Emilia aveva sistemato con mani tremanti l’ultima stuoia sotto il vaso di orchidee e guardò di nuovo l’orologio. A manciate di minuti dalla festa, il suo cuore batteva come un tamburo. Un sessantesimo compleanno non era uno scherzo, e voleva che tutto andasse perfettamente.
– Sara, sei quasi pronta? – urlò verso la cucina, dove il tintinnio delle stovigole non si fermava.
– Sì, mamma, sto finendo il risotto ai funghi! – rispose sua figlia dal fornello. – Controllo se papà si ricorda del vino, però.
Emilia sospirò, dirigendosi verso la stanza del genero. Dopo dieci anni a condividere il tetto, non era mai riuscita a tollerare la sua indolenza. Ogni «subito» era una promessa che sfumava in un’altra «ora». Lorenzo, seduto al computer, fissava il monitor come se contenesse la risposta a tutti i misteri.
– Lorenzo, ti avevo detto di prendere il vino – disse Emilia cercando di restare calma, nonostante il nodo che le si formava in gola.
– Sì, sì, zia Emilia, ti ci metto un attimo – rispose lui senza nemmeno girarsi.
– I compagni arrivano a momenti.
– Ho tempo, non preoccuparti.
Rientrando in salotto, Emilia serrò i denti. Sempre le stesse cose. Se non fosse stato per Sara, da tempo gli avrebbe chiuso la porta in faccia. Erano sposati da anni, eppure si limitavano a promesse untuose, come “poi quando avrò un lavoro solidamente fisso”. Ma tanto, che mai sarebbe cambiato? L’unica gioia era Maria, sua nipote, che aveva finalmente riempito di colore la sua vita grigia.
– Nonna, ma c’è il dolce? – domandò Maria, spuntando lungo il corridoio con le trecce scomposte.
– C’è, tesoro, c’è – le rispose Emilia accarezzandole i capelli. – Il babbo va a prendere la torta in pasticceria.
Maria corrugò la fronte:
– Non dimenticherà? L’altro giorno ha mancato la sua lezione di danza, anche se glielo avevo ricordato.
– Ti avevo detto io, – sorrise Emilia, – ma piuttosto, vai a metterti vestito bello, vai. Ci hai messo ieri insieme.
Mentre Maria scompariva su per le scale, Emilia tornò da Lorenzo:
– Lorenzo, ricordati della torta. Era ordinata in pasticceria in via Verdi.
– Certo, non si dimentica una cosa così – fece lui con tono sarcastico, continuando a digitare.
– Vai subito. I compagni non possono aspettare in eterno.
Una quindicina di minuti dopo, Lorenzo si alzò con nonchalance, si infilò un cappotto e si avviò verso l’uscita.
– Aspetta – lo richiamò Emilia. – Hai preso i soldi per pagare la torta?
Lui si bloccò:
– Mi hai dato l’anticipo? Non ne ero certo.
– Ho dato solo l’anticipo, – disse Emilia con tono duro, – ma il resto lo paghi quando la prendi.
Sara uscì dalla cucina con un dischetto in mano:
– Mamma, prendi mia carta – disse timidamente. – Lui con le finanze va male. Mi spiace.
Lorenzo non aveva mai brillato in economia, ma Emilia non volle scompisciarsi. Non era un buon inizio per una festa. Preso un mucchio di soldi dal borsellino, glielo diede.
– Sbrigati, però. E ricordati del vino.
Lorenzo uscì. Emilia tornò a sistemare la tavola. La festa aveva subito un contrattempo, ma il cuore restava coerente col sogno: seduti intorno al tavolo, non solo la famiglia, ma anche vecchi colleghi insegnamento italiano e letteratura. Trentacinque anni trascorsi in aula, e ora, dieci anni di pensione, voleva restare riconosciuta come un’esperienza.
– Mamma, non ti agitare – disse Sara abbracciandole la spalla. – Vai benissimo.
– No, no, – mentì Emilia, – è solo che vorrei che tutto fout molto dignitoso.
Sara annuì:
– Lo sarà, mamma. Tu sei una padrona di casa fantastica.
Bussarono alla porta. Ai primi ad arrivare furono Giorgio e Maria, la sorella di Emilia.
– Sorellina, buon compleanno! – disse Maria, baciandola entusiasta e consegnandole un grande pacco. – Vieni bene! Sei bellissima! Sessanta anni? Ma è un nuovo quaranta!
– Grazie, tesore – rispose Emilia con voce tremante. – Entra, sciogli il cappotto.
Quindi altri invitati: due donne della classe insegnamento, la vicina Anna con il marito, una cugina di Como. Appena l’appartamento fu gremito di risate e auguri, il sollievo di Emilia fu strizzato da una fitta: Lorenzo non era ancora tornato.
– Sara, metti un telefonino al marito – mormorò, mentre i compagni si accomodavano. – Fa troppo tardi.
Sara si allontanò con un telefono, e tornò con uno sguardo tirato:
– Dicono che va, mammina. Ha detto che c’era una fila in negozio.
Emilia strinse le labbra. Era un’altra scusa. Di certo, stava col suo amico a bere.
– Allora iniziamo a cena – disse forte, cercando di apparire disinvolta.
