La pioggia batteva forte sul tetto della casetta di campagna quando Giuseppina Rossi udì un timido bussare alla porta. Mise da parte il suo lavoro a maglia e tese l’orecchio. Il rumore si ripeté, incerto, quasi esitante.
“Chi è?” chiamò, avvicinandosi all’ingresso.
“Per favore, mi apra,” rispose una voce femminile flebile. “Mi sono persa…”
Giuseppina aprì la porta lasciando la catenella. Sulla soglia c’era una ragazza di venticinque anni, fradicia. I capelli scuri le si erano appiccicati al viso, il giacchetto leggero era zuppo d’acqua. Stringeva tra le mani una borsetta.
“Santo cielo, sei tutta bagnata!” esclamò Giuseppina, slacciando la catenella. “Vieni dentro, prima che ti prendi un raffreddore!”
“Grazie mille,” sussurrò la ragazza, varcando la soglia e lasciando le impronte bagnate sul tappeto. “Mi chiamo Caterina. Stavo camminando lungo il sentiero e mi sono persa nel bosco. Il telefono è morto, non so più dove sono…”
“Su, togliti quei vestiti subito!” si affrettò Giuseppina, aiutandola a sfilare il giacchetto. “Sei zuppa! Ma come hai fatto a finire qui tutta sola con questo tempo?”
Caterina abbassò gli occhi, imbarazzata.
“Ho litigato con… il mio ragazzo. Mi ha lasciata giù dalla macchia, dicendo che potevo tornare a piedi. Non sapevo che fosse così lontano dal paese…”
“Che mascalzone!” sbottò Giuseppina. “Lasciare una ragazza sola nel bosco! Vieni in cucina, ti faccio subito un tè. Tremi tutta.”
Caterina entrò nella piccola ma accogliente cucina. Giuseppina accese il bollitore e tirò fuori un accappatoio di spugna.
“Ecco, mettiti questo. Appendo i tuoi vestiti sul termosifone, domattina saranno asciutti. Di dove sei?”
“Della provincia,” rispose vagamente Caterina, accettando l’accappatoio con gratitudine. “Lavoro in città, in un ufficio.”
“Madonna santa, che gioventù d’oggi!” scosse la testa la signora anziana. “Ai miei tempi gli uomini avevano più rispetto, non avrebbero mai trattato così una donna. Ma oggi chissà cosa passa per la testa… Siediti, ti preparo qualcosa da mangiare.”
Si mise all’opera ai fornelli, tirando fuori uova, burro e preparando una frittata in fretta. Tagliò del pane e servì delle conserve fatte in casa.
“Mangia, non fare complimenti,” disse, posando il piatto davanti a Caterina. “Si vede che hai fame. Quando hai mangiato l’ultima volta?”
“Stamattina, un boccone,” ammise la ragazza, divorando il cibo avidamente. “Abbiamo litigato tutto il giorno in macchina…”
“E di cosa vi siete scontrati? Se non è un segreto, s’intende.”
Caterina rimase un attimo in silenzio, masticando il pane col burro.
“Voleva che andassimo… a vivere insieme. Ma io ho il mio lavoro, i miei progetti. Non ero pronta. Lui si è arrabbiato, mi ha detto cose brutte…”
“Fai bene a non precipitarti,” approvò Giuseppina. “Io alla tua età mi sono affrettata, ho sposato il primo venuto. Credevo che l’amore avrebbe superato tutto. Non è stato così. Mi ha lasciata con un figlio piccolo per un’altra.”
“Ha un figlio?” chiese Caterina, incuriosita.
“Avevo,” si oscurò il volto di Giuseppina. “È grande, ha una sua famiglia. Ma noi… non andiamo molto d’accordo. Ci vediamo raramente.”
Versò il tè nella sua tazza, mescolando lo zucchero pensierosa.
“E lei vive qui da sola?” chiese delicatamente Caterina.
“Da sola. Questa casa l’ha fatta costruire il mio secondo marito, Dio lo abbia in gloria. Era un brav’uomo, peccato che sia mancato presto. Ora vengo qui solo d’estate, e nemmeno ogni anno. In città ho un appartamento, lì passo l’inverno.”
Caterina annuì, finendo la frittata. Fuori la pioggia si era calmata, ma ormai era scesa la sera.
“Ascolta, piccola,” disse Giuseppina, “resta qui stanotte. Domani mattina ti accompagno alla fermata dell’autobus. Con questo buio e questo tempo non puoi andare da nessuna parte.”
“È sicura? Non voglio imporle disturbo…”
“Ma che dici! Che disturbo! Sono contenta di avere compagnia. C’è un divano in salotto, con lenzuola pulite. Fatti a casa tua.”
Passarono la serata a chiacchierare. Caterina raccontò del lavoro in un’azienda, delle difficoltà a trovare un affitto in città. Giuseppina condivise ricordi di gioventù e si lamentò della solitudine.
“Le amiche si sono tutte sparse, chi è morta, chi è dai figli,” sospirò. “I vicini di casa sono tutti anziani e malati. È triste stare da soli…”
“Perché non si riavvicina a suo figlio?” osò chiedere Caterina.
Il volto di Giuseppina si rabbuiò.
“SuGiuseppina si strinse nel suo scialle, osservando il fuoco scoppiettare nel camino, e capì troppo tardi che l’unico vero tradimento era stato quello della sua stessa famiglia.