La porta chiusa della moglie

Leonardo seduto sull’auto di suo figlio Lorenzo, mentre fuori piove a dirotto sopra Firenze. Mannaggia la miseria, tre giorni che sto qui a girarmi i pollici dopo la lite con Caterina. Ti giuro, mai l’aveva fatta grossa così, in trent’anni di matrimonio.

“Allora papà, niente da fare neanche oggi?” mi chiede Lorenzo, accendendo la macchina. “Non vuole sentire ragioni. Dice che ho un’amante… Benedetta Romano, quella della contabilità in ufficio. Ma figurati!”

“Aspetta, questa Benedetta… c’è qualche fondo di verità?” indaga Lorenzo. “Assolutamente no, giuro sulla testa dei nipotini! La figlia voleva entrare a Medicina a Padova, ho chiamato un mio amico professore per una raccomandazione. Fine. Benedetta mi ha pure offerto un caffè per ringraziarmi. Un caffè, Lorenzo! Ma tua madre ha preso fuoco come un falò.”

“Strano però… di solito si calmava in fretta,” fa Lorenzo, imboccando viale Europa. “Secondo me c’è altro sotto, papà. Hai notato ultimamente com’è nervosa? Dice a Chiara che ‘vuole vivere per sé’… Boh, crisi dei cinquant’anni?”

“Massì, ha 58 suonati, potrebbe essere… Ma scusami, perché sfascia tutto? Ho chiamato ora per prendere i miei vestiti, sai cosa risponde? ‘Ho buttato via la tua roba, ho fatto spazio!’. I completi di lana, le camicie… roba seria. Dice pure che la vicina ci avrebbe visto salire insieme, io e Benedetta! Ma se era Pietro del quarto, venuto a prendere il cacciavite! Abbiamo bevuto due caffè, fine. Invece Caterina è convinta dell’adulterio… una tragedia greca.”

Lorenzo scuote la testa parcheggiando sotto casa sua. “Pazienza sia. Vieni su, papà. Ti faccio una grappa.”

Saliamo e chiamo subito Chiara a Bologna. “Piccola, è una catastrofe. La mamma è fuori come un balcone… Sì, proprio così, dice che ho un’amante! Benedetta Romano, sì… No, non esiste proprio… tu puoi dirle qualcosa?”

Mezz’ora dopo Chiara richiama: “Papà, le ho parlato. Niente da fare. Dice ‘sono stanca, voglio respirare’. Stranissima. Ma dimmi, sul serio non c’è niente di vero in questa storia? Magari un flirtino negli anni?”

“Ma per favore! A sessant’anni, con gli acciacchi?” sbuffo. “Lei è cocciuta come una mula, lo sai? Ricordi quando ti insegnavo ad andare in bici? Se s’incaponiva, manco gli angeli la muovevano.”

Accendo la tv, ma non reggo. “Senti, Lorenzo, riportami un attorno a casa. Ti prego.”

“Papà, lascia perdere per stasera…”

“No. Trent’anni sono trent’anni. Anche se devo dormire sul muretto sotto la pioggia.”

Torniamo in via dei Serragli. Suono. Niente. Rio-suono. Finalmente sento la sua voce dietro la porta, gelida:

“Chi è?”

“Caterì, sono io. Apriamo, parliamo un attimo da persone.”

“Persone? Tu non sei persona, sei un serpente. Vattene.”

“Ma che serpente! Dammi retta, cretina! Apri sta porta!”

“Mai.” Sento il chiavistello scattare. “Il tuo regno è finito, reuccio. Di te non voglio proprio saperne.”

“Ma perché?! Che ti ho fatto di male?”

“Tutto. Principalmente mentire. E tradire.”

“Tradire un bel niente! Non ho messo mani addosso a nessuno!”

“Come no? Caffè con le colleghe sapevo? Chiacchiere sottovoce? Poi mi hanno detto che l’hai pure portata in casa…”

“Santo cielo! Erano le tazze di caffè di Pietro! È venuto per il trapano! Sei matta o ci fai?”

“Ah sì? E la signora vista dalla Bocci nel cortile? Quella chi era?”

Finita. Aggancia. Mi appoggio alla ringhiera sudato. Lorenzo mi porge un fazzolettino. “Forza papà. Saliamo da me. Ti preparo un minestrone.”

Guardo su verso i nostri balconi. Le tende sono chiuse. Un cane abbaia lontano nella cortina di pioggia. Trent’anni. Tre figli. Due nipotini. Vacanze a Viareggio. Le notti a litigare per le bollette. Le colombe di Pasqua con il cioccolato che scioglievo male… Tutto ridotto a una porta sbarrata per colpa di due tazzine sporche di caffè? Forse Caterina aspetta proprio questo – lo strappo finale. Una ragione per dire basta. E io… boh. Forse stanotte, sotto la pioggia fiorentina, comincio a capirlo.

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