La tavola era ricca: ravioli al telefono, salmone fritto, polenta con funghi, i dolcetti fatti in casa. Emilia aveva cucinato come non mai.
Ma Lorenzo non rimaneva. Ogni volta che Sara usciva per telefonare, il viso si faceva più pallido. Emilia, vedendo la figlia soffrire, cercò di scoraggiarla con racconti di quando erano giovani.
– Ti ricordi le vacanze a Como, quando c’eravamo comprate quelle carte di pesce curioso? – chiese Maria.
– E come non ricordare! – sorrise Emilia. – Lo sai che ti sei lasciata tentare da quell’insegnante vegetariano?
– Scordatelo! – rise Maria. – Giorgio ne ha sempre riso!
Pausa di allegria. Ma quando squillò il telefono, il sollievo fu breve. Sara andò ad aprire, e tornò con un’espressione triste.
– Mammina, può parlare?
Il giornalista disse che aveva consegnato lui la torta, visto che Lorenzo non si vedeva. Emilia pagò, mise il dolce in cucina, e andò da Sara:
– Ma dov’è?
– Non si risponde – disse con gli occhi pieni di pianto. – Non si risponde da anni.
Emilia tornò, sedendosi su una sedia con un peso sordo. Dieci anni di scuse, di promesse non mantenute. Poteva sopportarlo per Sara, ma stavolta aveva passato ogni confine.
Recuperò con forza la torta, la mise su un piatto, e appena Maria venne a chiedere del babbo, gliela mostrò.
– Eccolo! – gridò facendo un passo in avanti.
L’espressione infantile di Maria si accese come un fuoco.
– Va bene, va bene! Va bene!
Tutti applaudirono. Ma quando le porte si spalancarono con un rumore secco, fu l’inferno. Lorenzo fece ingresso, ubriaco, barcollante.
– Complimenti tutti! – disse.
Silenzio. Emilia si gelò, vedendo l’espressione di Sara. C’era dolore, una sorta di resa.
– Lorenzo – disse con voce fredda – dove sei stato?
– Che bisogno c’è di chiedermelo? – scrollò le spalle. – Mi sono divertito un po’ con gli amici. E ricorda che il dolce è qui, zia cara!
– Il dolce l’ha portato lui – disse Emilia con disprezzo.
Lorenzo si sedette con forza:
– Va bene comunque. Versiamo.
Gli invitati si scambiarono occhiate. La festa era finita. Nemmeno Maria riuscì a salvare l’atmosfera.
– Grazie a tutti per essere venuti – disse Emilia, alzandosi improvvisamente. – Oggi è uno speciale compleanno. E vorrei dire una cosa seria.
Il silenzio si spense. Anche Lorenzo impietrì con il bicchiere in mano.
– Da dieci anni questa casa è casa anche per lui – disse Emilia, fissandolo. – Avevo cercato di essere buona. Ma basta. Questa villetta è mia. Da domani, lui non ci vivrà più. Ha ventiquattro ore per racimolare la roba sua.
– Cosa? – urlò lui, spaventato.
– Lui non ne ha il diritto. Non lo tollererò. Se le regole sono mie, finisce qui.
– Sara – gridò lui, voltandosi. – Dimmi qualcosa!
Sara non disse niente. Pianse in silenzio.
– Mammina, sei sicura? – domandò piano.
– Sicurissima – rispose Emilia. – Va bene così.
Lorenzo urlò. Infilò un pugno, rovesciò una sedia, e uscì.
Maria, con voce tremante, domandò:
– Aiutami, posso mangiare il dolce?
Risero tutti, e l’atmosfera tornò a un certo conforto. Emilia fu lei a porgere la forchetta. Non sapeva se la scelta era giusta, ma sapeva che non aveva scelta.
La festa finì. Gli invitati si salutarono con emozione. Rimase solo Emilia, Sara, e Maria.
– Sapevo che volevi un babbo per Maria – disse Sara, stringendola. – Però avevo paura.
– No, non hai mai dovuto scusarti – disse Emilia. – Maria non merita un babbo distrutto. Merita una mamma felice.
Nel tardo pomeriggio, Lorenzo tornò, sobrio. Prese i suoi bagagli, guardò Sara, ma lei non disse niente.
– Forse posso tenermi almeno la TV? – chiese lui.
– L’ho pagata io – disse Sara con freddezza. – Fuori.
Quando la porta si chiuse, Emilia abbracciò Sara.
– Sai… ho risparmiato qualcosa. – disse piano. – Milano è cara, ma con un anticipo e un’ipoteca per voi, potete cominciare. E tu sei una direttrice di reparto. Il conto bancario ti prenderà.
– Risparmiava per noi? – disse Sara stupita.
– Non vi vedrò mai soltanto. Tornerò spesso a trovarvi.
– E papà?
– Magari ti trovi un ufficio con un uomo migliore – sorrise Emilia.
Un mese dopo, Sara e Maria trasferirono stuffa nella loro nova appartamento in viale Lombardia. Emilia si occupò del decoro, e al volere di tuo figlio, aprì le porte a un nuovo amico, un insegnante di fisica che le portava rose e inviti al cinema.
Oggi, quando ricordo quel compleanno, faccio un sorriso. Fu l’inizio di una vita diversa, migliore. Per Maria, e per me anche, magari con un uomo che sa cosa significhi rispettare un’altra.