Oggi ho deciso di scrivere di quel giorno che ha cambiato tutto.
Mi svegliai nel silenzio dell’appartamento. Bastò un attimo per capire che Enrico non c’era. Sulla tavola della cucina, un biglietto: «Scusa, dovevo finire un lavoro. Torno dopo pranzo».
Feci una smorfia, lo appallottolai e lo gettai nel cestino. I sospetti crescevano da mesi: sempre fuori casa, le conversazioni rare, le bugie. Mia figlia Giulia si era sposata e trasferita nella base militare del marito. Una famiglia solo di facciata.
Squillò il telefono. Era Beatrice, la mia amica del cuore dai tempi del liceo.
«Cosa fai?»
«Niente. Mi sono appena alzata».
«Il sole splende, è primavera! Andiamo a fare shopping? Ho voglia di qualcosa di colorato».
«Perché no? Enrico è al lavoro».
«Di domenica? Prenditi mezz’ora, passo a prenderti».
Mentre l’acqua per il tè bolliva, mi preparai. Adoravo uscire con Bea: aveva un occhio infallibile per trovare l’abito perfetto. A me veniva il mal di testa tra gli scaffali, ma lei, come per magia, tirava fuori sempre la cosa giusta.
«Ricordati», diceva sempre, «vestiti come una donna importante, così le commesse ti rispettano». Funzionava. Tornavamo sempre con borse piene.
Mi truccai, indossai un vestito elegante e mi piacqui allo specchio. Lo shopping era la terapia perfetta.
Bea arrivò con la sua Fiat.
«Cosa cerchiamo oggi?» chiesi.
«Niente di preciso. Hanno i saldi della collezione invernale. È primavera, senti l’aria?»
«Enrico mi ucciderà. Stiamo risparmiando per le vacanze…»
«Non preoccuparti. Taglia le etichette, butta gli scontrini e dividi la cifra a metà».
«Così spenderò il doppio».
«Ho un trucco per distrarre i mariti».
«Quale?»
«Lo scoprirai».
Bea era una donna imponente: alta, seno prosperoso, fianchi larghi. Gli uomini si voltavano sempre a guardarla. Io, al contrario, ero minuta, con i capelli biondi ricci e gli occhi verdi. Accanto a lei mi sentivo invisibile.
Dopo due ore di negozi, crollai su una panchina.
«Basta, così Enrico mi ammazza».
«Andiamo a vedere la lingerie».
«No! Per quella non mi parlerebbe per un mese».
«Guarda questi pizzi! Prendi questo set color vinaccia. Stupendo con i tuoi capelli». Mi mostrò un reggiseno di pizzo che sembrava uscito da un sogno.
«E chi lo vedrà sotto i vestiti? Costa troppo».
«Impara, Elena! Lo indossi di notte, per far rinascere la passione. Con il tuo fisico, è un peccato non averlo».
Cedetti.
«Moriamo di fame. Andiamo a prendere un caffè», proposi. «Bea… penso che Enrico mi tradisca».
«Perché è al lavoro di domenica?»
«È da tempo che sospetto…»
Arrivammo a un bar elegante. Mentre aspettavamo il cameriere, osservai i clienti. Due tavoli più in là, un uomo con la schiena verso di me: la stessa giacca che avevo regalato a Enrico a Natale. Ma come poteva essere lui? Il suo ufficio era dall’altra parte della città.
Poi si girò. Era lui.
«Bea, è Enrico», sussurrai.
«E allora? Lui deve spiegare cosa ci fa qui».
Mi alzai e andai al suo tavolo.
«Ciao».
Enrico sbiancò.
«Cosa fai qui?» chiesi.
«Stavo lavorando…»
«E allora perché hai già ordinato?»
Una cameriera arrivò con un vassoio. Alzai il coperchio d’argento: dentro, un anello di fidanzamento.
«Quando volevi dirmelo?»
«Parliamo a casa…»
«Non hai più una casa».
Uscii di corsa. Bea mi raggiunse.
«Se non fossimo entrate, non avrei mai saputo», singhiozzai in macchina. «Ma lo sentivo…».
A casa, Bea mi fece bere del cognac. Poi svuotai l’armadio di Enrico, riempiendo valigie e buste.
«Non mi è mai piaciuto, quel tuo Enrico», disse Bea.
Quella notte, Enrico tornò.
«Elena, parliamo».
«Mentirai di nuovo?»
«No. Mi sono innamorato. È incinta. Non posso lasciarla».
«Vattene».
I giorni seguenti furono un vuoto. Giulia mi chiamò: «Mamma, vieni da me. Aspetto un bambino».
Decisi di partire. Bea mi accompagnò alla stazione.
«Sei ancora giovane, Elena. Lì ci sono tanti uomini in divisa».
Il treno si mosse. Guardai Milano svanire.
Alla fermata successiva, un ufficiale aprì la porta del mio scompartimento.
«Scusi, mi sono sbagliato».
Ma poi, alla stazione di Napoli, lo rividi.
«Dove devo andare? Mia figlia dovrebbe aspettarmi».
«Anch’io vado alla base. Posso accompagnarla».
Giulia mi correva incontro. L’ufficiale prese la mia valigia.
Forse una nuova vita era davvero possibile.
La lezione? A volte bisogna perdere tutto per ritrovare se stessi.