Davvero pensi che cucinerò per tua madre ogni giorno?

– Sei davvero convinta che cucinerò per tua madre ogni giorno? – dichiarò la moglie con indignazione.

– E quanto pensi che durerà questa situazione? – Chiara sbatté la padella sul fornello con un rumore secco. – Credi forse che mi sia assunta come domestica di tua madre? Due mesi senza un giorno libero! – Serrò la spatola di legno con tale forza che le nocche divennero bianche dalla tensione. Nella sua voce vibrava un’antica frustrazione.

Luca rimase fermo sulla soglia della cucina, esitante. Sua moglie era ai fornelli, dove le polpette, il piatto preferito di sua madre, sfrigolavano nella padella. L’odore di carne e cipolla fritta gli graffiava la gola, o forse era il peso della conversazione imminente.

– Chiara, calmati, – cercò di parlare con dolcezza e rassicurazione. – Mamma è abituata al cibo fatto in casa. Sai che non può mangiare prodotti confezionati…

– Lo so! – Chiara posò la spatola sul bancone con un colpo secco. – So tutto! So della sua pressione, della sua dieta e del suo regime alimentare. Ma perché devo essere sempre io a rimanere qui ogni sera a cucinare come un criceto sulla ruota? Ho il mio lavoro da portare avanti!

Fuori, il giorno d’ottobre stava lentamente sfumando. Le ombre dei rami del vecchio melo, cresciuto sotto la finestra della cucina, danzavano sui muri come testimoni silenziosi del loro litigio. Luca guardò distrattamente l’orologio: sua madre sarebbe rientrata dalla passeggiata a breve.

– Forse dovremmo assumere un’aiutante? – propose timidamente, sebbene sapesse che Chiara non amava estranei in casa.

Chiara sorrise amaramente: – Certo! E i soldi per pagarla arriveranno dal cielo? Sai quanto spendiamo per le medicine di tua madre.

Si voltò verso i fornelli, nascondendo le lacrime che stavano per scendere. Tre mesi fa, quando Maria si era trasferita da loro dopo un piccolo ictus, era stata Chiara a insistere per prenderla in casa. Ma allora non poteva immaginare come le loro vite sarebbero cambiate.

La porta d’ingresso sbatté nell’ingresso. Passi leggeri – Maria era rientrata dalla passeggiata serale. Chiara si asciugò rapidamente gli occhi con un canovaccio e iniziò a disporre le polpette sui piatti. Luca stava ancora fermo sulla soglia, incapace di decidere cosa dire o fare.

Cadeva un silenzio pesante, rotto solo dal tintinnio dei piatti e dal sibilo della padella che si raffreddava.

– Mamma, come è andata la passeggiata? – Luca si affrettò nell’ingresso, grato di poter sfuggire a quel difficile dialogo con sua moglie. Ultimamente si rendeva conto sempre più spesso che evitava i conflitti, nascondendosi dietro il lavoro e i continui impegni “urgenti”.

Maria era davanti allo specchio nell’ingresso, districando lentamente la sua sciarpa di lana – un regalo del marito defunto. Le sue mani, una volta agili e abili, ora faticavano anche con un semplice nodo. Quel tremore traditore si era manifestato dopo l’ictus, diventando sempre più evidente con il tempo.

– È andata bene, caro, – cercò di sorridere, ma il sorriso risultò forzato. – Nel parco stavano raccogliendo le foglie. Ricordi quanto ti piaceva saltarci dentro da piccolo? Ti sgridavo sempre: “Smettila, ti raffredderai!” E tu ridevi…

Si appoggiò al muro, chiudendo gli occhi. La pallidezza del suo viso e il sudore sulla fronte non sfuggirono all’attenzione vigile del figlio.

– La pressione gioca brutti scherzi, – ammise Maria. – Credo di aver camminato troppo oggi.

– Vado a prendere le pillole per te, – si sentì la voce di Chiara dalla cucina. Nonostante fosse arrabbiata, prendeva molto seriamente la salute della suocera. Forse era l’abitudine maturata in anni di lavoro presso la clinica, dove ogni giorno vedeva gli effetti delle malattie trascurate.

