La Signora del Quinto Piano
Marina Rossi aveva sempre saputo tutto del loro palazzo. Chi arrivava a che ora, chi litigava con chi, a chi mancavano i soldi per le bollette. Ma della vicina del quinto piano non sapeva nulla.
Quella donna era comparsa nel palazzo senza fare rumore. Marina ricordava che l’appartamento cinquantatré era rimasto vuoto a lungo dopo la morte del vecchio Silvio Bianchi. I nipoti eredi, da Milano, venivano di raro, svuotavano qualcosa, poi vendettero. Ma chi l’avesse comprato, nessuno lo sapeva con certezza.
— Immobiliari, suppongo, che rivendono — aveva speculato la vicina Valentina Moretti, incontrando Marina vicino alle cassette della posta. — Di moda adesso, trattano gli appartamenti come patate al mercato.
Ben presto fu chiaro che non l’avevano rivenduto. Qualcuno ci si era trasferito. Marina lo capì dalla musica bassa che a volte scendeva dall’alto, e dal ticchettio di tacchi sulle scale. Proprio tacchi, non ciabatte o scarpe da ginnastica, ma vere scarpe col tacco. Nel loro palazzo pochi si concedevano quel lusso.
La prima volta che Marina vide la nuova vicina fu per caso. Guardò dallo spioncino sentendo voci sul pianerottolo e rimase paralizzata dallo stupore. Sulla soglia dell’appartamento di fronte c’era una donna alta in un elegante cappotto beige. I capelli raccolti in una chignon ordinato, teneva in mano un mazzo di rose bianche.
— Grazie mille — diceva la sconosciuta a un uomo sulla cinquantina in un completo scuro. — Gliele consegnerò senz’altro.
L’uomo annuì, rispose qualcosa in un sussurro e si diresse all’ascensore. La donna rimase ancora un attimo, fissando i fiori, poi sospirò piano e sparì nel suo appartamento.
— Val, hai visto la nuova vicina? — chiese Marina all’amica il giorno dopo, sedute sulla panchina del cortile.
— Quale nuova?
— Quella del quinto piano. Adesso abita nel cinquantatré.
Valentina scosse la testa:
— Non l’ho vista. E che, è giovane?
— Non proprio. Quarantacinque, forse cinquant’anni. Bella, ben curata. E vestita bene, non come tutte noi qui.
— Probabilmente benestante — concluse Valentina. — Se ha comprato un appartamento in centro.
Marina concordò, ma un senso di stranezza non la abbandonava. I ricchi di solito non venivano ad abitare nel loro vecchio palazzo con l’ascensore antiquato e le pareti scrostate. Compravano nei nuovi complessi o nei palazzi d’élite col portiere.
Pian piano, Marina notò che alla vicina del quinto venivano spesso ospiti. Sempre uomini, sempre con fiori. Venivano a ogni ora: qualcuno la mattina, qualcuno la sera, qualcuno a pranzo. Alcuni restavano venti minuti, altri si trattenevano un’ora o due. Ma tutti, senza eccezione, erano, ben vestiti e sicuri di sé.
— Forse è un’artista? — ipotizzò Valentina quando Marina le confidò le osservazioni. — O una musicista? Hanno sempre tante conoscenze.
— Un’artista con quei soldi? — sbuffò scettica Marina. — Hai mai visto artisti ricchi?
Valentina alzò le spalle ma convenne che era improbabile.
La curiosità di Marina aumentava ogni giorno. Cominciò ad ascoltare apposta i rumori da sopra, a uscire al portone dei rifiuti proprio quando sentiva passi sulle scale. Ma la vicina sembrava svanire nell’aria. O camminava molto piano, o sentiva gli sguardi e li evitava.
La spiegazione arrivò inaspettata. Marina tornava dal medico dopo lunga attesa. Di pessimo umore: il dottore non aveva detto nulla di utile, solo prescritto analisi. In ascensore incontrò Gino, l’idraulico della manutenzione.
— Salve, Signora Marina — la salutò Gino, con una cassetta degli attrezzi in mano.
— Ciao, Gino. Dove vai?
— Al quinto, aggiusto un rubinetto. È arrivata la richiesta.
Marina si animò:
— Nel cinquantatré?
— Già. Ci sta una signora, interessante. Offre sempre il caffè, i biscotti. E paga oltre tariffa, tra l’altro.
— Davvero? E che tipo è?
Gino si grattò la nuca:
— Donna perbene. Gentile, educata. Solo che è sempre un po’ triste. E vive sola, nessuno con lei.
— Come sola? E gli uomini che ci vanno in continuazione!
L’idraulico la guardò sorpreso:
— Quali uomini? Ci sono stato cinque volte — non ne ho visto uno. È sempre sola.
Marina rifletté. O Gino mentiva, o lei fraintendeva. O forse la vicina era cauta e non riceveva ospiti con estranei.
La risposta all’enigma arrivò una settimana dopo, da una direzione inattesa. Marina si trovò faccia a faccia con la vicina al supermercato. La donna era davanti allo scaffale dei latticini e studiava attentamente l’etichetta sul kefir.
— Scusi — le si rivolse Marina — lei è del nostro palazzo? Io sono Marina Rossi, dal quarto piano.
La vicina alzò lo sguardo. Da vicino era ancora più bella: lineamenti regolari, occhi castani espressivi, pelle curata. Ma in quegli occhi Marina lesse una tale stanchezza e tristezza che trasalì.
— Sì, mi ricordo di lei — rispose piano la donna. — Elisa Romano. Molto lieta.
— Come va, si è sistemata? Ha preso un bel appartamento, Silvio Bianchi lo teneva in ordine.
— Grazie, tutto bene. Tranquillo, silenzioso.
Elisa non era chiaramente incline a chiacchierare, ma Marina decise di non perdere l’occasione:
— E lavora da qualche parte? O già in pensione?
— Lavoro — rispose secca la vicina, voltandosi verso lo scaffale della ricotta.
Marina capì che le domande erano fuori luogo, si congedò e se ne andò. Ma quel dialogo non la sodd
Marina rimase ancora a lungo alla finestra, decidendo che da quel momento avrebbe guardato ogni vicino con occhi più comprensivi, perché il dolore spesso si nasconde dietro un sorriso educato.