Davvero pensi che cucinerò per tua madre ogni giorno?

– Davvero pensi che cucinerò per tua madre ogni giorno? – dichiarò con indignazione la moglie.

– E quanto ancora dovrà durare? – Giulia posò la padella con un tonfo sul fornello. – Che cosa credi, di aver assunto una cuoca per tua madre? Due mesi senza un giorno libero! – Stringeva più forte la spatola di legno, le nocche delle dita sbiancate dalla tensione. Nella sua voce risuonava un’antica offesa.

Andrea restò fermo nella cornice della porta della cucina, senza osare entrare. La moglie era davanti al fornello, dove nella padella sfrigolavano delle polpette – il piatto preferito di sua madre. L’odore della carne e delle cipolle fritte irritava la gola, o forse era l’ansia per la conversazione imminente.

– Giulia, perché ti arrabbi? – cercò di parlare con tono quieto e rassicurante. – La mamma è solo abituata al cibo fatto in casa. Non può mangiare prodotti industriali, lo sai…

– Lo so! – Giulia posò con rabbia la spatola sul piano lavoro. – So tutto! E anche della sua pressione, della dieta e del regime alimentare. Ma perché dovrei girare come un criceto su una ruota qui ogni sera? Ho un lavoro mio!

Fuori dalla finestra, un altro giorno di ottobre si stava lentamente spegnendo. Le ombre dei rami di un vecchio melo davanti alla finestra della cucina danzavano sulle pareti, come silenziosi testimoni della loro disputa. Andrea guardò meccanicamente l’orologio – sua madre sarebbe tornata presto dalla passeggiata.

– Magari dovremmo assumere una collaboratrice? – propose incerto, sapendo che la moglie non voleva estranei in casa.

Giulia sembrò amara: – Certo! E i soldi per pagarla pioveranno dal cielo? Sai bene quanto spendiamo per le medicine di tua madre.

Si voltò verso il fornello, nascondendo le lacrime che incombevano. Tre mesi fa, quando Maria Rossi si era trasferita da loro dopo un lieve ictus, era stata Giulia ad insistere per accoglierla. Ma allora non immaginava quanto sarebbe cambiata la loro vita.

Si sentì il rumore della porta d’ingresso. Passi leggeri – Maria era tornata dalla passeggiata serale. Giulia si asciugò in fretta gli occhi con un canovaccio da cucina e cominciò a sistemare le polpette nei piatti. Andrea era ancora fermo sulla porta, incerto su cosa dire o fare.

Regnò un silenzio pesante, rotto solo dal tintinnio delle stoviglie e dal sibilo della padella che si raffreddava.

– Mamma, com’è andata la passeggiata? – Andrea andò di fretta verso l’ingresso, felice di fuggire da quella conversazione pesante con la moglie. Ultimamente si ritrovava sempre più spesso a evitare i conflitti, nascondendosi dietro il lavoro, con rientri tardivi e urgenti “impegni improrogabili”.

Maria stava davanti allo specchio nell’ingresso, lentamente sciogliendo una sciarpa di lana – un regalo del marito defunto. Le sue dita, un tempo abili e rapide, abituate a destreggiarsi tra ago e filo, ora faticavano con un semplice nodo. Quella maledetta tremarella era comparsa dopo l’ictus e peggiorava ogni giorno.

– È stata una bella passeggiata, caro, – tentò di sorridere, ma il sorriso risultò forzato. – Stavano raccogliendo le foglie nel parco. Ti ricordi quando da piccolo ti piaceva saltarci dentro? Ti dicevo sempre di smettere per non prenderti un raffreddore! E tu ridevi…

Si appoggiò al muro, chiudendo gli occhi. Il pallore del suo volto e il sudore sulla fronte non sfuggirono all’attenzione del figlio.

– La pressione fa le bizze, – ammise Maria. – Ho camminato troppo oggi.

– Adesso le porto le pillole, – si sentì la voce di Giulia dalla cucina. Per quanto si arrabbiasse, aveva sempre preso seriamente la salute della suocera. Forse per i tanti anni trascorsi a lavorare in una clinica, dove ogni giorno si vedevano le conseguenze di patologie trascurate.

