**Diario di Luca Ferrara**
Nonno mi ha lasciato una casa diroccata nella periferia del suo paese natale nel testamento. Quando varcai la soglia, rimasi senza fiato
Mentre mia sorella, Chiara, riceveva un elegante bilocale nel centro di Firenze, a me toccò una vecchia casa di campagna in provincia di Siena, cadente e dimenticata. Mio marito, Marco, mi chiamò una fallita e andò a vivere con Chiara. Senza più nulla, mi trasferii in quel paesino sperduto. Appena entrata, il cuore mi balzò in gola
Lufficio del notaio era soffocante, impregnato di polvere e documenti ingialliti. Sedevo su una sedia scomoda, le mani sudate per la tensione. Accanto a me, Chiara, impeccabile nel suo tailleur costoso e lo smalto perfetto, scrollava il telefono con aria annoiata, come se quella lettura fosse una perdita di tempo. Io stringevo la tracolla logora della mia borsa. A trentaquattro anni, mi sentivo ancora la sorellina timida davanti alla sua sicurezza.
Lavoravo in una biblioteca locale, uno stipendio modesto, ma amavo il mio lavoro. Per gli altri, però, era solo un passatempo, specialmente per Chiara, manager in unazienda importante, che guadagnava in un mese quello che io mettevo da parte in un anno.
Il notaio, un uomo anziano con gli occhiali spessi, schiarì la voce e aprì la cartella. Il silenzio si fece più pesante. Un orologio a muro ticchettava lentamente, marcando lattesa.
Ricordai le parole di nonno: *”Le cose più importanti accadono nel silenzio.”*
“Testamento di Antonio Rossi,” annunciò il notaio con voce monotona. “Lascio lappartamento in via del Corso, numero 27, interno 43, con mobilio e suppellettili, alla nipote Chiara Elisabetta.”
Chiara non alzò nemmeno gli occhi dal telefono, come se lo sapesse già. Io invece sentii un vuoto nello stomaco. Ancora una volta, ero seconda.
Lei aveva sempre avuto tutto: voti eccellenti, luniversità prestigiosa, un marito ricco. Io? Lombra della sorella maggiore.
“Il casolare a Montalcino, con annessi e terreno di milleduecento metri quadri,” continuò il notaio, “va alla nipote Sofia Maria.”
Sofia. Il mio nome mi suonò strano, quasi estraneo. Un casolare? Quello fatiscente dove nonno aveva vissuto gli ultimi anni? Ricordai le poche volte che ci ero andata da bambina: lintonaco scrostato, il tetto che perdeva, lorto invaso dalle erbacce.
Chiara finalmente mi guardò, un sorrisetto sulle labbra. “Almeno hai avuto qualcosa, Sofia. Anche se non capisco cosa farai con quel rudere. Magari lo demolirai e venderai il terreno.”
Rimasi muta. Perché nonno aveva fatto così? Anche lui mi considerava una fallita?
Firmai i documenti con mano tremante. Marco mi aspettava fuori, accanto alla sua vecchia Fiat, fumando nervosamente. “Allora? Cosa ti ha lasciato?”
Quando glielo dissi, il suo volto si oscurò. “Un casolare a Montalcino? Sei seria? Tua sorella ha un appartamento che vale mezzo milione di euro, e tu una baracca!”
“Non ho scelto io,” mormorai.
“Ma potevi insistere! Parlare con tuo nonno prima che morisse!” La sua rabbia era sempre più frequente, soprattutto sui soldi. “Sei sempre stata troppo debole.”
Quella notte, piangi fino allalba. Il giorno dopo, Marco mi disse che voleva il divorzio. “Ho bisogno di una donna che mi sostenga, non di una che lavora in biblioteca e eredita catapecchie.”
E così, in pochi giorni, persi tutto.
Arrivai al casolare con due valigie e un cuore spezzato. Ma quando varcai la porta, qualcosa cambiò. La casa era pulita, fresca, come se qualcuno lavesse preparata per me. Sul tavolo della cucina, cibo fresco. Chi poteva averlo fatto?
Scoprii una lettera sotto un cuscino del divano: *”Alla mia cara Sofia.”*
Era di nonno. Scrisse che sapevo che sarei arrivata, perché ero diversa da Chiara. Disse che il vero tesoro non era lappartamento, ma qualcosaltro.
Ricordai i racconti della mia infanzia, quando mi parlava di antichi gioielli nascosti. *”Sotto il melo vecchio, a un metro e mezzo dal tronco, verso la casa,”* lessi.
Presi una vanga dalla rimessa e scavai. E lì, una cassetta di metallo piena di monete doro, gioielli antichi, pietre preziose.
Un esperto valutò il tesoro: *”Almeno trecentomila euro.”*
Quando Marco lo seppe, tornò, improvvisamente pentito. “Sofia, ho sbagliato. Ricominciamo.”
Ma ormai avevo capito. Lui e Chiara volevano solo i soldi.
Oggi, il casolare è restaurato, il giardino rifiorito. Ho aperto una piccola libreria per i paesani, vivo in pace.
Nonno aveva ragione: il vero tesoro non era loro, ma la libertà di essere finalmente me stessa.
*”La ricchezza non rende migliori, Sofia. Solo più veri.”*
E io, per la prima volta, mi sento davvero libera.