Ritornata per Sempre

Quando la mamma decise di risposarsi, Giada non oppose resistenza. Le piaceva il nuovo compagno di sua madre, un uomo tranquillo e premuroso di nome Luca, che sapeva sempre come far sorridere entrambe. Trattava sua madre con delicatezza e rispetto. Tutto sembrava perfetto, ma la quindicenne Giada pose una condizione:

“Mamma, non mi oppongo al tuo matrimonio, tanto più che Luca è una brava persona. Senza di me, sarai meno sola, tanto prima o poi andrò all’università. Ma io andrò a vivere con nonna.”

“Da nonna? In città? Ma hai solo quindici anni, sei minorenne! Come posso lasciarti senza supervisione?” protestò la madre.

“Mamma, non sarà senza supervisione! Nonna mi ha cresciuto te da sola, può badare anche a me, se hai così paura,” insisté Giada. “E poi ho già parlato con lei, ed è felice che io vada a vivere da lei.”

“Ah, capisco. Avete deciso tutto alle mie spalle,” disse la madre, tra l’amareggiata e la delusa.

“Mamma, credimi, sarà meglio per tutti. Anche se Luca è una brava persona, per me è pur sempre un estraneo.”

La madre sospirò, riflettendo, quando improvvisamente squillò il telefono. Era nonna Adriana.

“Ciao, tesoro. Allora, avete deciso per il trasferimento di Giada? Credo sia la scelta migliore. Sai quanto adoro la mia nipotina, e poi, una ragazza quasi adulta… credi che non possa gestirla?”

“Lo so, mamma, che l’adori, ma il cuore di una madre…”

“Tutto andrà bene, non preoccuparti. Se ho cresciuto te, posso badare anche a lei.”

Appena finita la chiamata, Giada iniziò a fare le valigie con entusiasmo:

“Non ti preoccupare, mamma, sarà fantastico!”

Adriana non era una donna fragile, ma un’ex insegnante di matematica in pensione, con un carattere forte. E Giada non era da meno. A volte litigavano per sciocchezze, ma Adriana era saggia e non lasciava mai che i dissapori degenerassero.

Se discutevano, quella sera stessa nonna entrava nella camera di Giada, le accarezzava i capelli ricci e iniziava a raccontarle storie o fiabe. La nipote sorrideva e si addormentava, dimenticando ogni rancore. Altre volte era Giada a fare il primo passo, pentita per aver offeso nonna. Allora comprava i suoi cioccolatini preferiti, e davanti a una tazza di tè, la pace tornava.

Vissero così per anni, finché Giada non decise di partire. Aveva finito l’università in città, trovato un lavoro, ma lo stipendio era misero. Le colleghe le parlarono di un’azienda a Milano che offriva condizioni migliori.

“Nonna, non arrabbiarti. Parto, ma resteremo sempre in contatto.”

“Giadina,” sussurrava Adriana, accarezzandole i capelli, “devi proprio andare così lontano? Non troveresti nulla qui?”

“Nonna, ho già provato. Stipendio da fame, nessuna prospettiva. Là avrò una carriera e un futuro.”

“Ma tutte iniziano così, senza esperienza. Roma non è stata costruita in un giorno. E poi, chi lascia la strada vecchia per la nuova…”

Ma Giada era irremovibile. Voleva tutto e subito: un lavoro stimolante, soldi, indipendenza. Fece le valigie e partì.

A Milano, trovò davvero un buon impiego, uno stipendio dignitoso e persino un alloggio aziendale. Al primo stipendio, entusiasta, comprò dolci e i cioccolatini preferiti di nonna. Ma quella sera, bevendo il tè da sola, un’ondata di tristezza la travolse. Non c’era nessuno con cui condividere quelle gioie.

Passarono mesi. Parlava quasi ogni giorno con la madre e nonna, tutto sembrava a posto. Risparmiava per comprare un’auto, ma come si dice, l’uomo propone e Dio dispone…

Una mattina, la madre la chiamò in lacrime. Adriana era morta.

“Come? Cosa è successo?” singhiozzò Giada.

“Il cuore, piccola. Lo teneva nascosto. Lo sapevo, ma non credevo…”

Per Giada fu uno shock. In taxi, le lacrime le rigavano il viso.

“Posso fare qualcosa?” chiese l’autista.

“No, grazie,” rispose, sapendo che avrebbe potuto piangere liberamente solo a casa.

Arrivò troppo tardi per i funerali, bloccata da un volo ritardato per la nebbia. Ora era davanti alla porta di quella che era diventata la sua casa: Adriana le aveva lasciato tutto. Esitò, poi entrò. Un silenzio opprimente la accolse.

“Dovrò venderla,” pensò, sedendosi nella sua poltrona preferita. Ricordava la voce di nonna che diceva:

“Giadina, lavati le mani, faccio scaldare l’acqua per il tè…”

Un rumore la distrasse. Una testolina rosso fuoco spuntò dall’armadio.

“E tu chi sei?” esclamò Giada, mentre un gattino le sfiorava i piedi.

Ricordò allora che nonna le aveva parlato di una gatta, Mira, trovata per starda a maggio.

“Mira!” chiamò. La gatta la guidò in cucina, poi tornò nell’armadio e ne tirò fuori due cuccioli paffuti.

“Santo cielo! E adesso?”

Non sapeva nulla di gatti, ma chiamò un veterinario. Poco dopo bussò alla porta un giovane uomo sorridente.

“Buongiorno, ha chiamato per un animale?”

“Sì, prego. È per loro,” indicò Giada.

“Gattini? Tutto bene? Sono Dario, veterinario.”

Spiegò la situazione, e Dario, paziente, le insegnò come accudirli, perfino sistemò una cuccia calda. Prima di andarsene, prese il suo numero.

Il giorno dopo la chiamò: “Come va con i tuoi ospiti? Posso passare stasera?”

Da quella sera iniziarono a vedersi. Passeggiavano, parlavano di animali, e Giada scoprì di amarli. Quando chiese le dimissioni per tornare a casa, Dario le propose di seguirla.

Ora, davanti alla tomba di Adriana, Giada posò dei fiori.

“Perdonami, nonna. Forse non avrei dovuto lasciarti. Ma sono tornata per sempre. E ho Dario, ci sposeremo presto.”

Quella notte sognò nonna in un campo di margherite, radiosa.

“Grazie per Mira. Sei sempre stata buona, lo sapevo. Non preoccuparti, non ti serbo rancore. E Dario ti renderà felice. Addio, amore mio.”

Al risveglio, Giada si sentì in pace. Un nuovo giorno iniziava, e tra una settimana sarebbe stata il suo matrimonio.

La vita insegna che a volte, ciò che cerchiamo lontano, lo troviamo accanto a chi ci ha sempre amato.

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