Se non fosse per un imprevisto

Se non fosse stato per l’incidente con l’acqua

“Ecco, questo è il mio numero di telefono, sistematevi, io devo scappare perché domani notte ho un volo per le vacanze,” disse frettolosamente Elena Romano, la padrona di casa, mentre consegnava le chiavi a Sofia. “Se avete bisogno, chiamatemi. Arrivederci.”

“Va bene, arrivederci,” rispose Sofia, ancora un po’ confusa, stringendo in mano il contratto e la delega per la manutenzione, giusto per sicurezza.

“Una padrona di casa sveglia e attenta, come dovrebbero essere tutti,” pensò Sofia.

Le piaceva molto l’appartamento in affitto, in un palazzo nuovo, e la vista dalla finestra era magnifica: un boschetto poco distante e un ruscello che, d’inverno, non gelava mai. Nessuno sapeva il perché, e alcuni scherzavano dicendo che scorresse antigelo.

Sofia viveva lì da quasi due settimane, tornava dal lavoro a sera tarda, ormai buio. La vicina di fronte, Clara Bianchi, una signora anziana gentilissima, era venuta a trovarla già il terzo giorno.

“Buonasera,” disse con calma, “sono Clara Bianchi, la vicina di fronte. Facciamo conoscenza, visto che avete preso in affitto qui. I vicini bisogna conoscerli e andare d’accordo,” come se stesse spiegando a sé stessa più che a Sofia.

“Buonasera, Clara, entri pure. Mi chiamo Sofia, sono felice che sia passata. È vero, vivo qui e non conosco nessuno,” rispose Sofia sorridendo. “Accetta un tè? Non ho nulla di speciale, solo una tavoletta di cioccolato.”

“Grazie, Sofia, grazie. Ma sono venuta per invitarti da me. Ho una crostata di mele appena sfornata, vieni. E, se non ti dispiace, ti darò del ‘tu’. Prima di tutto perché sei giovane, poi perché siamo vicine, e infine perché sono stata un’insegnante, e con gli alunni usavo sempre il ‘tu’,” disse con un sorriso caloroso.

“Dev’essere stata un’ottima insegnante,” pensò Sofia, mentre rispondeva:

“Oh, grazie, Clara, che sorpresa! La crostata di mele è perfetta.”

Si trattenne a lungo da Clara, senza rimpianti: era una conversazione piacevole. La vicina raccontò storie della scuola, dei suoi alunni, e confessò che la pensanza le mancava, ma… così è la vita, gli anni passano.

Sofia non era sposata, aveva ventotto anni. Tre mesi prima aveva lasciato il suo ragazzo, troppo fragile e incapace: non sapeva fare nulla, nemmeno lavarsi una tazza. Figurarsi sistemare qualcosa in casa o avvitare una lampadina. Avevano litigato per motivi banali, dopo un anno insieme.

Quella sera tornò tardi da Clara, dopo chiacchiere, tè e crostata. Si addormentò pensando al rapporto da finire al lavoro, che l’avrebbe tenuta occupata fino a tardi il giorno dopo. E così fu: passò la giornata incollata al computer, sgattaiolando solo per un panino veloce a pranzo.

Finalmente a casa, si lasciò andare.

“Grazie a Dio, il rapporto è fatto,” pensò. “Tra pochi giorni sono le vacanze di Natale, finalmente riposerò, magari vado a sciare. Dovrò convincere Martina, la mia amica pigra che odia gli sci.”

Cenò e si mise sul divano col telefono. Non sapeva quanto tempo fosse passato quando, assetata, andò in cucina. Appoggiò la tazza e sobbalzò per un rumore insolito: l’acqua sgorgava dal rubinetto a fiotti, schizzando ovunque.

“Oddio, sta per allagare tutto, cosa faccio?” Mai stata in una situazione del genere.

