– Sofia, non si può! – L’urlo della mamma fece sussultare la bambina di circa sei anni, che ritirò la mano in fretta. – Non toccarlo, allontanati! Guarda com’è brutto! Il gatto che Sofia stava accarezzando lanciò uno sguardo offeso alla madre della bambina, sospirò e si spostò un po’ da parte. Aveva sentito quelle parole tante volte e sapeva già cosa significassero. In effetti il gatto non era un granché: sotto il pelo rossiccio si intravedevano spigoli, le ossa erano evidenti sotto il manto corto e il suo codino sembrava più un bastoncino nodoso. Risaltava la testa, grande, con le orecchie malconce dal freddo, un naso largo in modo innaturale e occhi lontani tra loro, pieni di tristezza.
Nicola guardò intorno. Aveva sentito anche lui il richiamo della donna e cercava di capire a chi fosse rivolto. Trovò con lo sguardo il gatto che sedeva sotto una panchina, guardando il vuoto. Brutto… Sapeva che così lo consideravano anche gli altri e proprio quel giorno aveva sentito alcune ragazze del suo gruppo bisbigliare: – Nicola è un bravo ragazzo, simpatico, e che genio in matematica! Ma ragazze, immaginate avere figli da lui? Sarebbero brutti come lui! Tra loro c’era anche Margherita. Disse qualcosa alle amiche e quelle risero. Nicola arrossì, si girò e uscì dall’aula. Forse non l’avevano notato.
I giovani spesso si guardano allo specchio cercando di evidenziare i lati migliori del proprio aspetto: un sorriso smagliante, una fossetta sul mento o sulle guance. Ma cosa poteva evidenziare Nicola? Orecchie sporgenti? O le lentiggini, grandi e sparse su tutto il viso? Gli zigomi larghi o il mento appuntito? Occhi dal colore indefinito sotto palpebre pesanti, rimpiccioliti dalle lenti degli occhiali con una forte gradazione negativa? No, non c’era nulla di eccezionale nel suo aspetto ed era per questo che non amava guardarsi allo specchio. Lui lo capiva, ma per il gatto era un’ingiustizia. Sì, non assomigliava affatto ai gatti domestici che da soli riuscivano a creare armonia in una casa. Ma lui che colpa ne aveva? La fortuna non era mai stata dalla sua parte: né una casa, né una buona alimentazione. E adesso anche l’aspetto…
– Alla fine, sono stato più fortunato, – pensò Nicola, – ho una casa e una nonna che sogna solo di prepararmi dei manicaretti. Ho un futuro, forse non quello che desidererei, ma un futuro c’è! E tu, cosa hai? Si sedette sulla panchina sotto la quale si nascondeva il gatto. Sentendo la presenza di Nicola, il gatto, come d’abitudine, pensò di allontanarsi, ma improvvisamente sentì dire:
– Allora, vagabondo? Sei triste anche tu? Vieni qui, le zampe si geleranno di meno. Condividiamo un po’ del nostro spleen. Il gatto ascoltava Nicola con diffidenza, le orecchie tremolavano per la tensione mentale: – “Che vuole da me? Perché parla con me, un tale sgorbio? O vuole solo farmi abbassare la guardia per poi ferirmi ancor più profondamente? Ma, comunque sia, che parli pure. Perché sta parlando con me!”
E il gatto non oppose resistenza quando le mani calde di Nicola lo sollevarono da terra e lo misero sulla panchina. – In qualche modo ci somigliamo, gatto, – mormorava Nicola, – non solo per l’aspetto, che sì, è ridicolo per entrambi, ognuno a modo suo. Ma ci assomigliamo anche dentro. Non siamo accolti con sorrisi, la gente non è desiderosa di passare tempo con noi, sarebbe strano invitarmi o invitarti in compagnia per passare momenti felici. Così siamo abituati alla solitudine. E sai qual è la cosa più spaventosa? Che sembra che questa solitudine durerà per tutta la vita!
Il gatto ascoltò attentamente Nicola, guardandolo fisso negli occhi, e miagolò cautamente: – Ma tu mi hai invitato nella tua compagnia! Ora siamo in due a chiacchierare. Non so perché tu ne abbia bisogno, ma credimi – per me è stato inaspettato e tanto piacevole! Per qualche minuto con te sono pronto a sacrificare una cotenna di salame che ho nascosto in un mucchio di mattoni vicino all’ingresso della cantina! Ah, peccato, gli altri gatti se la mangeranno!
– Probabilmente hai fame, gatto? – intuì Nicola. – Certo che hai fame! Se ti va di aspettarmi qualche minuto, torno con del cibo per te. Vuoi restare qui fino al mio ritorno?
– No! – miagolò il gatto. – Meglio accompagnarti fino alla porta del negozio! Nicola osservò attentamente la cassiera – una donna di mezza età, piuttosto avvenente. Probabilmente una buona madre premurosa…
Il gatto, aspettando Nicola sul marciapiede, lo seguì fino alla panchina dove divorò con grande piacere entrambi i pacchetti di cibo. Anche se economico, gli sembrava il pasto più gustoso di sempre. Dopo essersi leccato frettolosamente la faccia, saltò di nuovo sulla panchina e si accovacciò accanto al nuovo amico. Quella cena casuale aveva abbattuto il muro della diffidenza e ora il gatto parlava, mormorando dolcemente a Nicola: Nicola sentiva le fusa del gatto e l’oscurità nella sua anima si disperdeva. I pensieri tristi svanivano, il calore pervadeva il cuore grazie alla semplice ma sincera gratitudine del gatto. Sopraffatto dal sentimento, posò la mano sulla testa grande del gatto e la accarezzò delicatamente. Il gatto restava fermo, incredulo, e quando Nicola lo grattò gentilmente dietro l’orecchio, si distese sulla panchina appoggiandosi a lui con la schiena:
– Questa è felicità! – sembrava dire il suo aspetto, e il suo musetto adesso non era affatto brutto, ma dolce e affettuoso.
– Vedo che conosci anche tu quel dolore nel cuore quando si è respinti, – sorrise tristemente Nicola. – Per questo non ti tradirò. Restiamo ancora un po’ qui e poi andiamo a casa mia. Mia nonna, penso, non sarà contraria, è ben diversa da quella cassiera del negozio. Vuoi venire con me?
– Anche sul patibolo o sul rogo! – miagolò sinceramente il gatto, guardando negli occhi l’unico amico.
– Infilati sotto la giacca, sta iniziando a piovere. – Nicola aprì la giacca e il gatto, senza aspettare un secondo invito, si infilò al caldo. – Ecco, ora la mia anima si riscalda, – sorrideva Nicola, – pensavo che non si sarebbe mai più riscaldata dopo aver sentito lei ridere di me con le sue amiche…
Le gocce di pioggia miste a fiocchi di neve non cadevano sui due amici – un ombrello colorato, femminile, si aprì sopra di loro. Nicola si voltò – dietro la panchina c’era Margherita, che teneva l’ombrello proteggendoli dal maltempo. – Sei uno sciocco, Nicola, – sorrideva.
Nicola si irrigidì e trovò la forza di spostare delicatamente l’ombrello di lato: – Non serve, Margherita. Ho sentito le tue amiche ridere di me e poi delle tue parole.
– Peccato che non hai sentito quelle parole, – sorrise la ragazza. – Ho detto loro che mi piacerebbe avere una famiglia numerosa, e che il papà vorrei fossi tu! Almeno tre, due maschietti e una femminuccia. Per qualche motivo sembrava loro divertente.
– E un gatto! – sbucò col suo musetto da sotto la giacca.
– E sicuramente un gatto! – rise Margherita.