Le gambe bruciavano dopo il lungo cammino con un peso sulle spalle.

Le gambe di Caterina erano stanche. È comprensibile: camminare così tanto con un carico sulle spalle… L’unico sollievo è che le resta solo un’ultima strada del paese da girare, e poi potrà finalmente tornare indietro… Caterina lavorava come postina. Una volta, ogni piccolo villaggio aveva il suo ufficio postale. Ora ne è rimasto solo uno per dodici paesini nei dintorni. Così, le postine camminano per molti chilometri distribuendo giornali, bollette dell’elettricità e pensioni, portando anche generi alimentari e prodotti per la casa su ordinazione.

Ora lo zaino di Caterina era vuoto. Ha consegnato tutti gli ordini alle sue anziane signore. È strano: nei paesini ci sono pochi uomini anziani rimasti, ma le vedove anziane sono ancora lì. Alcune continuano a fare l’orto e a tenere alcuni animali… È faticoso però raggiungere i negozi dai villaggi più lontani, e l’automezzo con i beni di prima necessità non viene sempre d’inverno. Così, Caterina porta con sé carichi preziosi come riso, pasta, conserve, biscotti e caramelle… E le sue nonnine la aspettano, guardando fuori dalla finestra fin dal mattino presto, chiedendosi se Caterina si sia persa tra la neve.

Nel paesino che Caterina doveva ancora visitare, un tempo la vita era vivace. C’era un’importante azienda di legname. Ma ora… Ci sono tanti paesi in Italia dove gli ultimi abitanti trascorrono gli anni della vecchiaia… Infine, Caterina arrivò davanti all’ultima casa – una tipica casetta bifamiliare in legno. È l’unica rimasta intatta, abitata in entrambe le unità. Le altre case simili sono state smantellate per la legna da ardere dai residenti locali. Qui vive una pensionata a cui Caterina stava andando. Nell’altra metà ci abita il figlio della donna con la moglie.

Caterina, scrollando la neve dagli stivali con una piccola scopa che stava accanto alla porta, salì i gradini della terrazza e bussò alla porta: – Tania, sei in casa? È arrivata la posta! La porta si aprì quasi immediatamente. La padrona di casa era ansiosa: – Ma Caterina, che modi… Vieni, entra, ti sarai congelata! Vuoi un tè, o forse un pranzo? Ho appena tirato fuori della minestra di verdure dal forno…

Caterina ringraziò la donna anziana, ma rifiutò: doveva sbrigarsi, presto sarebbe calato il buio e la strada di ritorno era lunga. – Aspetta un attimo, cara, mio figlio sta per andare in città. Fermati un po’, scaldati, vado a dirgli di non partire senza di te. Tania indossò un vecchio cappotto e uscì. Caterina si sedette stanca su una sedia, infilò la mano nel file con le ricevute delle pensioni e contò i soldi rimasti: tutto quadrava. Slacciò il cappotto e si tolse il cappello… Era un sollievo sapere di non dover tornare a piedi. Il figlio di Tania aveva una macchina che usava per venire a prendere la posta, quindi oggi sarebbe potuta tornare a casa prima…

La padrona rientrò: – Aspetta circa quarantacinque minuti. Valerio ha ancora dei lavori da finire, poi ha detto che verrà e ti porterà. Nel frattempo, mangia qualcosa. So che sei in piedi tutto il giorno e avrai fame. Caterina non obiettò. Dopo aver consegnato la pensione a Tania, si tolse lo zaino, mise giù la borsa e iniziò a mangiare.

– Tania, potrebbe raccontarmi qualcosa della vita passata? Mi piace sentire come si viveva un tempo, – disse Caterina, finendo la zuppa e prendendo un tè con dei biscotti. – Oh, cara, non so davvero da dove cominciare, – sorrise l’anziana donna, stringendo il bordo del suo grembiule colorato. – A quei tempi vivevamo… chi meglio, chi peggio. Io lavoravo. Come tutti allora. Non ero una lavoratrice di punta. In panetteria non facevamo record, infornavamo il pane necessario. Ho ricevuto delle onorificenze, sì. E mi hanno dato il riconoscimento di veterana. Ho passato trentasei anni vicino a quel forno. E poi altri sei anni come magazziniera. Il nostro pane era molto richiesto nei dintorni. Ora non si trova più un pane così. E la panetteria non esiste più da tanto…

Tania si fermò, guardando fuori dalla finestra verso la struttura in rovina della vecchia panetteria che si intravedeva nelle vicinanze… Poi riprese: – Mio marito lavorava nel settore del legname. Mi sono sposata a diciotto anni, quando venni qui per uno stage. Ho continuato a studiare mentre ero incinta. La nostra prima figlia è nata, ora vive a Firenze. O forse è a Roma… È in pensione, ma ancora lavora. Ho due nipoti lì e un pronipote già grande.