– Non preoccuparti, cara, – Maria si sedette pesantemente sulla panca e tirò fuori dal taschino del cardigan una confezione di medicine. – Le porto sempre con me come un esploratore. Ecco i miei fedeli alleati…

Il suo sguardo si fermò su una vecchia fotografia appesa al muro – lei e suo marito il giorno delle nozze. Quanto tempo era passato… Allora non avrebbe mai immaginato che un giorno avrebbe potuto diventare un peso per suo figlio.

Luca si precipitò in cucina per prendere un bicchiere d’acqua, quasi facendo cadere un vaso lungo il percorso. Passando accanto a sua moglie, cercò di incrociare il suo sguardo, ma Chiara si voltò deliberatamente verso i fornelli, dove le polpette continuavano a sfrigolare. L’odore di carne fritta le causò nausea – non aveva mangiato nulla tutto il giorno, divisa tra lavoro, negozio e cucina.

– Cosa c’è per cena stasera? – Maria annusava l’aria entrando in cucina. – Di nuovo le polpette? Cara, ma perché ti affanni così tanto? Avrei mangiato anche un po’ di minestra…

– Non importa, mamma, – disse Chiara con forza, infilandone una forchetta nelle polpette che cigolarono sul fondo della padella. – So che le ami. Non l’ho dimenticato.

La sua voce aveva un tono che fece sobbalzare Maria e la tenne immobile sulla soglia della cucina. In vent’anni di matrimonio del figlio, aveva imparato a percepire anche le più lievi sfumature di tensione nella voce della nuora. Ora risuonavano sottili come una corda tesa.

L’anziana signora si avvicinò lentamente al tavolo, appoggiandosi al braccio del figlio. Si sedette, sistemando il tovagliolo sulle ginocchia – un’abitudine acquisita in anni di lavoro a scuola. Luca le avvicinò in modo affrettato un piatto, un bicchiere d’acqua, controllando che la sedia fosse comoda.

– Sapete… – iniziò Chiara, ma si zittì, notando quanto Maria fosse pallida. Le sue tempie pulsavano dalle parole trattenute. – Cenniamo solo.

Al tavolo regnava un silenzio opprimente. Solo il tintinnio delle posate sui piatti e l’incessante ticchettio dell’orologio a pendolo che segnava i secondi di quel silenzio insopportabile. Maria a malapena toccò il cibo, lanciando di tanto in tanto uno sguardo furtivo al figlio e alla nuora.

Nell’ultimo mese aveva spesso notato sguardi simili, colto frammenti di conversazioni, osservato come l’atmosfera in casa cambiasse quando entrava in una stanza.

“Ho forse sbagliato ad accettare di trasferirmi?” – pensò amaramente. Ma a voce alta si limitò a fare un complimento per le polpette, cercando di alleggerire l’ambiente: – Sono deliziose, cara. Proprio come le faceva mia madre…

– Non ce la faccio più, – sussurrò all’improvviso Chiara, abbassando la forchetta. – Davvero, non ce la faccio.

Il ticchettio dell’orologio si fece assordante. Maria rimase immobile con il cucchiaio a mezz’aria, e Luca impallidì, sentendo che stava per accadere quello che aveva temuto nelle ultime settimane.

– Ogni giorno sempre la stessa storia, – la voce di Chiara si fece più forte con ogni parola. – Mi alzo alle sei, sono al lavoro per le otto. Durante la pausa pranzo, corro in farmacia per le medicine, dopo il lavoro, spesa, cucina, pulizie… E quando vivere? Quando riposare?

– Cara… – iniziò Maria.

– Io non sono tua figlia! – Chiara si alzò di scatto, il rumore della sedia che si abbatte contro il muro. – Hai un figlio che può cucinare. Io sono stanca! Capisci? Stanca!

Luca intervenne: – Chiara, dai…

– Cosa? – stava urlando ormai. – Ho detto qualcosa di sbagliato? Solo la verità! Tu sei sempre al lavoro, e io devo districarmi tra ospedale e casa? La tua mamma è tua responsabilità!

Maria posò con delicatezza il cucchiaio. Le sue mani tremavano più del solito: – Certo, sono solo un peso… – Si tamponò gli occhi con un angolo del tovagliolo. – Lo sai, cara, comprendo tutto. Pensi che non veda quanto sei stanca? Quanto sei arrabbiata? Ogni sera prego affinché le forze mi bastino per essere autosufficiente…

– Mamma, smettila, – tentò Luca di abbracciarla per le spalle, ma lei si allontanò con dolcezza.

