Prima il caffè, poi te

Nella quiete di un vecchio ricordo, tutto iniziò con una frase pronunciata al mattino.

— *”Prima il caffè, poi tu”*

— Caterina, senti questa! — entrò in cucina Marco con gli occhi di un visionario. — Una startup! Un’idea unica. Una piattaforma per consegnare qualsiasi cosa, dai calzini alla piadina!

— Ma esiste già — rispose lei, mescolando la farina d’avena con disinteresse.

— Ma la nostra sarà diversa! — alzò un dito verso il soffitto. — Consegna intelligente, con intelligenza artificiale! L’algoritmo prevederà ciò che desideri prima ancora che tu lo ordini!

— Quindi… indovinare i desideri?

— Esatto! Sarà una rivoluzione.

— E dove la farai, questa rivoluzione?

— Beh… a casa. Per ora. Una specie di coworking in cucina.

— Marco, io ho già il mio “coworking”. Si chiama lavoro. E ho una scadenza.

— Non ci intralceremo, amore. Ho già chiamato gli altri, sono entusiasti!

“Gli altri” si rivelarono essere quattro.

Alle nove del mattino seguente, Caterina aprì la porta della cucina e si bloccò.

Tre uomini e una ragazza con una felpa che diceva “Io freelancer, e tu?” erano seduti al tavolo. L’odore del caffè riempiva l’aria come in un bar, i laptop occupavano ogni centimetro, e sul frigo era appeso un grafico intitolato “Crescita delle ipotesi: da zero a sogno”.

— Buongiorno! — disse uno dei barbuti.

— Io vivo qui — rispose Caterina.

— Fantastico! Anche noi. O quasi — strizzò l’occhio Marco. — Ti presento Luca, Matteo, Chiara e Alessandro. La squadra!

— Per quanto tempo?

— Fino al decollo.

— E se non decollate?

— Non esiste un “se”. Solo un “quando”.

Caterina cercò di versarsi un caffè, ma qualcuno aveva messo del tè matcha nella macchinetta. Nel bollitore galleggiava una bomba da bagno all’arancia, profumata di disperazione. Niente latte, solo latte di cocco in una lattina.

Tornò in camera e chiuse la porta.

— La giornata lavorativa comincia… — borbottò. — All’inferno.

Il giorno dopo, Caterina accese il laptop e indossò le cuffie. Dopo un minuto, bussarono alla porta.

— Cat, hai visto il caricabatterie del Mac?

— No.

— Puoi battere un po’ più piano sulla tastiera? Stiamo facendo un brainstorming.

— È una tastiera. Serve a scrivere.

— Sì, ma stiamo cercando di monetizzare l’idea dei ricottini a colazione.

— A colazione? E adesso cos’è?

— La fase preparatoria!

Una settimana dopo, Caterina si rese conto che la sua casa era ormai un coworking e lei un ospite indesiderato.

Chiara stendeva la biancheria in salotto. Luca modificava le impostazioni del router senza chiedere. Alessandro faceva riunioni su Zoom in cucina. E Marco era elettrizzato:

— Siamo sul punto di fare il grande salto! Mancano solo un paio di clienti e un po’ di pubblicità!

— E un po’ di privacy. Giusto un pochino — disse Caterina, versando il caffè dalla sua tazza, dove qualcuno aveva messo dei semi di chia.

— Non sei abituata all’energia creativa!

— Sono abituata al silenzio. E al fatto che casa mia sia mia. Non un ufficio pieno di deodoranti alla menta e un solo caricabatterie per tutti.

Quando, di venerdì, Chiara entrò nella doccia tenendo una chiamata Zoom sullo sfondo delle piastrelle, Caterina decise: era ora di agire.

Prima, con discrezione.

Disattivò il Wi-Fi. Dopo cinque minuti, bussò Luca:

— Da te funziona internet?

— No, credo sia un problema del provider.

— Adesso? Abbiamo una presentazione!

— Succede. Forse l’universo è contro di voi.

Il giorno dopo, Caterina cambiò la password del Wi-Fi. La rete si chiamava “Pace_e_silenzio”. Marco corse su e giù con il laptop:

— Chi l’ha cambiata? È sabotaggio!

— O forse un segnale.

— Cat, avevamo un investitore su Zoom! Non è riuscito a connettersi!

— Forse perché siete in salotto e non in ufficio?

— Questa è casa, non un ufficio!

— Allora perché mi sento un’inquilina?

Il lunedì successivo accadde l’inevitabile: l’affare con l’investitore saltò. L’uomo “non aveva percepito professionalità”, soprattutto quando Chiara uscì dalla doccia in asciugamano gridando: “Chi ha preso il mio shampoo?!”

Marco entrò in camera in silenzio. Si sedé sul letto. Si tolse le pantofole.

— Abbiamo fallito.

— Ah, te ne sei accorto? — chiuse il laptop. — Credevo fossi ormai parte integrante del caos.

— Volevo costruire un’impresa…

— E invece hai creato un dormitorio. Con l’atmosfera di un campeggio e una dieta a base di barrette.

— Era un piano sbagliato?

— Era casa tua. Ma io mi sono dissolta.

— Perché non me l’hai detto prima?

— E tu mi avresti ascoltato?

Lui tacque.

— Ho pensato — disse piano — forse dovremmo affittare un ufficio.

— Hai pensato?

— Sì. E ricominciare seriamente. Con la squadra, ma senza “brainstorming rumorosi” sul mio tostapane.

— E il bollitore?

— Ne comprerò uno nuovo. Solo mio. Con guardia armata.

— E la macchinetta del caffè?

— Con password.

— E il router?

— Parola d’onore.

Una settimana dopo, il salotto tornò ad essere un salotto. Chiara si trasferì in un coworking. Luca trovò lavoro in “un’azienda seria”. Alessandro partì per Milano. Matteo sparì.

Marco affittò un ufficio nel centro business “Ape” e mandò a Caterina una foto orgogliosa: “Posto con Wi-Fi. E zero calzini appesi”.

Caterina aprì la finestra. Silenzio. Caffè nella sua tazza preferita. E il bollitore non puzzava più di mandarino e disperazione.

— Sono a casa — disse ad alta voce.

Poi sorrise.

E cambiò la password del Wi-Fi: “Prima_parlamene”.

Passò una settimana.

In casa si sentiva ancora il rubinetto che gocciolava. Era un lusso. Dopo i rumori del macinacaffè, delle riunioni, delle chiamate in doccia e del matcha nel bollitore, quel suono era quasi una meditazione.

Caterina era seduta alla finestra con il laptop, sorseggiando il caffè. Accanto a lei, il cane sonnecchiava. Sul muro, il nuovo router recava un cartello: “Non toccare senza permesso”. Marco l’aveva messo lui, giurando di non trasformare mai più la camera in un open space.

Mantenne la parola. Quasi.

— Cat, ciao! — la voce arrivò dall’ingresso. — Solo un minuto!

Si voltò. Sulla soglia c’era Marco con un ragazzo in felpa e occhiali.

— Questo è Andrea. Sviluppatore, bravissimo. Dobbiamo mostrare qualcosa su uno schermo più grande. Solo un attimo.

— Quale schermo?

— Il tuo monitor… è più luminoso! E nell’ufficio la lampada è fulminata.

— Avete un ufficio con una sola lampada?

— È una startup, amore. Siamo flessibili!

— Avevi promesso…— Solo quindici minuti, te lo giuro! — disse Marco, ma Caterina, fissandolo con uno sguardo che prometteva vendetta, rispose semplicemente: — Questa volta cambiò io la serratura.

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