Un tempo per la tristezza e uno per la gioia…

C’è un tempo per la tristezza e uno per la gioia…
Guidava l’auto con sicurezza, evitava accuratamente le grandi pozzanghere, mentre si dirigeva verso il suo villaggio natale, alla casa dei genitori. Aveva deciso di passare lì le vacanze già in estate e aveva preparato vestiti caldi, accoglienti, e preferiti: due coperte, un pigiama, calze di lana, libri, caffè pregiato, tè di qualità. Il gatto, che si chiamava Barone, giaceva impassibile e orgoglioso sulle borse, guardando fuori dal finestrino con indifferenza, come se non avesse fatto altro che viaggiare in macchina per tutti i due anni della sua vita. Al villaggio ci andava bene, purché non dimenticassero di dargli da mangiare e di accarezzarlo spesso.

In passato andavano sempre al mare in vacanza. Suo marito era mancato un anno fa e in lei viveva ancora il dolore della perdita, mentre suo figlio aveva una famiglia sua e altri interessi, e lei era ormai sazia del mare. Voleva perdersi nel bosco, respirare l’aroma intenso dei pini, raccogliere funghi, preparare uno stufato con porcini e salare finferli con foglie di ribes, assaporare le bacche rosse e farne marmellata, cuocere crostate, bere latte fresco, ascoltare i lamenti delle oche che volano verso sud e dire loro: tornate presto. Si chiedeva cos’era quel desiderio di camminare scalza sulle assi di legno linde e dipinte, di sedersi vicino al caminetto con un libro e, di tanto in tanto, rimestare i ciocchi ardenti, di vedere un cielo stellato che abbraccia l’orizzonte senza confini di antenne ed edifici. La mattina voleva essere svegliata dal canto degli uccelli, non dal rumore del traffico. Forse era stanca della città, delle sue strade affollate? O era una sensazione comune dopo i quarant’anni?

Il villaggio era abitato, c’era un negozietto di alimentari e il capoluogo distava solo 15 km. Aveva ancora tre settimane di ferie, ed era settembre nel calendario.
A volte pensava di restare lì anche in inverno, ma non era ancora sicura di farcela. Era giunto il momento di ascoltare se stessa, di portare alla luce sogni nascosti e renderli realtà. In ogni caso, se le cose si fossero fatte difficili, avrebbe sempre potuto tornare indietro.

Barone scese dall’auto, guardandosi intorno con circospezione e stringendosi alle sue gambe, come un fedele cane: l’erba era così alta, chi sa cosa poteva nascondere. Era un animale di città, abituato alla vita in appartamento, e lì c’erano boschi, cinguettii di uccellini, farfalle in volo.
Aprì porte e finestre, portò una fascina di legna dal capanno. La stufa sbuffò due volte fumo nei locali, poi si placò, e i ciocchi asciutti presero a scoppiettare e a bruciare. Nel frattempo accese anche la vecchia sauna, che profumava ancora di foglie di betulla e fiori secchi di girasole. Puliva a fondo, rimboccandosi le maniche, mangiava panini spalmati di burro d’arachidi su croccante pane toscano e beveva tè. Barone, rifocillato da un pezzo di pollo lesso, la osservava dalla sua comoda poltrona. Improvvisamente, strofinando il pavimento, si accorse che stava cantando. Non ricordava le parole della canzone, solo canticchiava una melodia di un film con Marcello Mastroianni. Sorprendendosi, non cantava da tempo.

Settembre era il mese del raccolto al villaggio: quel giorno stesso comprò dai vicini verdure, uova, un secchio di mele, un barattolo di miele, e fece un salto nel negozietto locale.
Nella sauna si diffondeva l’aroma delle erbe infuse, l’acqua fredda del pozzo brillava nei secchi, mentre i sassi roventi sibilavano rabbiosamente. Il calore avvolgeva, cullava, rilassava il corpo, riscaldando ogni cellula e rendendo ancora più piacevole darsi una rinfrescata con l’acqua fresca. Si riposava sul portico, avvolta in un morbido accappatoio. Nelle prime tenebre autunnali, le finestre delle case brillavano accoglienti, mentre i cani bisbigliavano fra loro. Nel cielo, il Signore accendeva la Luna e liberava l’Orsa Maggiore e il suo cucciolo, seduto su una poltrona, a leggere il giornale serale, cullando il piede in una pantofola di lana davanti al camino caldo. I ciocchi ardenti scoppiettavano qua e là, e scintille si libravano in aria, dove la gente diceva: oh, guarda, una stella cadente.