Ma, ripresasi, ricordò che Elena le aveva mostrato la valvola dell’acqua. Corse in bagno e cercò di chiuderla, ma la levetta era bloccata. Probabilmente nessuno la usava da anni. L’acqua continuava a scorrere, gettò uno straccio a terra, ma non bastava. Temeva soprattutto per i vicini del piano di sotto.

“Chissà chi vive lì, li allagherò.”

Premette con forza e la valvola cedette un po’, ma non del tutto. L’acqua ora era un filo più sottile. Prese il contratto, chiamò Elena, ma non rispose: era in vacanza.

Chiamò l’amministratore, nessuno rispose. Allora telefonò alla madre, che si agitò:

“Veniamo subito con Paolo!”

“Mamma, ma abito a centocinquanta chilometri da voi! E poi cosa potete fare? Non pensarci, sto chiamando l’amministrazione, anche se per ora non rispondono.”

Raccolse l’acqua come poté, ma stillava ancora. Uscì e bussò da Clara, che aprì in camicia da notte, ma capì subito e chiamò i vigili del fuoco. Sofia ebbe un sussulto:

“Perché non ci ho pensato? È proprio un’emergenza!”

Clara parlava al telefono, insistendo con l’operatore. La richiesta fu accettata.

“E adesso?” chiese Sofia impaurita.

“Beviamo un tè per dieci minuti, arriveranno subito,” rispose Clara tranquilla, abituata a gestire situazioni complicate.

Poco dopo, squillò il telefono di Clara.

“Sì, Antonio, sì,” annuì. “Ha già chiamato, ma nessuno risponde in amministrazione. Per questo ho chiamato i vigili. Capiscimi, c’è acqua dappertutto, rischiamo di allagare i vicini.”

Dieci minuti dopo, rumori e voci risuonarono nel corridoio. Bussarono alla porta di Sofia. Mentre spiegava, un uomo in tuta, assonnato e contrariato, entrò da Clara. La guardò e si presentò:

“Antonio Rossi,” l’ingegnere dell’amministrazione. Insieme raggiunsero l’appartamento di Sofia, dove già lavoravano i vigili.

“Vado in cantina a chiudere l’acqua,” disse Antonio, uscendo.

Sofia osservava gli uomini, quattro in tutto, che calpestavano le pozzanghere. Era quasi mezzanotte, e pensava:

“A che ora andrò a letto? Dovrò anche pulire dopo di loro, che sfortuna.”

Alla fine sistemarono tutto e se ne andarono. Sofia, stanca, rimise in ordine, sollevata di non aver allagato i vicini. Anche loro erano stati controllati.

Il giorno dopo, l’ingegnere fece un sopralluogo. Sofia sbagliò persino il suo patronimico. Lui controllò il rubinetto e, soddisfatto, stava per andarsene quando entrò Clara, pronta a rimproverarlo per l’ascensore, sempre rotto. Ma lo invitò comunque a prendere un tè, e lui accettò, ascoltando le lamentele sul cortile e le altalene.

Due giorni dopo, Sofia vide Antonio uscire dal palazzo. Poi lo incontrò di nuovo all’ingresso. Ne parlò con Clara:

“L’ingegnere abita qui? L’ho visto più volte.”

“Forse gli piaci, ecco perché passa di qui,” sorrise la vicina.

“Ma dai. Se gli piacessi, mi avrebbe chiesto il numero.”

“Magari è timido,” disse Clara, poi aggiunse: “È mio figlio. E tu piaci anche a me.”

Sofia si stupì:

“Ma allora perché ha chiamato i vigili? Poteva chiamare lui direttamente.”

“Perché ognuno deve fare il suo lavoro. E di venerdì sera al settimo piano non si organizza niente così. I vigili hanno chiamato Antonio. A proposito, Elena ti ha richiamato?”

“Sì, atterra tra tre giorni, passerà a controllare.”

Sofia stava per andarsene, ma Clara la trattenne:

“Asc

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