– No, figlio mio, lasciami finire, – Maria raddrizzò le spalle, come quando si rivolgeva alla sua classe ribelle. – Ho lavorato quarant’anni a scuola. Sai qual è la cosa più importante che ho imparato? Ascoltare. E io sento, cara, le tue lacrime nella doccia. Vedo come le tue mani tremano per la fatica ogni sera…

Chiara si era fermata accanto ai fornelli, stringendosi forte al bancone con le dita bianche. Le lacrime rabbiose le rigavano il viso.

– Anche io sono stata giovane, – continuò Maria. – Anch’io avevo sogni miei. Poi mia suocera si ammalò… Dieci anni l’ho assistita. Ogni giorno come in una nebbia – lavoro, cucina, iniezioni, terapie. Mio marito era al lavoro, nostro figlio piccolo… Pensavo sarei impazzita.

– Mamma, cosa stai dicendo? – balbettò Luca, spostando lo sguardo dalla madre alla moglie.

– Dico che hai torto, – Maria si alzò dal tavolo. – Sei in errore. Non puoi lasciare che tutto ricada su Chiara. Domattina chiamerò i servizi sociali per chiedere di un’assistente…

– Ma quanto costerà? – domandò sommessa Chiara, senza voltarsi.

– Darò la mia pensione. E possiamo affittare l’appartamento – un piccolo contributo.

Luca guardava le due donne più importanti della sua vita e sentiva qualcosa capovolgersi dentro di lui. Per anni aveva evitato i problemi lavorando, fingendo che tutto andasse bene…

– No, – si alzò in piedi, con le spalle dritte. – Niente badanti. E non affitteremo la casa.

– Ma come… – iniziò Maria.

– Domani parlo con il capo per lavorare da remoto tre giorni a settimana, – dichiarò deciso Luca. – Cucineremo a turno. Mamma, mi insegnerai a fare le tue polpette speciali?

Maria strizzò gli occhi sorpresa: – Certo, caro… ce la farai?

– E si dà il caso che anche gli uomini sappiano cucinare, – per la prima volta quella sera un sorriso illuminò la voce di Chiara. – Fai attenzione, tuo figlio ama sperimentare. Ricordi il suo borscht al curry?

– Beh, almeno era originale! – rise Luca, sentendo che la tensione cominciava a sciogliersi.

– E io posso occuparmi delle pulizie, – propose Maria in modo inaspettato. – Passare l’aspirapolvere è pesante, ma posso spolverare e sistemare le cose. E posso stirare il bucato, ho sempre…

– Mamma, – interruppe Chiara, finalmente girandosi verso il tavolo. – Non sei obbligata…

– Ma io voglio farlo! – Negli occhi di Maria scintillò la determinazione di una volta. – Pensi che sia facile passare le giornate senza fare niente? Sto sempre a guardare la TV e fuori dalla finestra. Almeno potrei essere utile.

Scoppiò in un singhiozzo improvviso e si coprì la bocca con la mano: – Vi chiedo perdono, ragazzi… vedevo la vostra fatica, ma restavo in silenzio. Avevo paura di dire anche solo una parola.

– E io mi scuso con te, – inaspettatamente Chiara si inginocchiò accanto alla sedia della suocera, appoggiando il viso sulle sue ginocchia, come faceva da bambina con sua madre. – Ho detto cose… ero arrabbiata.

Maria accarezzò la testa della nuora, asciugandosi le lacrime: – Ecco, allora decidiamo così. Luca cucinerà il martedì e il giovedì…

– E un sabato sì e uno no! – aggiunse suo figlio.

– E un sabato sì, – annuì Maria. – E io mi occuperò delle pulizie. E, tesoro mio, – sollevò il viso di Chiara prendendolo gentilmente per il mento, – non tenere tutto dentro. Parlane quando sei stanca. Siamo una famiglia.

L’orologio continuava il suo ticchettio, sul tavolo si raffreddavano le polpette, e al di là dei vetri il sole di ottobre lentamente scompariva dietro l’orizzonte. Per la prima volta dopo tanti mesi in casa regnava un calore autentico.

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