era una risata aspra, cattiva.

— A rate! Da due pensionate! Ma siete fuori di testa?

— Donatella, vi prego, non parlate così. Siamo disposte a qualsiasi condizione.

— Qualsiasi condizione? — ripeté Donatella. — E voi dov’eravate quando vostra madre stava male? Dov’eravate quando doveva andare dal dottore? Quando servivano le medicine?

— Abbiamo fatto quello che potevamo…

— Quello che potevate! — la imitò Donatella. — Passare una volta al mese con la spesa, e chiamarla aiuto? Chi l’ha nutrita ogni giorno? Chi le ha lavato le lenzuola? Chi ha vegliato su di lei quando si agitava di notte?

Ludovica abbassò lo sguardo. C’era del vero

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