Mi sono accorta che ultimamente Zinaida è davvero cambiata in peggio. No, non stava male, né era particolarmente anziana, ma sua figlia le aveva rovinato la vita. È già da un anno che Zina vive da me e raramente si alza dal letto. Un giorno, una vicina mi ha chiesto di telefonare a Gelsomina, la sua figliastra. “Falla venire. Ho bisogno di confessarmi.” “Zina, perché non la chiami tu stessa?” Zina abbassò lo sguardo. “Ho paura che non venga se lo faccio io. È meglio che lo faccia tu,” mormorò, poi scoppiò a piangere. Presi il telefono e chiamai Gelsomina. “Gelsomina? Sono la vicina di tua zia Zina. Lei ti chiede di venire.” “Zia Vera? Cosa è successo?” chiese subito la voce preoccupata di Gelsomina. “Vieni, cara. Capirai tutto qui,” risposi e chiusi la telefonata. “Verrà?”, chiese ansiosa la vicina. “Verrà! Gelsomina è di buon cuore,” risposi, pensierosa: “Mi dispiace per Zina. Ma nei panni di Gelsomina, non so se sarei venuta…”
Quella notte non riuscii a dormire; continuai a pensare a Gelsomina. Tanta acqua è passata sotto i ponti da quando quella piccola bambina è arrivata nel nostro paese. Fu portata dall’Italia da suo padre, Giovanni. Lui aveva lavorato a Roma, lì si era sposato. Nacque Gelsomina. Quando sua moglie morì, la bimba aveva sei anni, e Giovanni tornò al paese con Gelsomina. La bambina venne subito battezzata. Il prete la chiamò Nina, ma tutti noi la chiamavamo Gelsomina. Poco dopo, Giovanni sposò Zina e nacque Luce. All’inizio andava tutto bene, ma Gelsomina non riusciva a chiamare Zina mamma. Sempre “zia Zina” e ancora “zia Zina”… “Nutro questa bambina come se fosse mia, e ancora non mi chiama mamma!” si lamentava Zina. “Calmati, Zina! La bambina era già grandicella quando ha perso la madre! Se la ricorda ancora! Abbi pazienza! Forse ti chiamerà mamma! E se non lo farà, pazienza. È sempre una bambina!” Ma Zinaida non accettò. Non riuscì mai a rassegnarsi.
Con il passare dei giorni, arrivò a odiare sempre più la sua figliastra: le dava compiti troppo gravosi, cercava di ferirla con parole cattive o di calpestarla ad ogni occasione. Giovanni sembrava cieco, non si accorgeva di nulla. Lavorava nei campi con il trattore ed era raramente a casa. In sua presenza, Zinaida si comportava educatamente e Gelsomina non si lamentava mai con lui. Era una bimba laboriosa, paziente e incredibilmente saggia per la sua età. Avrebbero dovuto esserne fieri, ma Zina non si placava. Ricordo che Gelsomina aveva solo sette anni e la matrigna la obbligava a occuparsi di Luce, a portare pesanti secchi d’acqua dal pozzo, a diserbare l’orto e a mungere la mucca. Noi vicini ci rattristavamo per lei. “Cosa stai facendo, Zina? È un peccato tormentare un’orfanella!” cercai di convincerla. “Ma non la senti! Non le farà male nulla! Che maledetta… Che ripaghi il suo pane!” sbuffava Zinaida.
Un giorno, Gelsomina fece qualcosa che fece infuriare la matrigna, e questa la picchiò. Fortunatamente, assistetti alla scena e intervenni per difenderla. Volevo mettere Giovanni al corrente e aprirgli gli occhi su sua moglie… ma non mi permisi di intromettermi nella loro famiglia. E quanto mi torturai poi per la mia codardia!
Accadde che una volta Gelsomina non fece attenzione e Luce uscì dal cortile. Venne ritrovata abbastanza presto, ma Zinaida era furiosa! No, non la picchiò: era peggio… Giovanni stava arando in notturna e al mattino arrivò prima del solito, ma della figlia maggiore non c’era traccia! Zina era andata a portare la mucca al pascolo. Giovanni si mise a cercare Gelsomina ovunque e il suo letto era intatto dalla sera prima… Il cuore di Giovanni avvertì che qualcosa non andava. All’alba corse da me! Insieme cercammo la bambina: la chiamavamo, la gridavamo! Addirittura controllò nel pozzo, ma per fortuna non era lì.
