Mio nipote ha sei anni: una sconosciuta mi ferma per strada, ma mio figlio smentisce tutto

**30 Ottobre**

Tornavo dal lavoro, stanco morto come al solito, con la testa già al menu della cena e alla riunione del giorno dopo. Allimprovviso, una voce alle mie spalle mi fermò:

«Scusi! Matteo Ferraro?»

Mi voltai. Una giovane donna mi fissava, accanto a un bambino di circa sei anni. Il suo tono era incerto, ma gli occhi, decisi.

«Mi chiamo Giulia», disse. «E questo è suo nipote, Luca. Ha già sei anni.»

Per un attimo, pensai a uno scherzo di cattivo gusto. Né lei né il bambino mi erano familiari. Lo stupore mi fece girare la testa.

«Scusi, ma deve esserci un errore», riuscii a balbettare.

Giulia continuò, sicura di sé:

«No, non mi sbaglio. Suo figlio è il padre di Luca. Ho taciuto a lungo, ma credo che lei abbia il diritto di sapere. Non chiedo nulla. Ecco il mio numero. Se vuole conoscerlo, mi chiami.»

E lasciandomi senza parole, se ne andò. Rimasi fermo sul marciapiede, stringendo quel foglietto tra le dita, il cuore in gola. Corsi a chiamare Marco, il mio unico figlio.

«Marco, hai mai avuto una relazione con una certa Giulia? Hai un figlio?»

«Papà, dai Fu una cosa breve. Era strana, poi disse di essere incinta. Non so se fosse vero. Sparì. Dubito che quel bambino sia mio.»

Le sue parole mi sconvolsero. Da un lato, avevo sempre creduto in lui. Lavevo cresciuto da solo, lavorando come un matto per dargli una vita migliore. Era diventato un professionista affermato, ma non si era mai messo su famiglia. Gli avevo parlato spesso dei figli, sognando di diventare nonno. E ora, un nipote spuntava dal nulla.

Il giorno dopo, chiamai Giulia. Non sembrò sorpresa.

«Luca ha sei anni. È nato ad aprile. No, non farò test. So chi è suo padre. Ci lasciammo durante la gravidanza. Non ho cercato Marco prima perché me la sono cavata da sola. I miei genitori mi aiutano. Stiamo bene. Sono qui solo per Luca: merita di conoscere suo nonno. Se vuole, può far parte della sua vita. Altrimenti, capirò.»

Riattaccai e rimasi in silenzio a lungo. Da un lato, non potevo ignorare i dubbi di Marco. Dallaltro, negli occhi di Luca avevo visto qualcosa di familiare. Il suo sorriso. I suoi gesti. O era solo il mio desiderio di essere nonno?

Quella sera, guardai fuori dalla finestra, ricordando le mattine in cui portavo Marco a scuola, le cene insieme, il suo primo giorno di lavoro. Aveva davvero abbandonato una donna incinta? O quel bambino non era suo?

Eppure, nonostante tutto, sentivo una strana tenerezza al pensiero di Luca. E una rabbia verso me stesso per quei dubbi. Non avevo chiesto prove quando Marco era nato. Perché pretenderle da Giulia? Perché non potevo credere e basta?

Non avevo deciso nulla. Non la richiamai. Ma ogni volta che passavo per quella strada, scrutavo i volti. Non sapevo se Luca fosse mio nipote. Ma non riuscivo a dimenticarlo. Il sogno di un nonno non muore così facilmente. Forse un giorno comporrò quel numero. Anche solo per incontrare quel bambino che mi ha chiamato «nonno».

A volte, la famiglia non è questione di sangue, ma di cuore. E accettare lignoto può regalarci le sorprese più belle.

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