Parenti in visita — e poi non se ne sono più andati

Ecco la storia adattata alla cultura italiana:

I parenti sono arrivati… e sono rimasti

Nina Rossi stava appena tirando fuori dal forno una crostata di mele quando suonarono alla porta. Diede un’occhiata all’orologio: le nove e mezza di mattina. Un po’ presto per ricevere visite.

“Arrivo, arrivo!” gridò, asciugandosi le mani sul grembiule e dirigendosi verso l’ingresso.

Sulla soglia c’erano Valentina e suo marito Gennaro, carichi di borse e valigie. La cugina sembrava stanca e tutta stropicciata, mentre il marito aveva un’aria scontrosa.

“Nina, tesoro!” esclamò Valentina, lanciandosi in un abbraccio. “Siamo da te! Non ci avrai mica a male, vero?”

“Valentina?” Nina la fissò perplessa. “Che succede? Da dove venite?”

“Dalla Sicilia,” borbottò Gennaro, trascinando dentro un enorme baule. “Che viaggio, Madonna santa. Traffico da far impazzire.”

“Entrate pure,” si affrettò a dire Nina. “Toglietevi il cappotto. Solo che… non mi avevate avvisato.”

Valentina si sfilò la giacca e la appese all’attaccapanni.

“Nina, capisci, abbiamo avuto un po’ di guai. Gennaro ha perso il lavoro, i soldi sono finiti. E poi abbiamo dovuto vendere la casa.”

“Vendere la casa?” esclamò Nina.

“Eh, debiti, mutui,” fece Gennaro con un gesto vago. “Insomma, abbiamo pensato di venire da te. Vivi da sola in un trilocale, c’è spazio per tutti.”

Nina sbatté le labbra, incredula. Valentina intanto era già in cucina, annusando l’aria.

“Mamma mia, che buon profumo! Una crostata, vero? Perché noi siamo affamati. Abbiamo risparmiato sul cibo per tutta la strada.”

“Sedetevi,” propose Nina, smarrita. “Vi faccio un caffè.”

Gennaro si lasciò cadere su una sedia e si guardò intorno.

“Non male, qui. Arredamento elegante, mica male. Si vede che vivi bene da sola.”

C’era una punta di risentimento nella sua voce che fece storcere la bocca a Nina. Viveva sola da quando il marito era morto, otto anni prima, abituata alla quiete e all’ordine. Lavorava in biblioteca, con uno stipendio modesto, ma le bastava per vivere con dignità.

“E le tue cose?” chiese, versando il caffè.

“Eccole lì, nell’ingresso,” fece Valentina con un cenno. “Gennaro, porta tutto in camera.”

“In quale camera?” domandò Nina, cauta.

“Be’, in una libera. Hai tre stanze, no?”

“Aspetta, Valentina. Prima parliamo. Non capisco… per quanto tempo pensate di restare?”

Valentina e Gennaro si guardarono.

“Be’, finché non sistemiamo le cose,” rispose lei, evasiva. “Troveremo lavoro, ci riprenderemo.”

“E quanto ci vorrà, proprio a spanne?”

“Eh, chi lo sa?” tagliò corto Gennaro, prendendo una fetta enorme di crostata. “Un mese? Sei mesi? Dipende.”

Nina sentì un nodo in gola. Sapeva che negare aiuto a dei parenti in difficoltà era sconveniente, ma l’idea di avere ospiti fissi nella sua tranquilla vita la terrorizzava.

“Nina, non ci manderai via, vero?” le strinse la mano Valentina. “Siamo famiglia. In famiglia ci si aiuta.”

“Certo che no,” sospirò Nina. “È solo che è tutto così improvviso.”

Di sera, i parenti si erano già sistemati. Gennaro era sdraiato sul divano con il telecomando, saltando da un canale all’altro commentando ad alta voce. Valentina trafficava in cucina, lavando piatti e riorganizzando barattoli di spezie.

“Nina, ma che ordine strano che hai qui,” osservò, asciugando un piatto. “Il sale vicino al tè, lo zucchero chissà dove. Ho messo tutto a posto io.”

Nina guardò sgomenta la nuova disposizione. Ogni cosa nella sua casa aveva un posto preciso, studiato per comodità. Adesso non trovava nemmeno il barattolo del caffè.

“Valentina, perché hai cambiato tutto? A me andava bene così.”

“Ma no, era tutto scomodo! Io di queste cose me ne intendo, ho occhio.”

“Ehi, donne!” urlò Gennaro dal salotto. “E a mangiare quando si fa? Sto morendo di fame.”

“Subito, subito,” si affrettò Valentina. “Nina, che hai per cena?”

Nina aprì il frigo. C’erano due uova, un pezzo di salame e un po’ di formaggio: la sua solita cena frugale per i giorni feriali.

“Non molto,” ammise.

“Ma è niente!” esclamò Valentina. “Non basta per tre. Gennaro, prendi i soldi, andiamo a fare la spesa.”

“Quali soldi? Ci sono rimasti giusto i spicci per il biglietto di ritorno.”

Tutti guardarono Nina. Capì l’antifona e tirò fuori il portafoglio.

“Prendete quello che vi serve,” disse, porgendo qualche banconota.

“Grazie, tesoro!” esultò Valentina. “Sei una vera sorella! Ti ridiamo tutto, appena ci rimettiamo in piedi.”

Al supermercato, Valentina riempì il carrello come per un’intera settimana: salumi costosi, pesce affumicato, una torta, cioccolatini. Nina pagò in silenzio, consapevole di aver appena speso metà del suo stipendio.

“Ora sì che si vive!” si strofinò le mani Gennaro, ammirando la spesa. “Mangiare solo salame non è vita.”

Quella sera, quando finalmente i parenti si ritirarono nella sua ex-studio, Nina rimase in cucina a riflettere. Era abituata a dormire alle dieci, ma ormai era mezzanotte passata. Gennaro aveva tenuto la TV a volume altissimo fino a tardi, Valentina aveva sbattuto stoviglie e chiacchierato senza sosta.

“Nina, perché non dormi?” Valentina entrò in vestaglia. “Facciamoci una camomilla, parliamo un po’.”

“È tardi, domani lavoro.”

“Ma dai, la tua biblioteca aspetta! Dimmi piuttosto, come fai a vivere qui da sola? Non ti annoi?”

“Mi sono abituata.”

“E uomini? Niente? Rimasta vedova e basta?”

Nina aggrottò le sopracciglia. Le domande personali non le piacevano, nemmeno con le amiche più care.

“Nessuno.”

“Peccato. Una donna ha bisogno di un uomo. Io con Gennaro… sì, a volte è testardo, ma è un uomo d’onore. Mi difenderebbe sempre.”

“Valentina, forse è meglio dormire.”

“Sì, certo. Solo che domani mi serve la lavatrice. Abbiamo un sacco di roba da lavare. E poi, posso usare le tue creme? La mia pelle è diventata secca.”

La mattina dopo, Nina si svegliò per il trambusto in cucina. Valentina frigg

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