Oggi ho tirato il cordone che chiudeva il sacco, e la stoffa si è allentata lentamente, frusciando piano. Per un attimo è sembrato che dallinterno uscisse un odore di polvere, di vecchio lino e di qualcosa di dolcecome un ricordo dinfanzia che nessuno rammenta più. Le donne si sono chinate istintivamente, quasi volessero vedere, ma al tempo stesso ne avessero paura.
Ludovica non ha detto nulla. Con un gesto, ha aperto il sacco e lha rovesciato. Sul pavimento sono caduti vestitipiccoli, colorati, cuciti con cura, ognuno diverso. Abiti fatti di pezzi di seta e cotone, pantaloni di lana pesante, camicette a righe irregolari. Tutto creato dagli scarti che gli altri buttavano senza pensarci.
Bianca si è coperta la bocca con una mano. Valeria ha fatto un passo indietro. Nel silenzio, si sentiva solo il ticchettio dellorologio e il lieve rumore della pioggia fuori dalla finestra.
Ludovica ha alzato lo sguardo.
Vi starete chiedendo perché ho raccolto tutto questo ha detto con calma. Perché nella vita nulla dovrebbe andare sprecato. Ogni brandello può avere un senso, se solo qualcuno glielo vuole dare.
Si è chinata e ha preso un vestitino giallo, cucito con tre tessuti diversi. Sul fondo, erano ricamati piccoli fioribianchi e azzurri.
Questi vestiti non sono per me ha aggiunto a voce bassa. Li cucio per i bambini dellorfanotrofio vicino al bosco. Non hanno nulla di loro. Volevo che per una volta si sentissero come gli altribelli, importanti, visti.
Nessuno ha parlato nellatelier. Valeria ha deglutito.
Quellorfanotrofio? Quello vicino alla vecchia statale?
Ludovica ha annuito.
Sì. Ogni mese lascio un sacco davanti al cancello, di notte. Non voglio che sappiano chi li porta. Non importa. Conta solo che al mattino abbiano qualcosa da indossare.
Bianca si è asciugata le lacrime con il dorso della mano. Nessuna rideva più. In un angolo, il vapore del ferro da stiro si alzava come un fumo silenzioso.
Ludovica ha ripreso, come se parlasse a se stessa:
Allinizio volevo solo creare qualcosa. Qualcosa dal nulla. Ma quando ho visto quei bambini, mentre stavano alla recinzione a guardare i passanti, ho capito che non era importante il tessuto, ma il calore delle mani che lo cucivano. Da allora non ho più buttato via neanche un pezzetto.
Le donne si sono avvicinate. Valeria ha toccato una giacchina di lana con grossi bottoni.
È calda ha sussurrato. Così piccola forse per una bambina di tre anni?
Per Ginevra ha sorriso Ludovica per la prima volta. Ha i capelli color grano. Quando ride, sembra che il mondo si illumini.
Nessuno le ha chiesto come conoscesse i loro nomi.
Da quel giorno, tutto è cambiato nellatelier. Bianca ha iniziato a mettere da parte ritagli di stoffa per Ludovica, Valeria portava nastri e bottoni. Persino il vecchio sarto della stanza accanto le ha regalato una scatola piena di fili colorati. «Per i tuoi piccoli principi e principesse» ha detto timidamente.
Ludovica non parlava molto. Lavorava come semprein silenzio, con precisione. Ma la sera, quando le altre se ne andavano, accendeva una lampada e cuciva. Nella luce gialla si vedevano solo le sue manicalme, pazienti, sicure.
Col tempo, latelier smise di essere solo un luogo di lavoro. Divenne qualcosaltroun posto dove tutti imparavano che persino dagli scarti si poteva creare bellezza. Che il bene non aveva bisogno di parole, ma di azioni.
Un sabato di pioggia, le donne sono andate insieme allorfanotrofio. Per la prima volta, Ludovica non era sola. I bambini sono corsi fuori, scalzi ma sorridenti. Quando hanno tirato fuori i sacchi dallauto, i più piccoli hanno iniziato a battere le mani.
Bianca ha detto poi di non aver mai visto una gioia così pura. Ogni bambino stringeva i suoi vestiti come un tesoro. Una bambina ha infilato il vestito su un vecchio maglione e ha ballato sotto la pioggia. Un bambino con una giacca troppo grande rideva e diceva di sembrare «un vero signore».
Ludovica stava in disparte, in silenzio. Guardava solo quelle mani piccole toccare il suo lavoro. Bianca ha notato che si è asciugata una lacrima, ma non ha detto nulla. Capiva.
Quando sono tornate in atelier, erano stanche e bagnate, ma felici. Sopra lo specchio, qualcuno aveva appeso un biglietto:
«Con ciò che gli altri buttano, si può costruire un mondo.»
Nessuno ha detto di averlo scritto. Ma tutti lo sapevano.
Da allora, nellatelier arrivavano borse di stoffa da gente della città. Gli studenti della scuola di sartoria venivano ad aiutare a cucire. La sera, alla finestra del vecchio edificio, si vedeva una lampada accesae lombra di una donna che continuava a lavorare.
Anni dopo, quando latelier fu spostato in un nuovo palazzo, sul muro del vecchio luogo qualcuno scrisse a matita:
«Dagli scarti si può cucire la speranza.»
E ancora oggi, allorfanotrofio vicino alla strada vecchia, i bambini indossano i vestiti di Ludovica. Su alcuni si vedono punti irregolari, tracce delicate di mani che sapevano trasformare la vergogna in dignità, il silenzio in cura, e gli scartiin amore.
Nessuno ride più dei suoi sacchi.
Perché ora tutti sanno che in ognuno di essi non cè solo stoffama un cuore capace di ricucire il mondo.




