Sono un uomo temprato da vari orrori e disavventure, ma la vita non mi aveva certo preparato a una simile situazione.
La mia cagnolina, Nera, si è ammalata. O meglio, ha esagerato con il cibo.
Dove questa creatura di quindici centimetri nasconda sei stomaci supplementari, non ne ho idea. Chiede cibo con un’ossessione che solo i professionisti dei rifiuti possiedono e non riesce mai ad essere sazia. È chiaro che noi, da buoni sciocchi, ci lasciamo ingannare e la nutriamo con tutto il nostro amore. Sciocchi, ve lo giuro. Amorevoli sciocchi. Molto compassionevoli.
Come si fa a non provare pena? Ha quegli occhioni, come in quella canzone che mio padre portò con sé da un viaggio in Sicilia e che mi cantava come ninna nanna: “E io stavo lì a piangere amaro, che mangiavo poco e tanto (scusate) facevo”. Ogni volta mi guarda con quegli occhi, come se fosse l’ultima. Come si fa a non darle un pezzettino di mango o un pesciolino?
E’ un bene che non beva. Non so come ci saremmo comportati in quel caso.
Comunque, alla fine ha mangiato troppo e si è quasi accasciata. All’improvviso, come un fulmine. Era una cagnolina vivace e puff, si è trasformata in un cigno morente – collo contorto, accendete, cari miei, Saint-Saëns. Cominciammo a frugarla. A cercare zecche. A metterle il termometro sotto la coda. Ma il termometro si è rotto. Ha alzato gli occhi al cielo, ci ha salutato e si è sdraiata per morire.
Taxi. Traffico. Lacrime di addio. Il miglior veterinario dell’universo.
Finché sta bene e ci tartassa con il suo insaziabile appetito, pensi: “Ma perché mi sono messo in questa avventura, maledizione, la riporterò al canile e sarà finita, mi ha risucchiato tutta l’anima!”. E quando sta per morire, ti senti: “Mia piccola gattina, come farò senza di te ora?”.
Siamo arrivati. Il veterinario emise l’ormai noto: “Freddo, fame e riposo!”. Un giorno senza acqua né cibo, poi lentamente un po’ d’acqua, le somministrò una medicina e mise di nuovo il termometro nello stesso posto.
Ci ha un po’ rassicurati e ci ha mandati via.
Un’ora dopo le iniezioni, Nera ha cominciato a sorridere, hanno spento Saint-Saëns e nei suoi occhi è tornato a brillare quel famelico fuoco di sempre. Mangiare! Bere! Date! Ora muoio, maledetti!
Il posto sul pavimento dove prima c’erano le ciotole era lucido come uno specchio. Sotto il tavolo ha trovato un coperchio abbandonato e ha cominciato a giocarci in giro per la casa fino all’alba, sperando che qualcuno ci lanciasse dentro qualcosa di commestibile.
Ma niente. Siamo stati fermi sulla nostra decisione.
Il momento terribile è arrivato quando ci siamo ricordati che in casa c’era anche la nostra gatta e anche lei doveva mangiare e bere.
Oh cielo… La porta, che noi eravamo riusciti a tenere ferma con i nostri corpi, tremava come se dall’altra parte, dove stava la cagnolina, stessero assaltando con un’arma da assedio. Ma abbiamo tenuto duro.
Fino all’alba, in ansia e terrore, perché Nera provò tre volte a scassinare il frigorifero con le sue zampette a forma di virgola.
Sospirava e si sforzava con tale impegno che per dieci volte ci siamo chiesti se fosse davvero malata.
Poi quel povero animale si è seduto di fronte alla mia testa e mi ha ipnotizzato con uno sguardo accusatorio fino alle sei del mattino, non lasciandomi chiudere occhio.
Quella mattina ho deciso che tutta la famiglia non avrebbe mangiato finché non avessimo avuto il via libera dal veterinario, perché persino alla vista di una tazza di caffè, Nera saltava quasi all’altezza del viso. Non del mio, ahimè. Di Lorenzo. E il ragazzo, scusate, è già alto 192 centimetri e ha ancora da vivere…
A pranzo cedetti e di nascosto mi intrufolai nel frigorifero. Silenziosamente, con un colpo deciso aprii una lattina di piselli verdi. Prelevai un cucchiaio, ma la mano tremò e due piselli, non arrivando alla bocca, caddero sul mio pantofolone.
Signori… stavo per perderci una gamba… Signori… quel piccolo insaziabile leone ha risucchiato quei piselli insieme al pon-pon del mio calzino che tanto abbelliva le mie ciabatte…
E inizia una settimana di diete e esercizi.
Non ho idea di come sopravvivere e dove correre. Scrivo dal bagno, rinchiuso. Se succede qualcosa, non mi ricordate con malanimo.
Penso che il mio corpo le basterà al massimo per tre giorni.
E dopo? È spaventoso pensarci…