All’inizio pensavo che forse aveva ragione. Forse davvero non ero abbastanza. Forse il mio modo di camminare era goffo, la mia voce troppo aspra, il mio stile di vestire troppo semplice. Forse, semplicemente, non ero l’uomo che lei voleva.
Così ho fatto quello che farebbe qualsiasi marito innamorato: ho cercato di cambiare.
Per lei.
Ma dopo anni di tentativi, di sacrifici, di adattamenti continui alle sue aspettative irraggiungibili, ho capito una cosa: il problema non sono mai stato io. Il problema era lei.
Mia moglie, Chiara, ha un’ossessione: trovare difetti in me. E la cosa peggiore? Dice di farlo per il mio bene.
“Lo dico solo perché ci tengo a te,” mi ripeteva con quel tono freddo, distaccato, come se la sua critica fosse un dono prezioso. “Se non te lo dico io, te lo dirà qualcun altro, e sarà peggio.”
E io? Io le credevo.
Quando mi ha detto che la mia postura era orribile, che camminavo come un vecchio curvo sotto il peso degli anni, ho preso sul serio le sue parole. Mi sono iscritto in palestra, ho iniziato a nuotare, ho persino provato yoga. Ho fatto di tutto per migliorarmi.
Per lei.
E il risultato? Il nulla assoluto.
Nessun complimento. Nessun segno di apprezzamento. Solo un freddo “Bene. Continua così.”
Poi, improvvisamente, ha deciso che il problema era la mia voce.
“È troppo dura, troppo fastidiosa. Dovresti fare qualcosa per migliorarla,” ha detto con un sorriso sprezzante, come se stesse parlando di un dettaglio irrilevante.
Da quando? Perché fino a quel momento non mi aveva mai detto nulla? Era sempre stato un problema o aveva solo trovato una nuova cosa da criticare?
E ovviamente, ancora una volta, le ho creduto.
Ho iniziato corsi di dizione, ho cercato di cambiare il mio tono di voce, di renderlo più morbido, più piacevole.
L’insegnante mi ha guardato perplesso.
“La tua voce è perfettamente normale. Chi ti ha fatto credere che fosse un difetto?”
Io lo sapevo benissimo chi.
Ma ormai era tardi. Mi aveva condizionato. Se Chiara diceva che qualcosa in me non andava, allora doveva essere vero.
E non finiva mai.
Un giorno i miei capelli erano troppo corti. Il giorno dopo, troppo lunghi. I miei vestiti troppo noiosi. La mia risata troppo forte.
Non importava quanto mi sforzassi, non era mai abbastanza. Trovava sempre qualcosa di nuovo da correggere, come se il suo unico scopo fosse quello di smontarmi pezzo dopo pezzo, fino a farmi sparire.
Fino a quella sera.
“E tu, Chiara? Non pensi che forse non sia solo io a dover cambiare? Non pensi che dovresti guardarti allo specchio anche tu?”
Il suo volto si è irrigidito all’istante.
“Non posso credere che tu mi abbia detto una cosa del genere,” ha sussurrato, con finta indignazione, come se io fossi il colpevole.
Ah, quindi lei poteva distruggermi giorno dopo giorno, ma quando io osavo dire una sola parola, ero io il cattivo?
Questa non era più una relazione. Era una lenta, metodica distruzione.
Così ho preso una decisione. Ho chiesto il divorzio.
Ora Chiara gira per casa in silenzio, incredula, incapace di accettare quello che sta succedendo. Non se lo aspettava. Credeva che sarei rimasto prigioniero nel suo gioco per sempre.
Ma no.
Per la prima volta dopo anni, respiro di nuovo.
Che vada pure a cercare l’uomo perfetto – o, più probabilmente, la sua prossima vittima.