Barone aveva trovato una rana nell’erba e non sapeva cosa farne. La sera profumava di violette, lamponi maturi, e mele.
Mentre nella vecchia stufa il tortino di cavolo si dorava, lei tagliava a pezzi un grande pomodoro maturo, formaggio e pane di segale, apriva un barattolo di olive, preparava tè alla cannella. La cena era tardiva, ma deliziosa.
La mattina si svegliava presto e andava nei boschi. Respirava a pieni polmoni, sorrideva, conversava con un picchio, chiedendogli se non gli facesse male la testa, condivideva la crosta di pane con uno scoiattolo. Arrostiva i funghi nella panna acida, e con le bacche mature preparava marmellata: con miele, mele, e pere.
Settembre la viziava con giornate soleggiate e calde, serate tranquille, rassicurava come un infuso di melissa, la invitava in cucina a preparare il caffè o cuocere biscotti allo zenzero per colazione o torta al formaggio, la abbracciava la sera con una coperta a quadri calda sulle spalle, scaldava i piedi con calze di lana, la faceva accomodare sulla solita panca con un amato libro.
Barone continuava a non voler socializzare con i curiosi locali, ma usciva volentieri sul porticato la sera per ammirare il cielo stellato con la sua padrona. Il vicino aveva tagliato l’erba nei dintorni e ora lì si sentiva odore di cocomero. Nell’erba tagliata i topolini sgranocchiavano, raccogliendo fili secchi: la vecchia topolina avrebbe arrotolato la paglia in gomitoli, tessendo, per il freddo inverno, un grande caldo plaid profumato di trifoglio.

Un giorno si recò al cimitero locale per mettere a posto le tombe dei parenti. Accanto a una delle collinette fresche giaceva un cane. Un meticcio comune, piccolo, magro, con occhi tristi. Aveva rifiutato il dolce che le aveva offerto. Il vicino spiegò poi che una vecchia solitaria era morta recentemente, e il suo cane era rimasto orfano, trascorrendo tutti i giorni lì.
Il mattino dopo lei tornò e si sedette accanto a quel quadro di malinconia e iniziò a parlare. Raccontò di come le persone anziane se ne andassero e non ci potesse far nulla, non potessero essere riportate indietro, per quanto lo desiderassimo. Narrò di come anche lei avesse vissuto il dolore della perdita di persone care e capisse il suo dolore. Ma disse anche che c’è un tempo per piangere e uno per vivere. Il tempo del dolore era finito; era ora di tornare a casa e vivere. Ti chiamerò Alu, diceva accarezzando il cane. Verremo ancora qui, certamente, ma vivremo in casa, accenderemo il caminetto, cucineremo polenta, aspetteremo l’inverno. Tu e il gatto custodirete la casa, mentre io andrò al lavoro. In inverno nevicherà, puliremo i vialetti, faremo un pupazzo di neve, allestiremo insieme l’albero di Natale e costruiremo una mangiatoia per gli uccelli. Vieni, Alu, ti offrirò una zuppa calda, rimangerò un panino lì dentro, tutto andrà bene. E il cane la seguì…

…A novembre, sulla terra gelata cadde la neve e non si sciolse più. Gli ultimi giorni di autunno avevano offerto pochi giorni di sole, ma nulla tolse al loro benessere. Esso, quel benessere, era lì, nel presente, in ogni piccolo dettaglio e non dipendeva dal tempo: nella tazza di tè, nella ciotola di marmellata, nel caleidoscopio di colori mozzafiato dell’alba, nel cane che si riprendeva dal dolore mangiando polento, nella natura assonnata e pronta a dormire fino a primavera, nel gatto che riposava acciambellato, persino nell’odore delicato del fumo del camino si trovava la felicità. Le gelate e il freddo non spaventano, se il cuore è caldo e la casa accogliente. Ogni persona dovrebbe avere un angolo dove trovare armonia, dove ascoltare e sentire, dove può guarire le ferite dell’anima e scordare le avversità. Lei aveva trovato quel posto.

– Mamma, non torni in città, sta arrivando l’inverno, chiedeva il figlio al telefono. Non posso, ho fatto una promessa ad Alu. Mi ha creduto. Non abbiamo ancora costruito il pupazzo di neve. Perché non venite voi a trovarci per Natale, sarà splendido! Qui è meraviglioso! Ho trovato degli sci in soffitta, due paia. Cucineremo il pesce al forno con aromi… Parlava e sorrideva, mentre il cielo sopra di lei era una cupola che partiva direttamente dal suolo.
L’inverno si preparava a coprire il mondo con un morbido, spesso mantello…

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