Tornerò presto…

Tornerò presto…

All’uscita della metropolitana si era formato un ingorgo. Fuori pioveva forte, e chi aveva l’ombrello rallentava sulla porta per estrarlo dalla borsa. Gli altri, invece, esitavano a uscire al riparo. Ma la folla dietro di loro premeva, spingendo tutti fuori, sotto la pioggia.

“Prendi l’ombrello,” disse Enrico, già bagnato, mentre fissava con frustrazione le porte della metro.

“Non ce l’ho,” rispose Federica, travolta dalla ressa.

“Te l’avevo detto stamattina che avrebbe piovuto,” borbottò lui, irritato.

“Ero di fretta, mi sono distratta… Potevi prenderlo tu. E poi, il tuo ombrello è più grande, ci stavamo sotto entrambi,” ribatté lei.

“Va bene, non siamo di zucchero, non ci sciogliamo,” disse Enrico, allontanandosi a passo svelto mentre Federica lo seguiva a fatica.

“Appunto, è enorme. Ieri l’ho portato in giro tutto il giorno e non è piovuto. Il tuo è pieghevole, perché non l’hai tirato fuori dalla borsetta?” continuò a lamentarsi lui.

“Lo stavo asciugando…”

Camminavano litigando, le loro voci sovrastate dal rumore dell’acqua.

“Trovi sempre scuse per te stessa, ma io sono sempre quello sbagliato,” sbottò Federica, stanca del battibecco.

“Non ti sto incolpando, ho solo detto…”

“L’hai detto in modo tale che mi sono sentita in colpa di nuovo. Non potevi dirlo diversamente, senza rimproveri? O tacere, almeno. Sono stanca delle tue critiche. Sai trasformare ogni stupidaggine in un dramma universale,” disse lei, offesa.

“Chiami la pioggia una stupidaggine?” chiese lui, senza voltarsi. “Ho solo detto…”

“Non ricominciare. Basta, sono stufa,” lo interruppe Federica.

Camminava affannata, la voce tremante. Enrico brontolò ancora, ma lei non rispose più, e presto anche lui tacque. Federica sapeva di aver torto, e poi quella pioggia… I vestiti si erano inzuppati, aderivano alla pelle. L’acqua le colava dai capelli.

Da quando era iniziato tutto questo? Le piccole liti, le critiche. O era sempre stato così? Probabilmente sì. Solo che prima lei cercava di cedere, di spegnere la scintilla prima che divampasse.

Un uomo venne loro incontro. Anche lui senza ombrello, ma camminava come se godesse della pioggia. A mani in tasca, senza fretta. Il cuore di Federica accelerò prima ancora che la ragione riconoscesse il viso. Matteo!

Non riusciva a staccare gli occhi da lui. Anche lui la guardava, ma passandole accanto, distolse lo sguardo. Cosa significava? Era lui, ne era certa. Eppure era passato oltre senza salutare. O forse si era sbagliata? Federica inspirò bruscamente. Si rese conto di aver trattenuto il fiato tutto quel tempo. Per il dispiacere e la confusione, le lacrime le bruciarono gli occhi, ma almeno il viso era già bagnato dalla pioggia.

“Lo conosci? Perché ti fissava così?” Enrico si chinò verso di lei, cercando di scrutarle il volto.

“No. Forse mi sono sbagliata,” rispose Federica dopo un attimo di silenzio.
“Ma perché ha fatto finta di non riconoscermi?” La domanda le lacerava l’anima.

“Stai mentendo. Vi siete guardati come se… Sembravi aver visto un fantasma.”

“È proprio così,” pensò Federica, ma ad alta voce disse:

“Assomiglia a un mio compagno di università. Mi sono confusa. Hai visto, non mi ha neanche salutato.” Cercava di mantenere un tono calmo, ma dentro ribolliva. “Mi stai facendo la gelosa?” Tentò di sdrammatizzare.

“Sei turbata,” insistette Enrico.

“Basta interrogarmi. Non. Lo. Conosco!” urlò lei, perdendo il controllo.

“Ha ragione, ho visto un fantasma. Ho cercato di dimenticarlo! Ma se lui ha fatto finta di non riconoscermi, allora lo farò anch’io. Mi ha tradita…”

“Confessa che c’era qualcosa tra voi, se reagisci così,” chiese Enrico, fingendo indifferenza.

“Cosa vuoi ottenere? Smettila,” implorò Federica.

Finalmente arrivarono a casa.

“Io per prima sotto la doccia,” disse Federica, appena varcata la porta, e sparì in bagno.

Enrico borbottò qualcosa, ma lei accese l’acqua per non sentirlo. “Che figura! E lui mi ha vista così. Non c’è da stupirsi che sia passato oltre. Tutta colpa di questa pioggia…” Si osservò allo specchio.

Si liberò dei vestiti bagnati, li gettò nella lavatrice e si guardò di nuovo. Il fisico era ancora snello, il seno piccolo ma fermo, il viso senza rughe. Si consolò pensando alle ciglia folte e scure che la natura le aveva regalato. Raramente usava il trucco. “Meno male, almeno non ho la faccia da serpente con la mascara colata. Niente male, dopotutto,” pensò soddisfatta. “Lui invece è cambiato, più maturo, i lineamenti più duri…”

Entrò nella vasca e si lasciò avvolgere dall’acqua calda. I getti la riscaldavano, sciogliendo la tensione. Ma non riusciva a liberarsi dei ricordi…

***

Federica si avvicinò alla bacheca. Davanti agli elenchi degli ammessi, una fitta schiera di studenti la bloccava.

“Fatemi passare!” Persa la pazienza, iniziò a farsi largo a gomitate.

“Prego,” le cedette il posto un ragazzo.

Trovò il suo nome, ma la spinta della folla la costrinse a ricominciare più volte. Nessun errore: era lì. Riuscì a liberarsi dalla calca.

“Congratulazioni,” disse una voce accanto a lei. Federica si voltò verso un ragazzo sconosciuto.

“Grazie. Anche tu sei stato ammesso?” chiese, sorridente.

“Sì. Studieremo insieme.”

“Fantastico,” rispose lei.

Si incontrarono a settembre come vecchi amici. Gruppi diversi, ma lezioni e mensa in comune. Matteo la guardava, sorrideva, ma non faceva passi avanti. “Ciao. Come va? Ci vediamo.” Poche parole.

Alla fine del primo anno, mentre usciva dall’università, Federica esitò. Una nuvola nera minacciava la città, e lei non aveva l’ombrello. “Aspettare? O corro a casa?”

“Wow!” Matteo uscì dietro di lei.

“Hai l’ombrello?” chiese Federica.

“No. Facciamo in tempo. Andiamo.”

Dopo trecento metri, iniziarono le prime gocce.

“Presto, sta per scatenarsi. Ecco casa mia.” Matteo le afferrò la mano e corsero mentre la pioggia si faceva più intensa.

Quando raggiunsero il portone, erano fradici.

“C’è qualcuno a casa tua?” chiese Federica, salendo con lui.

“Mia madre,” rispose lui infilando la chiave, ma al vedere la sua espressione, rise. “Scherzo. Entra. Vai in bagno, ti porto qualcosa di asciutto.”

Poco dopo, le passò una maglietta e un asciugamano. Quando Federica uscì, Matteo aveva già cambiato i vestiti e stava versando tè fumante. Sul tavolo, una montagna di panini.

“Ti sta bene,” commentò vedendola. La sua maglietta le cadeva come un vestito.

Bevvero il tè e parlarono. Federica scoprì che il padre

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