Stavo preparando la cena – uno sformato di funghi, il piatto preferito di Alessandro.
I bambini dormivano già, e la casa era avvolta dal calore e dal profumo delle spezie.
Il suo telefono vibrò sul tavolo della cucina.
Lo schermo si illuminò con un breve messaggio:
“Amore mio, ti aspetto. Non dimenticare le fragole e la panna.”
Solo poche parole… Ma in un attimo rovesciarono la mia realtà. Dieci anni di matrimonio si sgretolarono in un istante.
Guardai lo schermo finché non si spense. Un secondo dopo – un’altra notifica. Non la lessi.
Le mani mi tremavano mentre mettevo la teglia nel forno. Dieci anni. Due figli.
Un’attività che avevamo costruito insieme. O meglio, che lui aveva costruito mentre io mi sacrificavo.
– “Amore, ora la cosa più importante è che tu mi supporti. Avrai tempo per le tue cose più tardi.”
Gli avevo creduto.
Quando tornava tardi, come sempre negli ultimi tempi, non facevo domande.
– “Scusami, cara, la riunione si è protratta.”
Lo osservavo in silenzio mentre mangiava il suo sformato preferito.
E pensavo solo a una cosa:
A chi stava mentendo di più – a me o a sé stesso?
– “Va tutto bene?” notò il mio silenzio.
– “Sì, solo stanchezza.”
Sorrisi.
Ma dentro di me tutto crollava.
Quando avevo smesso di essere me stessa?
Quella notte non riuscii a dormire. A occhi chiusi, ricordavo come ci eravamo conosciuti.
Come ammirava i miei schizzi. Come mi prometteva un futuro brillante.
E poi…
Il matrimonio. La gravidanza. La seconda gravidanza. Un’attività che richiedeva sempre più tempo.
– “Capisci, vero? La cosa più importante ora è costruire un futuro stabile.”
Capivo. Gestivo la casa, organizzavo gli incontri, rispondevo alle chiamate. E i miei schizzi li riponevo in un cassetto – per tempi migliori.
La mattina dopo, iniziai a notare cose che prima non vedevo. Come sceglieva con cura la camicia.
Come impiegava troppo tempo a sistemarsi i capelli. Come si voltava quando leggeva i messaggi.
– “Papà, giochiamo insieme stasera?” chiese il nostro figlio più piccolo, tirandolo per la manica.
– “Mi dispiace, tesoro, ho un incontro importante.”
Un incontro importante. Chissà, indosserà un vestito blu?
Lo stesso che mettevo all’inizio della nostra relazione… Ora prendeva polvere nell’armadio.
Troppo elegante per fare la spesa o per le riunioni scolastiche.
Continuavo a fare tutto come sempre.
Preparare la colazione. Controllare i compiti. Gestire le questioni aziendali.
Ma dentro di me bruciava una sola domanda – perché?
Chi era lei? Da quanto tempo andava avanti?
– “Mamma, sembri triste,” mi disse dolcemente mia figlia abbracciandomi.
– “Tutto bene, tesoro. Sono solo stanca.”
Ma stavolta non credevo più nemmeno alle mie stesse scuse.
Dobbiamo parlare
Quella sera tirai fuori dal cassetto i miei vecchi schizzi.
Tante idee. Tanti progetti… Ritrovai il disegno di una cameretta per bambini, che avevo progettato quando aspettavo Elisa.
Un interno vivace, originale. Altalene appese al soffitto, pareti trasformabili.
E Alessandro aveva detto:
– “Facciamo qualcosa di più semplice. È solo una cameretta.”
Solo…
Quando i miei sogni erano diventati “solo”?
Il telefono vibrò di nuovo. Un messaggio da lui:
– “Stasera farò tardi.”
Guardai lo schermo. E all’improvviso capii:
Non posso più andare avanti così.
La sera dopo, quando i bambini erano dalla nonna, lo aspettai con una decisione chiara nel cuore.
Quando entrò, senza nemmeno togliersi il cappotto, gli chiesi:
– “Chi è lei?”
La domanda che mi bruciava dentro uscì a bassa voce, ma tagliò il silenzio come un coltello.
Alessandro si bloccò. Poi si versò un whisky. Vidi le sue mani tremare.
– “Chiara…”
– “Dimmi solo la verità. Ne ho il diritto.”
Si sedette di fronte a me, facendo ruotare nervosamente il bicchiere tra le dita.
– “Non significa nulla.”
Nulla?
– “È solo che… capisci, tra noi è tutto finito da tempo.”
Finito?
Mi ricordavo di come:
– Gli preparavo la colazione anche quando ero malata.
– Passavo notti insonni a sistemare i suoi documenti.
– Avevo rinunciato a un viaggio a Parigi per un suo incontro di lavoro.
– “Quando?”
– “Cosa quando?”
– “Quando è finito tutto?”
– “Quando ho smesso di indossare vestiti eleganti?”
– “Quando ho sacrificato il mio sogno per la tua carriera?”
Si accigliò.
– “Non esagerare. Sei stata tu a scegliere di fare la casalinga.”
Casalinga?
– “Facevo la tua contabilità. Organizzavo i tuoi incontri. Crescevo i nostri figli. Questo lo chiami fare la casalinga?!”
– “Giulia, ascoltami…”
Provò a prendere la mia mano.
– “Possiamo aggiustare le cose. Metterò fine a tutto. Possiamo ricominciare.”
Ma io vedevo già un estraneo davanti a me.
– “Sai qual è la cosa peggiore?”
Rimase in silenzio.
– “Non che tu abbia incontrato un’altra donna.”
– “Ma che nemmeno capisci quello che hai fatto.”
Tornerò a essere me stessa
Quella notte, per la prima volta dopo anni, aprii il mio quaderno di schizzi.
La mattina dopo, presi i miei figli. E poi…
Iniziò un nuovo capitolo della mia vita.
Non ero più l’ombra di qualcuno. Ero di nuovo me stessa.
E quell’incertezza non mi spaventava più. Anzi, era bellissima.
Perché il peggior tradimento di tutti non è quello degli altri.
È quello che facciamo a noi stessi.