Ad un tratto, notò il grosso lucchetto sul ripostiglio e lo forzò con un’accetta. Su una pila di vecchi stracci rosicchiati dai topi giaceva addormentata la piccola Gelsomina! Giovanni picchiò violentemente sua moglie! Temevamo che la uccidesse e intervenimmo. Voleva divorziare, ma restò con lei solo per Luce! Da quel giorno, Zinaida si calmò nei confronti della figliastra. L’avrà amata come una figlia? No, credo che Zina si fosse semplicemente impaurita. Col tempo, la loro vita familiare migliorò. Solo che Gelsomina smise di parlare e si chiuse in se stessa. Giovanni la portò dai migliori medici. Cercò anche i guaritori, senza alcun risultato: la piccola continuava a rimanere in silenzio.
Giovanni era distrutto, all’ultimo decise di agire drasticamente: divorziò dalla moglie, prese con sé Gelsomina e se ne andò. Continuò comunque a pagare gli alimenti per la piccola Luce. Gli anni passarono. Luce crebbe, si sposò e partì verso Roma con il marito. Tra lei e la madre nacque un conflitto e Luce cancellò Zina dalla sua vita. Per Zina iniziò un periodo davvero nero. Si poteva comprendere: nella sua vita l’unico amore era Luce. Lei era l’unica gioia! E ora la vita sembrava finita…
Zina cominciò ad andare in chiesa per pregare e piangere, chiedendo a Dio di ammorbidire il cuore di sua figlia. Tutto è rimasto vano! Luce non le scriveva, non la chiamava e non la visitava! Alla fine la madre infelice andò da Luce direttamente, ma la figlia non le permise neppure di entrare!
E Gelsomina? L’ho vista un paio d’anni fa, ai funerali di Giovanni. Lui è morto e Gelsomina ha voluto seppellirlo al paese natio. Era cresciuta, diventata una bella e affascinante giovane donna. Anche la parola le era ritornata! Con Gelsomina sono arrivati il marito e i due figli piccoli. Ma Luce non è venuta neppure al funerale del padre! È arrivata invece una settimana dopo, chiedendo alla madre di trasferire su di lei la casa. “Mamma, campa quanto vuoi! Ma presto o tardi succederà qualcosa, e dovrò prendere l’eredità. Così tutto sarà più semplice in anticipo.” Zina ha ceduto e acconsentì. Hanno trasferito la casa e subito Luce se ne è andata. Tornata con gli acquirenti, ha sbattuto fuori la madre dalla sua stessa casa. Poi ha preso i soldi ed è sparita… Questo ha spezzato definitivamente Zina. La vicina si è ammalata gravemente e l’ho accolta a casa mia. Una vita così…
Abbiamo trascorso la notte senza chiudere occhio, tormentate da pensieri pesanti e difficili. Ero convinta che Gelsomina non avrebbe mai più messo piede lì, visto tutto ciò che aveva subito. Camminavo per casa, fingendo di essere indaffarata, temendo di incrociare lo sguardo di Zina. Gelsomina arrivò solo nel pomeriggio. Lasciai sole lei e Zina. Parlarono a lungo e alla fine uscirono insieme dalla stanza. Notai che Zina sembrava rianimata e persino ringiovanita. “Zia Vera, porterò a casa mia mamma Zina. Puoi aiutarmi a preparare le sue cose?”, chiese Gelsomina. “Gelsomina, tesoro! Grazie, ma sono davvero debole… Non ce la farò a viaggiare…” “Non preoccuparti! A casa nostra ti riprenderai presto! I nipoti non faranno altro che divertirti! E poi a me farà piacere avervi vicino!” sorrise Gelsomina.
Raccolsi le cose di Zinaida e partirono. Poco dopo Gelsomina mi chiamò per dire che erano arrivate sane e salve. Ancora oggi mi chiamano: a volte Gelsomina, a volte Zina… Zina mi racconta della sua nuova vita. Della sua Luce non parla mai. E io non chiedo: non voglio riaprire ferite mai guarite. Ma di Gelsomina, del genero e dei nipoti Zina mi parla con entusiasmo e orgoglio. Ogni volta che l’ascolto, mi sorprendo di quanto grande, generoso e misericordioso sia il cuore di quella bambina! Fin dall’infanzia ha dovuto affrontare molto dolore e difficoltà… Non ogni adulto ci sarebbe riuscito! Gelsomina si è dimostrata saggia e fortissima: non si è spezzata ed è rimasta in piedi, con uno spirito che non ha mai ceduto alla malvagità. Ha conservato quel cuore puro e bello, senza rancore e senza malizia.