– Non osare parlare così di mia madre! – Marco sbatté un pugno sul tavolo facendo sobbalzare le tazze. – Lei ha sempre fatto tutto per noi!
– Fatto? – Ginevra si girò dai fornelli agitando il mestolo. – Tua mamma ha preso le chiavi ed è arrivata senza avvisare! Ero in vestaglia, coi capelli spettinati! E lei si permette di farmi la predica sulla pulizia!
– Ma che ti prende? Una volta affezionata a Giovanna…
– Ero ingenua allora! – La voce di Ginevra tremava di rabbia. – Pensavo: che bella suocera! Invece controlla ogni mio respiro!
Giovanna, sulla soglia della cucina, udiva tutto. Stringeva un sacchetto di panzerotti – preparati all’alba per fare una sorpresa. Uno spasimo le serrò il cuore. Dava davvero fastidio? Ginevra la odiava?
– Mamma? – Marco si voltò. – Da quanto sei qui?
– Io… – Giovanna guardò incerta la nuora, poi il figlio. – Ho portato i panzerotti. Ripieni di verza, i vostri preferiti.
Ginevra tornò ai fornelli, le spalle rigide. Un silenzio pesante calò nella stanza.
– Mamma, accomodati, – disse Marco spostando una sedia. – Prendiamo un tè.
– No, meglio… torno a casa, – sussurrò Giovanna deponendo il sacchetto. – Non era il momento.
Svoltarono e uscì in fretta, cercando di nascondere il dolore. Dietro di sé, voci soffocate di Marco e Ginevra. Non voleva capirle.
A casa, Giovanna osservò la via dalla finestra con una tazza di tè freddo. Com’era possibile? Quando Marco le aveva presentato Ginevra, se n’era innamorata. Graziosa, riservata, occhi buoni. E Ginevra allora era sincera: la chiamava “mamma”, chiedeva consigli.
E adesso? Forse interferiva troppo? Visitava eccessivamente? Ma abitavano nella casa accanto, solo un cortile da attraversare. E voleva vedere suo nipote, Dani.
La sera squillò il telefono. Ginevra.
– Giovanna, posso venire? Da sola…
– Certo, piccola.
Ginevra arrivò con gli occhi rossi. Si sedette di fronte alla suocera, le mani strette.
– Volevo scusarmi, per stamattina… Con Marco… Avrei dovuto frenarmi.
– Ginevrina, ma cosa è successo? – Giovanna si chinò verso di lei. – Perché tanto turbamento?
– Tutto insieme, – asciugò Ginevra gli occhi con la manica. – Lavoro a rischio, non so se mi terranno. Dani malato da tre settimane, i medici non chiariscono. Marco… non vede che sono stremata. Lavoro, casa, bambino… E lei arriva, io impreparata, disordinata…
– Oh, piccola mia, – Giovanna si spostò accanto, strinse le sue spalle. – Perché temi il giudizio? Non sono un’estranea, siamo famiglia!
– È proprio questo, – singhiozzò Ginevra. – Lei è perfetta: casa immacolata, cucina squisita. Io mi sento incapace.
Giovanna la fissò stupita.
– Ma che dici? Sei una moglie e madre meravigliosa! La casa può aspettare col bambino malato e il lavoro che crolla!
– Davvero non mi biasima? – Gli occhi di Ginevra cercarono i suoi.
– Figurati. Anch’io vissi momenti così con Marco piccolo. Ricordo la varicella, febbre alta, io insonne giorni. Venne mia suocera, vide i piatti sporchi, e iniziò a rimproverarmi. Ancora mi brucia.
Ginevra sorrise per la prima volta da tempo.
– Io pensavo mi giudicasse. “Guarda come vive, casa trascurata, il marito malnutrito…”
– Santo cielo, – scosse il capo Giovanna. – Io volevo solo aiutare! Preparavo i panzerotti per facilitarvi. Tenevo Dani quando eri impegnata. Ho solo disturbato.
– Non così, – disse Ginevra piano. – Sono stata sciocca. Stressata e ho sfogato su di lei.
– Sai cosa? – Giovanna andò in cucina. – Prendiamo del tè vero, con la torta. Raccontami del lavoro. Cercheremo una soluzione.
Rimasero fino a mezzanotte. Ginevra parlò delle pressioni lavorative, delle preoccupazioni per Dani, dello stress quotidiano. Giovanna ascoltava, assentiva, aggiungeva qualche riflessione.
– Sai? Ho un’amica nell’ufficio scolastico, – disse pensosa. – Potrebbe suggerire qualcosa, se dovessero licenziarti.
– Sul serio? – Ginevra si animò.
– Certo. Domani chiamerò Claudia Marini, verificherò se hanno posti.
Quando Ginevra partì, l’abbraccio fu diverso: meno formale, più int
E da quel momento imprescindibile, seppero che la famiglia si costruisce sui gesti sinceri, non solo sui legami di sangue.