**I Parenti Sono Arrivati E Sono Rimasti**
Mariangela Rossi stava proprio sfornando una crostata di mele quando suonarono alla porta. Guardò lorologio: le nove e mezza di mattina. Un po presto per ricevere visite.
«Arrivo, arrivo!» gridò, asciugandosi le mani sul grembiule e correndo verso lingresso.
Sulla soglia cerano sua cugina Rosalba e il marito, Gennaro, carichi di borse e valigie. Rosalba aveva laria stanca e spettinata, mentre Gennaro sembrava già di malumore.
«Mariangela, tesoro!» esclamò Rosalba, abbracciandola stretta. «Siamo da te! Non ci manderai via, vero? Siamo sangue del tuo sangue!»
«Rosalba?» Mariangela la guardò confusa. «Che succede? Da dove venite?»
«Da Milano, con quel treno maledetto,» borbottò Gennaro, trascinando una valigia enorme nellingresso. «E le coincidenze una tortura!»
«Ma entrate, entrate,» si affrettò a dire Mariangela. «Toglitevi il cappotto. Solo che non mi avevate avvisato.»
Rosalba si liberò del giubbotto e lo appese a un attaccapanni.
«Vedi, Mariangela, è che siamo in una situazione un po complicata. Gennaro ha perso il lavoro, non ci sono più soldi, e poi abbiamo dovuto vendere casa.»
«Vendere casa?» esclamò Mariangela, sbalordita.
«Sì, debiti, mutui» Gennaro fece un gesto vago. «Insomma, abbiamo pensato di venire da te. Vivi da sola in un trilocale, ci sarà spazio per tutti.»
Mariangela batté le palpebre, incapace di credere alle proprie orecchie. Intanto, Rosalba si era già diretta in cucina, annusando laria.
«Che buon profumo! La crostata, eh? Perfetto, siamo affamati. Non abbiamo mangiato niente in viaggio, per risparmiare.»
«Sedetevi,» propose Mariangela, ancora frastornata. «Vi faccio subito un caffè.»
Gennaro si lasciò cadere su una sedia e si guardò intorno.
«Non male, qui. Ristrutturato di recente, mobili decenti. Si vede che vivi bene, da sola.»
Nel suo tono cera unombra di risentimento che trafisse Mariangela. Viveva sola da quando era rimasta vedova, otto anni prima, abituata alla tranquillità e allordine. Lavorava in biblioteca, con uno stipendio modesto, ma le bastava.
«E le vostre cose?» chiese, versando il caffè.
«Eccole lì, in corridoio,» disse Rosalba, indicando le valigie. «Gennaro, porta tutto in camera.»
«In quale camera?» domandò Mariangela, cauta.
«Ma in quella vuota, no? Hai tre stanze!»
«Rosalba, aspetta. Parliamo prima. Non capisco per quanto tempo vi fermate?»
Rosalba e Gennaro si scambiarono unocchiata.
«Be, finché non sistemiamo le cose,» rispose evasiva la cugina. «Troviamo un lavoro, ci rimettiamo in piedi.»
«E quando potrebbe essere, più o meno?»
«Ma chi lo sa?» tagliò corto Gennaro, prendendo una fetta enorme di crostata. «Un mese, sei mesi dipende.»
Mariangela sentì un nodo allo stomaco. Sapeva che negare un aiuto ai parenti era brutto, ma lidea di avere ospiti fissi nella sua vita tranquilla la terrorizzava.
«Mariangela, non ci butterai in strada, vero?» Rosalba le afferrò una mano. «Siamo famiglia. In famiglia ci si aiuta.»
«Certo che no,» sospirò Mariangela. «È solo che è tutto così improvviso.»
Entro sera, gli ospiti si erano già sistemati. Gennaro si era steso sul divano con il telecomando, cambiando canale e commentando a voce alta. Rosalba trafficava in cucina, riordinando i piatti e spostando barattoli di spezie.
«Mariangela, ma che ordine strano che hai,» osservò, asciugando un piatto. «Il sale accanto al tè, lo zucchero nellangolo. Io li ho messi a posto come si deve.»
Mariangela osservò la nuova disposizione con orrore. Ogni cosa in casa sua aveva il suo posto, tutto era pensato per comodità. Adesso non trovava nemmeno il barattolo del caffè.
«Rosalba, perché hai spostato tutto? Per me andava bene così.»
«Ma no, era tutto scombinato! Io ho occhio per queste cose.»
«Ehi, donne!» gridò Gennaro dal soggiorno. «Si mangia o no? Io sto morendo di fame!»
«Subito, subito,» si affrettò Rosalba. «Mariangela, che hai per cena?»
Mariangela aprì il frigo. Cerano due uova, un pezzo di salume e un po di formaggio: la sua solita cena frugale.
«Non molto,» ammise.
«Ma è quasi niente!» esclamò Rosalba. «Non basta per tre. Gennaro, prendi i soldi, andiamo al supermercato.»
«Quali soldi?» borbottò lui. «Abbiamo speso tutto per il biglietto del treno.»
Tutti guardarono Mariangela. Lei capì lantifona e tirò fuori il portafogli.
«Prendete quello che vi serve,» disse, porgendo qualche banconota.
«Grazie, tesoro!» esultò Rosalba. «Sei una vera sorella! Ti ridiamo tutto appena ci rimettiamo in piedi.»
Al supermercato, Rosalba comprò cibo per una settimana: salumi pregiati, salmone, una torta, cioccolatini. Mariangela pagò in silenzio, consapevole di aver speso mezza busta paga.
«E ora si vive!» si strofinò le mani Gennaro, osservando la spesa. «Mangiare solo salame è da poveracci.»
Quella notte, mentre gli ospiti russavano nella sua ex-studio, Mariangela si sedette in cucina, cercando di capire cosa stesse succedendo. Era abituata a dormire alle dieci, ma ormai era mezzanotte passata. Gennaro aveva tenuto la TV a volume altissimo fino a tardi, Rosalba aveva sbatacchiato stoviglie e chiacchierato senza sosta.
«Mariangela, perché non dormi?» Rosalba entrò in pigiama. «Facciamo un altro caffè, parliamo un po!»
«Rosalba, è tardi. Domani lavoro.»
«Ma dai, la tua biblioteca non scappa! Dimmi piuttosto non ti annoi, qui da sola?»
«Ci sono abituata.»
«E uomini? Niente? Sei rimasta vedova e basta?»
Mariangela si irritò. Le domande personali non le piacevano, nemmeno con le amiche più care.
«Nessuno.»
«Peccato. Una donna ha bisogno di protezione. Io, con Gennaro sì, è un po scorbutico, ma è un uomo affidabile. Farebbe di tutto per me.»
«Rosalba, forse è meglio dormire.»
«Sì, certo. Solo domani mi serve la lavatrice. Abbiamo un sacco di roba da lavare. Ah, e posso usare le tue creme? La mia pelle è diventata secca.»
La mattina dopo, Mariangela si svegliò per il trambusto in cucina. Rosalba friggeva qualcosa, Gennaro tossiva e sputava nel lavandino. Il