– Non preoccuparti, cara, – Maria si sedette pesantemente su una panca, estraendo dal taschino una confezione di farmaci. – Come una scout, adesso tengo tutto con me. Ecco qua, i miei fedeli aiutanti…

Il suo sguardo si fermò su una vecchia fotografia appesa al muro – il giorno del matrimonio suo e di suo marito. Quanto tempo era passato… Non avrebbe mai immaginato di diventare un peso per suo figlio in vecchiaia.

Andrea si precipitò in cucina per prendere un bicchiere d’acqua, rischiando di far cadere un vaso sul pavimento. Passando vicino a sua moglie, cercò di incrociare il suo sguardo, ma Giulia si voltò intenzionalmente verso il fornello, dove le polpette continuavano a sfrigolare. L’odore della carne fritta le faceva venire la nausea – tutto il giorno non aveva mangiato nulla, tra lavoro, negozi e cucina.

– Che c’è per cena? – Maria inspirò entrando in cucina. – Ancora polpette? Cara, perché ti sforzi tanto? Mi basterebbe un po’ di minestra…

– Non preoccuparti, mamma, – Giulia piantò la forchetta con tanta forza nella polpetta che questa grattò il fondo della padella. – A lei piacciono. Mi ricordo.

Nella sua voce c’era qualcosa che fece sobbalzare Maria, immobilizzandola sulla soglia della cucina. In vent’anni di matrimonio del figlio, aveva imparato a cogliere anche le più piccole sfumature di tensione nella voce della nuora. Ora quelle note vibravano come una corda tesa.

La donna anziana si avvicinò lentamente al tavolo, appoggiandosi al braccio del figlio. Si sedette, stendendo il tovagliolo sulle ginocchia – un’abitudine radicata dai suoi anni di lavoro a scuola. Andrea le spinse un piatto, un bicchiere d’acqua, sistemando la sedia per essere sicuro che fosse comoda.

– Sapete… – iniziò Giulia, poi si fermò all’improvviso, notando quanto fosse pallida la suocera. Le sue tempie pulsavano per le parole trattenute. – Mangiamo e basta.

Al tavolo regnò un silenzio opprimente. Solo il tintinnio delle posate sui piatti e il monotono ticchettio dell’orologio a pendolo – antico, ancora della nonna di Andrea. Il meccanico suono scandiva i secondi di un silenzio insopportabile. Maria appena toccò il cibo, lanciando di tanto in tanto sguardi di sottecchi al figlio e alla nuora.

Negli ultimi mesi, notava spesso quegli sguardi, udiva brandelli di conversazioni, vedeva come l’atmosfera in casa cambiava non appena entrava in una stanza.

“Forse ho sbagliato ad accettare di trasferirmi qui?” – pensiero amaro. Ma ad alta voce disse solo quanto fossero buone le polpette, cercando di alleggerire l’atmosfera: – Davvero ottime, Giulia. Proprio come le faceva mia madre…

– Non ce la faccio più, – disse improvvisamente Giulia in un sussurro, posando la forchetta. – Davvero non ce la faccio più.

Il ticchettio dell’orologio divenne assordante. Maria restò immobile con il cucchiaio a mezz’aria, Andrea impallidì sentendo che stava per accadere ciò che aveva temuto nelle ultime settimane.

– Ogni giorno è sempre lo stesso, – la voce di Giulia si faceva più forte ad ogni parola. – Mi alzo alle sei, alle otto sono al lavoro. A pranzo corro in farmacia per i medicinali, dopo lavoro – negozio, cucina, pulizie… E quando si vive? Quando si riposa?

– Cara… – iniziò Maria.

– Non sono tua figlia! – Giulia si alzò bruscamente, la sedia sbatté contro il muro. – Hai un figlio, lascialo cucinare. Io sono stanca! Capisci? Stanca!

Andrea si scattò: – Giulia, cosa dici…

– Cosa ho detto? – stava quasi gridando. – Che cosa ho detto di tanto sbagliato? La verità! Tu sei sempre al lavoro e io devo dividermi tra ospedale e casa? Tua madre è una tua responsabilità!

Maria depose lentamente il cucchiaio. Le sue mani tremavano più del solito: – Certo, sono solo un peso… – Si asciugò gli occhi con un angolo del tovagliolo. – Sai, Giulia, capisco tutto. Pensi che non veda quanto ti stanchi? Quanto ti arrabbi? Prego ogni sera affinché abbia la forza di badare a me stessa…

– Mamma, smettila, – Andrea cercò di abbracciarla per le spalle, ma lei si scostò dolcemente.

