**Per Sempre Tornata**
Quando la mamma annunciò che si sarebbe risposata, Beatrice non ebbe obiezioni. Le piaceva il compagno di sua madre, Paolo, un uomo tranquillo e premuroso che sapeva sempre come parlarle. Con la mamma era dolce e protettivo. Tutto bene, ma la quindicenne Beatrice pose una condizione:
«Mamma, non ho nulla contro il tuo matrimonio, tanto più che Paolo è una brava persona. Senza di me ti sentiresti sola, prima o poi sarei comunque partita per l’università. Ma io andrò a vivere con la nonna. Mi trasferisco a Firenze da lei.»
«Come, da nonna? Come, a Firenze? Hai solo quindici anni, non sei maggiorenne! Non posso lasciarti senza supervisione!» La mamma era contraria, categorica.
«Mamma, ma non sarà senza supervisione! Starò con nonna, dopotutto ha cresciuto te da sola, no? Se hai così paura per me…» insisteva Beatrice. «In più ho già parlato con lei, ed è felice che io vada.»
«Ah, capisco. Avete già deciso alle mie spalle,» disse la mamma, tra l’amareggiata e la delusa.
«Mamma, credimi, sarà meglio per tutti. Anche se Paolo è una brava persona, per me è pur sempre un estraneo.»
La madre sospirò, pensierosa, ma in quel momento squillò il telefono: era la nonna, Anna Maria.
«Ciao, figlia mia, allora? Avete deciso per il trasferimento di Beatrice? Credo proprio che starà meglio con me. Sai quanto adoro la mia nipotina, e davvero pensi che non saprò badare a una ragazza quasi adulta?»
«Sì, mamma, so che ami Beatrice, ma capisci, il cuore di una madre…»
«Andrà tutto bene, non preoccuparti. Se ho fatto io con te, farò anche con lei. La terrò d’occhio.»
Appena finita la chiamata, Beatrice, già intenta a fare le valigie, esclamò allegra: «Mamma, non ti angosciare, andrà tutto benissimo!»
Anna Maria non era certo un’ingenua, ma una donna anziana di buon senso, ex insegnante di matematica. E anche Beatrice aveva il suo caratterino. Capitavano piccoli litigi e incomprensioni, ma Anna Maria era anche saggia: mai portava le discussioni all’estremo.
A volte discutevano, e quella stessa sera la nonna entrava nella stanza della nipote prima di dormire, le accarezzava i capelli ricci e iniziava a raccontarle storie o filastrocche. E la nipote sorrideva placida e si addormentava, dimenticando ogni rancore. Altre volte era Beatrice a fare la prima mossa, riconoscendo di aver sbagliato e di aver ferito la nonna senza motivo.
Allora comprava i cioccolatini preferiti di Anna Maria, bevevano il tè insieme e la pace era fatta. Così vissero, fino al giorno in cui Beatrice decise di partire. Si era laureata a Firenze, trovato lavoro lì, ma lo stipendio era misero. Le colleghe le parlarono di un’azienda a Milano che cercava personale: dirigenti eccezionali, ambiente perfetto, stipendi dignitosi.
«Nonna, non offenderti e cercami di capire. Me ne vado lontano, ma resteremo in contatto, sempre.»
«Beatrice,» diceva la nonna, accarezzandole i ricci, «devi proprio andare così lontano? Non troveresti nulla qui?»
«Nonna, ho già lavorato qui. Sai com’è? Primo il periodo di prova, poi mi hanno assunta al livello più basso con uno stipendio da fame, 300 euro al mese.»
«Ma hai appena finito l’università, è normale partire dal basso. L’esperienza si fa col tempo, non tutto arriva subito. E poi, chi nasce tondo non muore quadrato,» cercava di convincerla Anna Maria.
Ma Beatrice era irremovibile: aveva deciso, e così sarebbe stato. Voleva tutto e subito: un lavoro stimolante e uno stipendio migliore. Fece la valigia e partì.
A Milano le andò bene. Trovò un buon impiego con uno stipendio dignitoso, le diedero persino una stanza nel residence aziendale. Quando incassò il primo stipendio, esultò. Felice, dopo il lavoro entrò in un negozio e comprò dolcetti e persino i cioccolatini preferiti della nonna. Seduta quella sera a bere il tè da sola, sentì un’improvvisa tristezza: non c’era nessuno con cui condividere quelle prelibatezze. I cioccolatini rimasero nella ciotola, intatti.
Passò il tempo. Parlava quasi ogni giorno con la mamma e la nonna al telefono, tutto bene. I soldi li risparmiava, voleva mettere da parte qualcosa per la macchina, o almeno prendere un prestito e aggiungere i suoi risparmi. Ma come si dice, l’uomo propone e Dio dispone…
Un giorno la mamma la chiamò in lacrime: la nonna Anna Maria era morta.
«Come, mamma? Cos’è successo?» singhiozzò Beatrice.
«Il cuore, piccola mia. La nonna aveva problemi di cuore, ma non ce l’ha mai detto. Sapevo che non stava benissimo, ma non immaginavo che sarebbe finita così presto. Non si è mai lamentata.»
Per Beatrice fu uno shock terribile, perdere una persona così cara. In taxi, le lacrime le rigavano il viso.
«Sta male? Posso fare qualcosa?» chiese l’autista.
«No, grazie. Non c’è nulla che possa fare,» rispose. Sapeva che avrebbe potuto piangere liberamente a casa, ma non riusciva a trattenersi.
«Com’è possibile?» pensava, disperata. «Ho persino mancato il funerale per colpa di quel volo ritardato dalla nebbia… Non ho potuto dire addio alla persona che amavo di più.»
Si fermò davanti alla porta di casa, ora sua: Anna Maria le aveva lasciato tutto. Esitò a lungo, poi aprì. Dentro, un silenzio assordante.
«Forse la venderò,» pensò Beatrice, sedendosi nella sua poltrona preferita.
Ricordò la nonna che, accogliendola, diceva sempre: «Beatrice, lavati le mani, faccio scaldare l’acqua per il tè…»
Era passato tanto tempo. Ora, il silenzio era così opprimente che si coprì le orecchie. Dopo un po’, ripresasi, iniziò a pensare al futuro. Guardò la foto sul comodino: Anna Maria e lei, sorridenti.
Improvvisamente, un rumore sottile la distrasse. Un miagolio. Spaventata, stava per scappare quando vide una testolina rossa spuntare dall’armadio leggermente aperto.
«Oh, tu chi sei?» chiese, sorpresa, mentre il gatto le saltava davanti.
Ricordò che la nonna le aveva parlato di una gatta trovata per strada, che l’aveva seguita a casa. Si chiamava Primavera, perché l’aveva raccolta a maggio.
«Primavera!» esclamò. La gatta le si strofinò contro le gambe e si diresse in cucina, girandosi come per invitarla. «Ah, hai fame.»
Beatrice si chiese come avesse fatto a restare sola, ma capì che si era nascosta nell’armadio. Poi udì un altro miagolio flebile. Primavera saltò di nuovo nell’armadio e ne tirò fuori due buffi gattini rossicci.
«Santo cielo!» sussurrò Beatrice. «Una famiglia intera!» E Primavera si sdraiò per allattarli.
«Mio Dio! E ora cosa ne faccio?»
Capì che i gattini erano nati da poco. Non sapeva nulla di come accudirli, così cercò il numero di un veterinario e chiamò.
Poco dopo, bussarono alla