Ma mio marito desiderava un figlio, e faticammo molto. Ho avuto due aborti spontanei. Capisci: dovevo sollevare sacchi di farina per ore durante il turno di lavoro, e spesso perdevo il bambino. Poi mio marito ha detto: lascia quel lavoro, non ne vale la pena. Ma dove andare? Anche allora trovare lavoro non era facile. A meno di trasferirsi in città, ma avremmo dovuto abbandonare la fattoria. Avevamo una mucca all’inizio, poi passammo alle capre, e tre maiali, galline… Un orto grande… Convinsi mio marito che sarei stata più attenta…

Poi, quando rimasi di nuovo incinta, mi spostarono a un lavoro più leggero, a vendere nel negozio annesso alla panetteria. Così nacque Slavo. Caterina osservò con sorpresa la sua interlocutrice. Sembrava che la signora avesse detto che suo figlio si chiamava Valerio? Ma ora parlava di Slavo… Vedendo la confusione di Caterina, Tania sorrise malinconica: – Aspetta un attimo, cara, tra poco capirai tutto…

E continuò: – Nel settanta nacque mio figlio. Aveva una sordità congenita. Siamo andati persino a Roma da un professore che disse che non c’era nulla da fare, bisognava usare un apparecchio acustico. Con quello è vissuto tutta la sua vita… Nella casa accanto viveva una vecchia, Pifagora di cognome… non era un soprannome. Suo padre si chiamava davvero così. Lei rideva spesso di Slavo, diceva che sembrava un vecchio fin da bambino, chi mai l’avrebbe sposato?…

Lui e Lena erano amici dai tempi della scuola. Poi si sposarono. Lei lavorava in ufficio in una fabbrica di legname, finché non chiuse. Slavo andava in città, lavorava in fabbrica. Quando nacque il primo nipote, io e mio marito comprammo l’appartamento accanto, quando Pifagora morì… Poi nello stesso anno persi sia mio marito che mio figlio… Tania sospirò pesantemente… – Mio marito aveva… come si dice… artrite debilitante. Come quasi tutti quelli che lavoravano nel bosco, aveva quella malattia. Gli fecero l’operazione, ma non visse molto dopo. E un giorno, tornando dalla pesca, Slavo cadde in acqua dove il ghiaccio era debole… Non riuscì a tornare a riva. Si ammalò gravemente, prese una polmonite, e in due settimane non c’era più… In autunno seppellii il marito, e a primavera portai anche il figlio…

Aveva solo ventitré anni… Tania si fermò di nuovo. Si alzò, sistemò le tende alla finestra… Poi, dopo essersi calmata, tornò a raccontare… – Quando mio figlio morì, mia nuora era incinta del secondo. Venne da me dicendo che voleva abortire. La rimproverai: hai perso il marito, ora vuoi togliere la vita anche al suo bambino? Piangemmo entrambe, parlammo a lungo. Anche con un solo bambino sarebbe stata dura senza marito, figuriamoci con due… E poi i suoi genitori non aiutavano perché amavano bere. Era il novantaquattro quando Slavo morì…

Mia nuora è stata un dono. La convinsi a tenere il bambino. Appena dopo la morte di mio marito, cambiai lavoro, lavoravo in un deposito e non c’erano turni. Così abbiamo cresciuto i bambini insieme. E un anno dopo incontrò Valerio. Lo osservai: era un uomo perbene, non beveva, non usava parolacce. Non mi piacciono quelli che usano il turpiloquio, nemmeno mio marito lo faceva nonostante lavorasse nel bosco. E Valerio era dolce con i ragazzi. Non era del posto, si era trasferito per aprire una segheria. Fascetti aggiuntivi, abitava qui per installare quelli. Era un po’ più grande di Lena. Era stato sposato, ma sua moglie era scappata in Germania con il figlio, con alcuni parenti. Così dissi loro: se la vostra relazione è seria, unitevi. Prima hanno vissuto insieme, poi si sono sposati. Hanno avuto un altro figlio e anch’io mi sono occupata di lui. Tutti e tre mi chiamano nonna.

Fin dall’inizio Lena mi chiamava mamma. Poi anche Valerio iniziò a chiamarmi così: mamma, mamma. E perché dovrei essere contraria? Il Signore mi ha tolto un figlio, ma mi ha dato un altro in tarda età. Ha mani d’oro. Vedi come ha fatto le due case? Ha messo l’acqua corrente, e il bagno è riscaldato adesso, e ha costruito una piccola sauna… Guadagna bene. Quando la segheria era in attività era responsabile di lì. Poi ha iniziato a lavorare a turni. Non ha mai fatto del male ai figli di Slavo, lo considerano loro padre.

Quando tutti cominciarono a lasciare il paese, dissi ai miei: andate pure, se volete, ma io non mi muovo. Solo in cimitero, da mio marito e mio figlio. Valerio rispose: come possiamo lasciarti? E così restammo. I nipoti sono andati via, il più giovane studia all’università, quello più grande ha un figlio e lo ha portato qui di recente. Che dire, non ho motivo di lamentarmi, ho una brava nuora e un bravo figlio…

Dall’esterno si udì il clacson di una macchina. Caterina si affrettò. Tania la rassicurò: – Non preoccuparti, cara, Valerio aspetterà. Te l’ho detto: è un bravo figlio, ogni madre dovrebbe averne uno così…

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