– No, caro, lasciami finire, – Maria raddrizzò le spalle come faceva un tempo con una classe indisciplinata. – Ho lavorato quarant’anni a scuola. Sai qual è la cosa più importante che ho imparato? Ascoltare. E ti sento, Giulia, quando piangi in bagno. Vedo come ti tremano le mani la sera dalla stanchezza…

Giulia rimase ferma accanto alla cucina, aggrappata al ripiano con le dita sbiancate. Le lacrime di rabbia le rigavano le guance.

– Anche io sono stata giovane, – continuò Maria. – Anch’io avevo sogni per la mia vita. E poi mia suocera si ammalò… Dieci anni l’ho assistita. Ogni giorno come in un incubo – lavoro, cucina, iniezioni, terapie. Mio marito al lavoro, mio figlio piccolo… A volte pensavo che sarei impazzita.

– Mamma, cosa dici? – mormorò Andrea, perplesso, guardando la propria madre e poi la moglie.

– Che non hai ragione, caro. – Maria si alzò dal tavolo. – Sbagli completamente. Non puoi riversare tutto su Giulia. Domani stesso chiamerò i servizi sociali per vedere di una badante…

– Quanto ci costerà? – chiese Giulia con voce soffocata, senza voltarsi.

– Devolverò la mia pensione. Si può anche affittare l’appartamento – un’aggiunta.

Andrea guardava le due donne più importanti della sua vita e sentiva qualcosa capovolgersi dentro di sé. Per anni si era nascosto dietro il lavoro, fingendo che nulla stesse accadendo…

– No, – si alzò, raddrizzando le spalle. – Niente badanti. E non affitteremo l’appartamento.

– Ma come… – iniziò a dire Maria.

– Domani parlerò con il capo per passare al telelavoro tre giorni alla settimana, – disse Andrea fermamente. – Cucineremo a turno. Mamma, mi insegni le polpette fatte in casa?

Maria sbatté gli occhi sorpresa: – Certo, caro… Ma pensi di farcela?

– Sai, anche gli uomini sanno cucinare, – per la prima volta quella sera il volto di Giulia si illuminò con un sorriso. – Pero’ attenzione, tuo figlio ama sperimentare. Ricordi la sua zuppa con curry?

– Comunque era originale! – sorrise Andrea, sentendo che la tensione pian piano stava svanendo.

– E posso occuparmi delle pulizie, – propose improvvisamente Maria. – Aspirare è faticoso, ma posso spolverare, mettere in ordine – lo faccio. E posso stirare la biancheria, l’ho fatto per tutta la vita…

– Mamma, – intervenne Giulia, finalmente rivolta verso il tavolo. – Non devi…

– Ma voglio! – Nei suoi occhi brillava un lampo di determinazione da insegnante. – Pensi sia semplice stare tutto il giorno senza fare niente? Televisione, guardare fuori dalla finestra. Almeno così mi sentirò utile.

Scoppiò a piangere all’improvviso, portandosi una mano alla bocca: – Scusatemi, ragazzi… Ho visto quanto fosse difficile per voi e sono rimasta in silenzio. Avevo paura di dire una parola di troppo.

– E anche tu scusami, – Giulia si inginocchiò improvvisamente accanto alla sedia della suocera, appoggiando la testa sul suo grembo, come faceva da piccola con sua madre. – Ho detto certe cose… Ero arrabbiata.

Maria accarezzava la nuora sulla testa, spargendo le proprie lacrime: – Allora è deciso così. Andrea cucina il martedì e il giovedì…

– E a settimane alterne il sabato! – aggiunse il figlio.

– E a settimane alterne il sabato, – annuì Maria. – E io mi occuperò delle pulizie. E poi, mia cara, – sollevò il volto di Giulia dolcemente, – non tener tutto dentro. Parla, quando è difficile. Siamo una famiglia.

L’orologio sulla parete ticchettava, sul tavolo si raffreddavano le polpette lasciate a metà e fuori dalla finestra si spegnevano lentamente gli ultimi raggi del sole d’ottobre. Per la prima volta in tanti mesi la casa si riempì di un calore vero.

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